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Per un attimo Phil si chiese se per caso Billig non aveva fatto un patto col governo, indicando quel luogo per l’incontro. Poi alle spalle dell’agente dell’FBL apparve Morton Opperly, guardandosi intorno con grande interesse. Phil decise che in un mondo come quello non ci si poteva fidare neppure dei vecchi scienziati dall’aspetto nobile che facevano finta di essere grandi liberali, e raccontavano segreti di stato per guadagnarsi la fiducia della gente.

Allungò i polsi alle manette.

20

Nella mezz’ora che era trascorsa da quando le grosse mani di gomma del telemanipolatore l’avevano estratto dal suo cubicolo nel cellulare, Phil era stato sottoposto a un numero tale di controlli che ormai soltanto due posti in America potevano essere la sua destinazione: l’Eptagono o la Casa Bianca junior, a New Washington.

Trasportato da telemanipolatori apparentemente indifferenti all’alto e al basso dei comuni mortali, era stato punzecchiato, tastato, perquisito, esaminato e fatto oggetto di altre ignominie. Gli erano state prese le impronte dei piedi e quelle della retina, erano state controllate le sue caratteristiche fisiche e le sue dimensioni, presumibilmente per confrontarle con quelle contenute negli schedari dell’FBL; lo stesso era stato fatto con le impronte vocali e con la scrittura. Gli avevano esaminato il fiato e il sangue per verificare la presenza di germi e virus. Il suo tasso di radioattività era stato accuratamente misurato. Gli occhi erano stati bombardati con lampi di luci, mentre veniva sottoposto a un fuoco di fila di domande. Un paio di volte gli sembrò che l’avessero fatto addormentare. Era stato passato ai raggi X e controllato con un rivelatore magnetico per scovare bombe innestate chirurgicamente nel corpo. Durante tutte queste operazioni, aveva provato un’indignazione futile quanto avvilente.

Ma ora, mentre un’ultima mano di gomma che scorreva in una fenditura della parete lo spingeva lungo un corridoio depositandolo infine all’entrata di una grande sala, si rese conto improvvisamente che non gli importava più. Anzi, si sentiva perfettamente calmo.

Un inserviente umano lo condusse a una sedia. Si guardò intorno. Erano presenti quasi tutte le persone con cui aveva avuto a che fare negli ultimi giorni: Jack e Juno Jones, con un’aria piuttosto terrorizzata, insieme a Cookie; Moe Brimstine con i suoi assurdi capelli rossi; Mitzie Romadka con il padre pallido e confuso; Sacheverell e Mary Akeley; il dottor Garnett e il Rettore Frobister della Fondazione Humberford; Dion e Dytie da Silva, quest’ultima avvolta in un mantello; c’erano perfino Carstairs, Llewellyn e Buck. Oltre a questi, Phil scorse una quantità di visi nuovi: agenti dell’FBL, probabilmente. Altri individui, forse guardie, erano allineati lungo le pareti.

Quasi tutti stavano guardando tre uomini seduti come giudici dietro una grande scrivania: il dottor Morton Opperly, il Presidente Robert T. Barnes, e un uomo dal viso impassibile in cui Phil riconobbe il capo dell’FBL, John Emmett.

Emmett era magro come Opperly, ma molto più duro. Come quelli di Opperly, i suoi occhi dimostravano un’acuta e incessante curiosità, ma un genere di curiosità mai disinteressata, come se per lui ogni nuovo fatto rappresentasse una nuova responsabilità.

In quel momento Emmett stava parlando con Dave Greeley, il quale sorvegliava due tecnici in camice bianco impegnati a telemanipolare Lucky, floscio come uno straccio, dentro una bassa scatola circondata da valvole e transistor. Apparentemente Greeley aveva manifestato qualche dubbio circa il grado di sicurezza dell’apparecchiatura ed Emmett lo stava rassicurando: il reparto ricerche garantiva che nell’interno del campo paralizzante a bassa intensità in cui era stato posto Lucky, il gatto era inoffensivo.

Phil poté udire soltanto la fine della conversazione, mentre veniva fatto sedere fra Sacheverell e il dottor Garnett. Poi nella stanza si fece silenzio. Emmett li scrutò uno per uno.

Finalmente disse: — Penso che sappiate perché siete qui. Desidero la massima cooperazione da parte di tutti. Fra queste mura siamo completamente al sicuro, ed è possibile la più perfetta franchezza. Io stesso sarò franco come mi aspetto da voi.

Fece una pausa, poi si sporse leggermente in avanti. — Tanto per cominciare, la creatura conosciuta come il gatto verde è reale. Così pure è reale il suo potere di influenzare i pensieri e le emozioni. Esso intende veramente conquistare l’America e il mondo intero. Infine, non è né un mutante né una creatura artificiale, ma un invasore proveniente da un altro sistema planetario. Dottor Opperly, volete cortesemente esporre ai presenti le informazioni che avete ottenuto dall’essere che si maschera sotto il nome di Afrodite da Silva?

