Prese la mano magra e stanca di Mitzie Romadka e le disse che l’amava e che pensava che la violenza, le gelosie e perfino la vendetta fossero ammirevoli, almeno fino a un certo punto.
Ma non perse mai di vista il suo obiettivo principale. Mentre si avvicinava alla bassa cassetta dalla quale Lucky sbirciava in giro tranquillamente, il Presidente Barnes lasciò Mary Akeley, dopo averla rassicurata che gli ordini per la distruzione dei gatti erano già stati annullati, e si diresse verso Phil. Gli gettò le braccia al collo con fare paterno e disse: — Mio giovane amico, ho sentito che siete stato molto vicino a questo gatto per un paio di giorni. Mi spiace di dovervelo portare via.
Phil si irrigidì. — Neanche per sogno — disse. — Lucky è il mio gatto.
— Sentite, amico mio — protestò cortesemente Barnes — io sono il Presidente, e devo avere uno di questi gatti. Emmett ha già il suo, e certamente bisogna darne uno alla Fondazione Humberford. Ci sono solo tre gatti nel paese: avete sentito cosa ha detto la signorina di Vega.
Parecchie persone e i due satiri si avvicinarono, incuriositi dalla discussione.
— Non m’importa — disse Phil, notevolmente incoraggiato dalla stretta di Mitzie. — So benissimo che questa è una crisi cosmica, e tutto il resto, ma Lucky è il mio gatto, gli ho dato da mangiare e intendo tenermelo. Vieni, Lucky.
Lucky balzò fuori dalla scatola tra le sue braccia.
— Penso che questa sia la prova — disse Phil.
Barnes lo guardò con una certa indignazione, mentre i presenti facevano ogni genere di commenti.
Ma proprio in quel momento si sentì un flebile miagolio. Veniva dalla scatola. Tutti guardarono dentro, e videro cinque piccole copie di Lucky che allungavano il musetto triangolare verso l’alto.
Dytie disse: — Loro piccoli, ma buoni come gatti grandi, molto utili.
Barnes allargò le braccia ed esclamò: — Adesso ce ne sarà uno per l’esercito, uno per la marina, uno per il dottor Opperly, uno per me, uno per quel buffone della costa orientale che crede di diventare il prossimo presidente…
— Calma, Bobbie — disse Opperly. — Non dare via più gatti di quelli che hai.
— … e, stavo dicendo, uno per questo bravo giovane.
Phil guardò Lucky rannicchiato tra le sue braccia. — Così sei una femmina, dopo tutto — disse.
— Oh, no! — proruppe Dytie eccitata, mezza fuori dal suo mantello. — Tu non capire Vega. Su Vega sesso diverso. Su Vega è come… — fece una smorfia cercando la parola.
— Canguri — suggerì Opperly.
— Sì! — esclamò Dytie trionfante. — Solo questa differenza: moglie porta bambini un po’, poi bambini vanno in borsa padre, e lui li porta fino alla fine. Tutti aiutano. Poi bambini lasciano borsa, e mamma allatta. Levati pantaloni, Dion. Fai vedere borsa.
Ma Dion rifiutò, alquanto indignato.
— Uomini di Vega molto pudichi — disse Dytie a Phil. — Comunque, Lucky è maschio.