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— Voglio dire il mio gatto, quello vivo — disse Phil.

— Non serviamo da bere agli ubriachi — rispose Brimstine senza scomporsi. — Il vostro amico ne ha bevuto uno di troppo — continuò rivolto agli altri. — E voi, signore e signori, cosa desiderate?

Mary Akeley aprì la borsa e posò la statuetta di Moe Brimstine sul bancone. L’osservò pensierosa per un momento, poi le tolse meticolosamente gli occhiali neri. La statuetta aveva gli occhi di un maialino. Mary sorrise. Rimise a posto gli occhiali ed estrasse dalla borsa uno spillone, un paio di forbici, un coltellino, un paio di pinzette, un minuscolo fornellino, un ferro con l’impugnatura isolata, una bottiglietta nera con delle incrostazioni bianche, e sistemò il tutto ordinatamente davanti a sé.

— Questa non è la toilette, signora — disse Brimstine. — Ordinate da bere.

Phil non poté fare a meno di restare impressionato dall’autocontrollo dell’uomo. Poi, improvvisamente, sentì un brivido di terrore che non aveva niente a che fare con le pistole puntate alle sue spalle, e che difficilmente poteva essere suscitato dal puerile armamentario di magia nera messo in campo da Mary Akeley.

Si accorse che il brivido aveva colpito anche Moe Brimstine, perché l’omone lasciò cadere lo straccio e si appoggiò allo scaffale pieno di bottiglie alle sue spalle.

Mary Akeley disse: — Signor Brimstine, voi avete rubato il Gatto Verde, che mio marito adora come Bast. Voi soffrirete finché non l’avrete restituito. — La sua voce, dapprima tremante, si fece fredda, crudele e monotona. — Mi spiace di non aver potuto portare il mio piccolo tavolo di tortura, ma questi attrezzi saranno sufficienti. — Accese il fornello e mise il ferro sulla fiamma.

Phil sentì Juno trattenere il respiro e Carstairs emettere un buffo grugnito. L’estremità del ferro divenne rossa. Mary Akeley rovesciò la bambolina sullo stomaco e la sfiorò col ferro, facendole fumare i pantaloni.

Moe Brimstine emise un rantolo e allungò le mani dietro di sé. Poi tremando cercò di afferrare la bambolina, ma Mary Akeley le strinse la mano intorno alle braccia. Immediatamente le braccia di Brimstine si tesero ai suoi fianchi restando immobilizzate. Poi lei spostò la bambola di qualche centimetro, allontanandola da sé. E Brimstine indietreggiò verso lo scaffale. Il sudore gli colava dalla fronte. A un tratto Mary Akeley colpì la bambolina sulla guancia col ferro rovente. Moe Brimstine emise un altro rantolo di dolore e ritrasse di scatto la testa.

— Continuerò finché non ci ridarete il Gatto Verde — disse la giovane strega, imperturbabile. Phil vide che sulla guancia scura di Moe Brimstine era apparsa una striatura rossa.

— Solo che presto diventerà molto peggio — continuò Mary, prendendo la bottiglietta. Moe Brimstine fece per dire qualcosa, ma lei appoggiò il pollice sulla bocca della bambolina.

— Fra un po’ sarò più disposta a credere alle cose che mi direte — spiegò. La faccia di Brimstine diventò rossa, mentre gli occhi sembravano uscirgli dalle orbite.

Poi un’ombra apparve sul bancone. Phil si girò ritraendosi istintivamente, e vide che l’ombra era verde, vellutata e che aveva un viso saggio e amabile. In una frazione di secondo tutto gli fu chiaro. Era stato Lucky a infondere in loro quel terrore senza nome, proprio com’era successo alla Fondazione Humberford; era stato Lucky ad aprire la mente di Moe Brimstine a quella di Mary, suggestionandolo a tal punto da fargli provare su di sé tutto quello che veniva fatto alla bambola.

Poi si rese conto che a Brimstine non sarebbe accaduto nient’altro di spiacevole, e che nessuno avrebbe causato alcun guaio, neppure Carstairs e Buck. All’improvviso la sensazione di terrore era svanita, sostituita da una di amicizia e di invincibile benevolenza, che sgorgavano da Lucky come il whisky da una bottiglia. Phil si accorse che la nuova sensazione penetrava anche nelle menti degli altri. Si udirono dei sospiri e delle risatine. Le dita magre di Mary lasciarono la bottiglia incrostata di bianco, poi riposero rapidamente tutti gli strumenti nella borsa.