La voce del dottor Opperly era debole ma molto chiara.

— L’ottavo pianeta di Vega… ammesso che io e la signorina da Silva abbiamo identificato esattamente la stella… ha caratteristiche simili a quelle terrestri, anche se possiede una massa leggermente superiore. Il suo aspetto, a quanto mi ha detto la signorina, è quello di un’infinita distesa di pianure aride, cosparse di piccoli laghi, acquitrini, macchie di alberi ad alto fusto. Su questo pianeta l’intelligenza si sviluppò in un bipede veloce, dotato di zoccoli, che si nutriva di foglie… Le sue zampe anteriori si trasformarono in organi per afferrare i rami e per arrampicarsi sugli alberi. Questa specializzazione ebbe luogo quando la creatura era allo stato primitivo di equino, cosicché, mentre le gambe posteriori svilupparono zoccoli simili a quelli di un cavallo, quelle anteriori divennero sorprendentemente simili a mani umane. Il risultato è un essere notevolmente simile ai satiri e ai fauni della mitologia greca. Signorina da Silva, vi piacerebbe darne un’idea a questi signori?

Dytie si alzò, si tolse il mantello, e rimase di fronte a loro in tutta la sua villosa nudità. Per un attimo non vi fu alcuna reazione, poi lei batté due volte gli zoccoli a terra e la sua figura divenne reale. Si riavvolse nel mantello e si sedette.

— La signorina da Silva mi dice che i vestiti non si usano su Vega Otto — osservò Opperly. — I suoi abitanti sono molto più avanti di noi tecnologicamente: possiedono campi di forza in grado di deviare la gravità e astronavi atomiche che raggiungono velocità prossime a quelle della luce. Ma la caratteristica più importante di questa razza di satiri è che vivono in simbiosi con creature che non si sono mai evolute sulla Terra e che presentano costumi per noi assolutamente straordinari. Per il momento non dirò niente di questi compagni simbiotici, eccetto che non hanno alcuna tecnologia, non sono originari di Vega Otto, non sono molto intelligenti e sono i responsabili dell’invasione vegana della Terra.

Opperly ignorò il mormorio che accolse queste paradossali affermazioni. — Sotto la spinta dei loro compagni simbiotici — continuò — i satiri… se posso usare questo termine… mandarono un’astronave verso la Terra. Mi è sembrato di capire che i ventisei anni luce di distanza sono stati percorsi in circa trentacinque anni, anche se naturalmente il tempo relativo all’astronave è stato molto inferiore. Arrivati vicino alla Terra, misero in orbita l’astronave rendendola invisibile. Quindi restarono lassù per due anni, scendendo soltanto per alcune caute missioni esplorative su una scialuppa antigravitazionale. Ascoltando le nostre trasmissioni radio e tv hanno imparato un po’ delle nostre lingue e dei nostri costumi. I satiri, accortisi anche che sarebbe stato possibile camuffarsi da terrestri, lo hanno fatto con piacere, poiché sapevano che al momento dell’invasione sarebbe stato opportuno tenersi in stretto contatto con i propri compagni simbiotici, piuttosto scarsi di giudizio. E ora — continuò Opperly lentamente — dovrei descrivere questo compagno simbiotico, ma non sono troppo sicuro di saperlo fare bene. Signorina da Silva, non vorreste… — Dytie scosse la stessa energicamente. Opperly chiuse gli occhi un momento, poi riprese. — Voi tutti sapete come la presenza di un animale domestico o di un bambino possa talvolta portare l’armonia in una casa. Bene, immaginate ora un animale che a un certo punto della sua evoluzione abbia cominciato a specializzarsi in questa funzione di portatore di armonia. Pensate a come il gatto ha trovato un posto nella nostra cultura, soprattutto in virtù della sua grazia, e immaginate quando sarebbe più importante se non ci offrisse soltanto la bellezza, ma anche pace e armonia. Immaginate che questa creatura abbia gradualmente sviluppato la facoltà di creare e di emettere ormoni in grado di calmare l’ira e di suscitare la benevolenza nelle altre creature, qualcosa di simile ai fiori che col profumo attirano le api. E immaginate che, per autodifesa, possa inoltre emettere ormoni che incutono terrore. Supponete poi che abbia acquisito percezioni extrasensoriali e sensibilità alle onde mentali, aprendosi in tal modo un nuovo campo di possibilità per creare armonia e portare pace. Immaginate che si sia trasformato in una specie di catalizzatore extrasensoriale, funzionando come una stazione ripetitrice, che amplifica e irradia onde mentali, oppure riceve, riproduce e proietta nuvole di molecole mnemoniche. Immaginate che sia sopravvissuto e si sia moltiplicato, essendo ricercato per le sue doti di portatore di pace e di comprensione, come il gatto è ricercato per la sua bellezza e viene ripagato in cibo, amore e protezione.