In piedi accanto a lei e camminandole accanto, Daeman ne percepiva il calore della pelle sotto l’abito di seta nera e marrone. Il labbro inferiore di Ada, notò di nuovo dopo dieci anni, era di una pienezza da far impazzire, rosso, tutto da mordere. Quando Ada alzò il braccio per mostrare a Hannah e a Harman l’altezza degli scaffali nella libreria, Daeman ammirò il lieve e morbido movimento del seno destro sotto la sottile guaina di seta.
Era già stato in una biblioteca, ma mai in una grande come quella. La stanza di sicuro era lunga più di trenta metri e alta la metà, con un soppalco su tre pareti e scalette scorrevoli su tutt’e due i piani, per consentire l’accesso ai volumi posti più in alto. C’erano nicchie, angolini, tavoli con grossi libri aperti, qua e là posti per sedersi, perfino scaffali di libri sopra l’enorme bovindo nella parete di fronte. Daeman sapeva che quei libri, molti e molti secoli prima, probabilmente millenni, erano stati di sicuro trattati con prodotti chimici antidecomposizione (quegli inutili manufatti erano di pelle e di carta e d’inchiostro, santo cielo!) ma alle sue sensibili narici la sala dai pannelli di mogano, con le pozze di luce, gli antichi mobili rivestiti di cuoio e le minacciose pareti di libri, puzzava ancora di vecchio e di marciume. Daeman non riusciva a immaginare perché Ada e i suoi familiari mantenessero quel mausoleo a villa Ardis né perché Harman e Hannah volessero visitarlo proprio quella sera.
L’uomo ricciuto che sosteneva d’essere nell’ultimo anno di vita e di avere camminato nella Breccia atlantica si bloccò, pieno di meraviglia. «È magnifico, Ada!» esclamò. Salì una scaletta, la spostò lungo una fila di scaffali e protese la mano a toccare un grosso volume rilegato in pelle.
Daeman rise. «Crede che la funzione lettura sia tornata, Harman Uhr?»
Harman sorrise, ma parve così fiducioso che per un secondo Daeman quasi s’aspettò di vedere il dorato flusso di simboli lungo il braccio mentre la funzione lettura selezionava il contenuto. Ovviamente Daeman non aveva mai visto in atto la funzione perduta, ma l’aveva sentita descrivere da sua nonna e da altri anziani che parlavano di ciò che avevano avuto a disposizione i loro bis-bis-bisnonni.
Nessun flusso di parole. Harman ritrasse la mano. «Non le piacerebbe avere la funzione lettura, Daeman Uhr?»
Daeman si ritrovò di nuovo a ridere, in quella bizzarra serata; e fu acutamente consapevole dell’occhiata, un misto di confusione e di curiosità, delle due giovani donne. «No, certo» rispose infine. «Perché dovrebbe? Cosa potrebbero dirmi, quelle vecchie cose, che abbia attinenza con la nostra vita oggi?»
Harman salì più in alto sulla scaletta. «Non è curioso di sapere perché i post-umani non si vedono più sulla Terra e dove sono andati?»
«Per niente. Sono tornati a casa, nelle loro città negli anelli. Lo sanno tutti.»
«Perché?» chiese Harman. «Dopo molti millenni passati a plasmare i nostri affari qui, a vegliare su di noi, perché se ne sono andati?»
«Sciocchezze» disse Daeman, forse un po’ più sgarbatamente di quanto non volesse. «I post vegliano ancora su di noi. Dall’alto.»
Harman annuì, come se la risposta chiarisse tutto, e spinse la scaletta di qualche metro lungo la rotaia d’ottone. Ora con la testa sfiorava la parte inferiore del soppalco. «E i voynix?»
«Che c’entrano, i voynix?»
«Si è mai chiesto perché sono rimasti immobili per tanti secoli e adesso sono così attivi?»
Daeman aprì bocca, ma non trovò niente da ribattere. Dopo un momento disse: «La storia che i voynix si muoverebbero solo in vista del fax finale è una completa idiozia. Mito. Folclore».
