Afferrò la mano di Rovic, fissando il capitano che la sovrastava. Implorò: — Davvero tu puoi procurarmi l’argento vivo? Me ne basta quanto può riempire un cranio umano, solo questo, oltre a qualche piccola riparazione che posso facilmente eseguire con gli utensili della nave. Quando cominciò questo culto religioso della mia persona, dovetti cedere alcune cose che possedevo, perché i templi delle province avessero delle reliquie, ma feci attenzione di non dare mai nulla d’importante. Tutto quello di cui ho bisogno è ancora là. Un poco di argento vivo e… Dio, Dio, forse la mia sposa è ancora viva laggiù, sulla Terra!
Finalmente Guzan cominciava a comprendere la situazione. Con un gesto richiamò i due principi, che sollevarono le loro scuri e si accostarono. La porta era chiusa, ma sarebbe bastato un comando per far apparire i guardiani. Gli occhi di Rovic passarono da Val Nira a Guzan, il cui volto incupiva per la tensione. Il mio signore posò una mano sull’elsa della spada, e in nessun altro modo sembrò pensare a qualche pericolo. — Se ho ben compreso, signor mio — disse con voce tranquilla — tu vuoi che la Nave Celeste sia messa di nuovo in condizione di volare.
Guzan fu colto di sorpresa ed esclamò: — Certo, naturalmente, perché no?
— Il vostro iddio addomesticato vi lascerebbe, dunque: cosa sarebbe allora del vostro potere su Hisagazi?
— Io. — balbettò Iskilip. — Io non avrei mai pensato…
Gli occhi di Val Nira saettavano dall’uno all’altro, il suo corpo sottile tremava. — No! — esclamò. — Non potete trattenermi!
Guzan annuì. Poi senza riguardi aggiunse: — Ancora pochi anni e comunque dovrai partire con la canoa della morte. Se nel frattempo ti trattenessimo contro la tua volontà, forse tu ci daresti delle profezie false. No, sta’ tranquillo, ci procureremo la tua pietra liquida. — Gettò un’occhiata obliqua a Rovic: — Chi la fornirà?
— La mia gente — rispose il capitano. — La mia nave può facilmente giungere a Giair, dove sono popoli civili che certamente hanno l’argento vivo. Possiamo tornare nel tempo di un anno, credo.
— Insieme con una flotta di corsari, per aiutarti a impadronirti del Sacro Vascello? — domandò cupamente Guzan. — Oppure… una volta fuori dalle nostre isole… senza dirigerti verso Yurakadak, potresti proseguire fino al tuo paese, parlare alla tua Regina, e quindi ritornare con tutti i poteri che ella ti offrirebbe.
Rovic si era appoggiato a uno dei pilastri che sorreggevano il tetto e malgrado la rossa cappa, la gorgiera e le uose pareva un grosso felino pronto al balzo. La sua mano destra era sempre posata sull’elsa. — Solo Val Nira, suppongo, può far volare quella Nave — osservò quietamente. — Che importanza ha chi possa aiutarlo a compiere le riparazioni? Certo non pensi che una delle nostre nazioni possa conquistare il Paradiso!
— La Nave è molto semplice da condurre — interloquì Val Nira. — Chiunque può farla volare. Ho già mostrato a molti nobili quali leve bisogna usare. È la navigazione fra le stelle, la cosa difficile. Nessuno di questo pianeta potrebbe raggiungere il mio popolo senza aiuto, non parliamo poi di combatterlo: ma perché mai dovreste pensare di combattere? Ti ho già detto migliaia di volte, Iskilip, che gli abitatori della Via Lattea non sono pericolosi per nessuno, ma d’aiuto per chiunque. Sono talmente ricchi che non sanno nemmeno come utilizzare la loro ricchezza, e sarebbero felici di poterne impiegare per aiutare i popoli di questo mondo a progredire. — Ebbe uno sguardo ansioso, quasi disperato, per Rovic: — Progredire a fondo, voglio dire: possiamo insegnarvi le arti, darvi motori, automi, androidi che facciano per voi ogni lavoro pesante; possiamo darvi navi che volano nell’aria e che trasportano passeggeri regolarmente da una stella all’altra.