Lucky si fermò di fronte a Phil e si stirò, pigramente e voluttuosamente, tendendo i muscoli del collo e della schiena. Moe Brimstine sorrise al gatto verde, e le rughe che gli si formarono attorno agli occhi sembravano quelle di Babbo Natale. — Permettete? — chiese a Phil, e allungò una mano per accarezzare il pelo vellutato.

— Sei proprio arrivato al momento giusto per salvare zio Moe — disse a Lucky, grattandolo dietro le orecchie. — Mi spiace tanto per tutto quello che ti ho fatto. Non capisco neanch’io come sia successo, e sono davvero contento che tu ti sia svegliato, anche se non capisco come hai fatto.

Poi si raddrizzò e disse con voce tonante: — Cosa prendete, amici? Offre la casa! — E infatti la bottiglia fece parecchi giri, fra l’allegria generale. Anche Lucky ebbe il suo cocktail, composto di latte, bianco d’uovo, zucchero in polvere e gin. Dietro suggerimento di Phil, Moe glielo mise dietro il bancone, in modo che Lucky lo potesse leccare in pace.

Buck, con una risata infantile, porse a Brimstine le due pistole, dalla parte del calcio.

— Queste credo che sia meglio metterle via — spiegò col suo modo spiccio. Moe le prese, ne provò una sparando a un lampadario, poi le mise in un cassetto. Anche Carstairs consegnò le sue pistole, con l’ingiunzione di venderle per procurare da bere quando il bar si fosse esaurito.

Juno, con in mano un bicchiere traboccante di whisky, si chinò attraverso il tavolo per dire a Mary: — D’ora in poi crederò a ogni parola che mi diranno gli svitati, specialmente tu e Sash.

— E io ti dirò sempre quando stiamo mentendo — le rispose Mary, con voce non molto ferma, dal momento che Dion la stava sbaciucchiando.

Man mano che nuovi clienti, singoli o in coppie, entravano nel bar, Brimstine li chiamava perché si unissero alla compagnia. E non appena lo facevano, diventavano allegri e amichevoli come gli altri. Dopo un po’ si era formata una piccola folla, e Moe non faceva altro che versare, agitare, servire. Dopo un po’ non si preoccupò più neppure di agitare.

Mary si liberò di Dion e prese la bambola di Brimstine, abbracciandola e baciandola. — Tesoro mio — disse. Moe interruppe per un attimo il suo lavoro di barista e chiuse gli occhi con un brivido di piacere.

Poi Lucky uscì da sotto il tavolo e vi saltò sopra. Camminò su e giù con un’andatura maestosa, ma decisamente malsicura. Dopo un po’ balzò a terra e la folla si scostò per lasciarlo passare. La verde creatura, completamente ubriaca, si avviò zigzagando con dignità verso l’uscita.

Moe si issò sul bancone del bar rovesciando parecchi bicchieri e gridò: — Venite tutti, divertiamoci. Tutto è gratis nel Parco!

E così un corteo bacchico cominciò a snodarsi attraverso il Parco dei Piaceri, con Moe nella parte di Bacco, Lucky in quella di un leopardo (“Se solo sapessero di Dion”, pensò Phil.).

Ben presto vi fu anche una schiera di ninfe, perché Moe incitava le ragazze a lasciare i loro baracconi, dopo che tutti quelli che lo volevano avevano provato a giocare, e Moe aveva spiegato loro che erano truccati, e tutti i premi erano stati distribuiti, o almeno offerti.

Una volta o due i proprietari dei baracconi avevano protestato indignati al grido di Moe: — È tutto gratis, gente! — Ma le loro proteste si erano spente all’arrivo di Lucky.

La processione s’ingrossava sempre più. Di tanto in tanto qualche gruppetto si staccava per andarsene in giro da solo, ma questo accadeva più raramente di quanto ci si potesse aspettare, e di solito ritornavano tutti dopo breve tempo.

Moe sembrava divertirsi strordinariamente. Scorrazzava come un agnellino sulla pavimentazione di gomma. Era pronto a scherzare con tutti, e non gli mancava mai la battuta. Raggiunse forse il suo apice quando liberò una tigre e due pantere nere dallo zoo. Senza intimorire nessuno, i tre animali si aggirarono fra la gente, accettando carezze da tutti, ma ricavando apparentemente il piacere maggiore dallo strofinarsi contro Lucky.