Ada gli si avvicinò. «Daeman, ti sei mai chiesto da dove sono venuti?»
«Chi, mia cara?»
«I voynix.»
Daeman rise di cuore, sinceramente. «No, certo, signora mia. I voynix sono sempre stati qui. Sono permanenti, fissi, eterni, a volte fuori vista, ma sempre presenti, come il sole o le stelle.»
«O gli anelli?» disse Hannah, col suo tono sommesso.
«Proprio così» rispose Daeman, compiaciuto che lei capisse.
Harman tolse dallo scaffale un pesante volume. «Daeman Uhr, Ada mi ha detto che è un buon entomologo specializzato in lepidotteri.»
«Prego?»
«Un esperto di farfalle.»
Daeman arrossì. Era sempre piacevole vedere riconosciute le proprie abilità, anche da estranei, perfino da estranei non del tutto sani di mente. «Non un esperto, Harman Uhr, un semplice collezionista al quale lo zio ha insegnato qualcosa.»
Harman scese dalla scaletta e portò il pesante libro su un tavolino di lettura. «Allora questo libro le dovrebbe interessare» disse. Lo aprì. Una dopo l’altra, le lucide pagine mostravano pittoresche raffigurazioni di farfalle.
Daeman si avvicinò, senza parole. Dallo zio aveva appreso il nome di una ventina di tipi di farfalle e da altri collezionisti aveva imparato quello di alcuni esemplari da lui catturati. Tese la mano a toccare l’immagine di un macaone.
«Macaone» disse Harman e soggiunse: «Papilio rutulus».
Daeman non capì le ultime due parole, ma fissò con stupore Harman. «Le colleziona anche lei!»
«Oh, no» rispose Harman. Toccò un’immagine a Daeman ben nota, giallo oro e nero. «Monarca.»
«Sì» disse Daeman, confuso.
«Vanessa atalanta, Speyeria aphrodite, Melitea, Lycaena icarus, Vanessa del cardo, Parnassio febo» disse Harman, toccando via via le immagini. Delle nominate, Daeman ne riconobbe tre.
«Lei conosce le farfalle» disse.
Harman scosse la testa. «Prima d’ora nemmeno immaginavo che tipi diversi avessero nomi diversi.»
Daeman guardò la tozza mano di Harman. «Lei ha la funzione lettura.»
Harman scosse di nuovo la testa. «Più nessuno ha quella funzione palmare. Né quella di comunicazione o di orientamento geografico o di accesso dati o di autofax lontano dai nodi.»
«Allora…» cominciò Daeman e s’interruppe, genuinamente confuso. Si chiese se lo prendessero in giro, per chissà quale motivo. Era venuto a passare il fine settimana a villa Ardis, pieno di buone intenzioni (be’, con l’intenzione di sedurre Ada, ma in allegria) e ora questo… gioco malizioso?
Come se avesse intuito che cominciava ad arrabbiarsi, Ada gli toccò il braccio. «Harman non ha la funzione lettura, Daeman Uhr» disse piano. «Di recente ha proprio imparato a leggere.»
Daeman la fissò. Imparare a leggere era assurdo quanto celebrare il proprio novantanovesimo compleanno o cianciare della Breccia atlantica.
«È una cosa che si impara» disse con calma Harman. «Come i nomi delle farfalle o la sua leggendaria tecnica di… seduzione.»
Nell’udire l’ultima frase Daeman batté le palpebre per la sorpresa. "L’altro mio hobby" si chiese "è davvero così noto?"
Intervenne Hannah. «Harman ha promesso d’insegnarci il trucco… d’insegnarci a leggere. Potrebbe venire utile. Devo imparare come si fanno le gettate, anziché continuare per tentativi e scottarmi.»
"Gettate?" si domandò Daeman. Conosceva pescatori che usavano quella parola. Non capiva però cosa avesse a che fare con le scottature o la funzione lettura. Si umettò le labbra e disse: «Questi giochi non m’interessano. Cosa volete da me?».
«Dobbiamo trovare una nave spaziale» disse Ada. «E abbiamo motivo di credere che tu ci possa aiutare.»
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