— Queste sono cose che ci hai promesso per quarant’anni — ricordò Iskilip. — Abbiamo soltanto la tua parola.
— E finalmente ora c’è la possibilità di provare la sua parola — proruppi io.
Guzan disse, con calcolata diffidenza: — Le cose non sono tanto semplici, Maestro. Io stesso ho osservato per settimane questi uomini che vengono dall’Oceano, quando sono rimasti a Yarzik. Anche se si comportano nel migliore dei modi, restano sempre un gruppo di avidi conquistatori e mi fido di loro soltanto fin dove arrivo con gli occhi. Capisco ora come proprio oggi essi ci hanno beffati. Conoscono il nostro linguaggio meglio di quel che mostrano e in più ci hanno indotti a credere che essi avessero una qualche specie di Messaggero. Se la Nave fosse messa veramente in condizioni di volare ancora, e fosse nelle loro mani, chi può dire quello che sceglierebbero di fare?
Il tono della voce di Rovic si era ancora più addolcito, quando chiese: — Che cosa proponi, Guzan?
— Possiamo parlarne un’altra volta.
Vidi le nocche che si stringevano sulle asce di pietra. Per un momento si udì soltanto il respiro affannoso di Val Nira. Guzan era immobile sotto la luce della lampada e si soffregava il mento mentre i suoi piccoli occhi neri si rivolgevano in basso pensosi. Alla fine riscuotendosi, disse: — Forse un equipaggio composto per la maggior parte di hisagaziani potrebbe condurre la tua nave, Rovic, e andare a cercare la pietra liquida. Alcuni dei tuoi uomini andrebbero con loro per istruirli, mentre gli altri resterebbero qui come ostaggi.
Il mio capitano non diede risposta alcuna. Val Nira implorò: — Non capite! Vi state accapigliando per nulla! Quando la mia gente verrà qui, non ci saranno più guerre, non più oppressioni ed essi vi salveranno da tutti questi mali. Vi saranno amici, non favoriranno nessuno. Io vi prego…
— Basta — troncò Iskilip. Le sue parole caddero gelide. — Lasciamo che su tutto questo passi l’ala del sonno, se sarà possibile dormire dopo tante novità.
Rovic scrutò, oltre il piumaggio dell’imperatore, la faccia di Guzan. — Prima che si decida qualsiasi cosa… — Le sue dita si strinsero sull’elsa della spada finché le nocche diventarono livide. Qualche pensiero doveva essergli sopravvenuto, ma egli mantenne pacato il tono della sua voce. — Per prima cosa, voglio vedere questa nave. Possiamo andarci domani?
Iskilip era l’Imperatore, il Maestro, ma restò indeciso a muoversi nel suo paludamento di piume. Guzan assentì.
Ci salutammo e uscimmo sotto la luce di Tambur, che essendo presso alla sua fase di pienezza inondava di freddo splendore il cortile. La capanna era nell’ombra del tempio e formava un profilo nero nel quale spiccava il sottile riquadro illuminato della porta. E là era immobile il debole corpo di Val Nira, l’uomo venuto dalle stelle; egli ci seguì collo sguardo finché non scomparimmo alla vista.
Mentre discendevamo, Guzan e Rovic parlottavano in fretta. La Nave era a due giorni di marcia, nell’interno dell’isola, su per i pendii del monte Ulas. Saremmo andati a vederla tutti insieme, ma soltanto una dozzina di montaliriani avrebbe potuto venire. Più tardi avremmo discusso sulla nostra linea d’azione.
Lanterne gialle brillavano sulla poppa della nostra caravella. Rifiutando l’ospitalità di Iskilip, Rovic e io tornammo a bordo per la notte. Un lanciere di guardia alla passerella mi chiese che cosa avessimo appreso. — Domandamelo domani — dissi debolmente. — Ho le idee troppo scosse.