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Mahnmut rimase in silenzio, ma non era sicuro che fosse quella la ragione del contatto. Non aveva mai visto emozioni nei POV, nemmeno quando il loro interprete si era avvizzito ed era morto dopo la conversazione con lui, e trovava difficile credere che gli fossero grati, anche se erano marinai abbastanza esperti da capire che, senza il suo intervento, la loro nave sarebbe colata a picco.

«O forse pensano solo che sei fortunato e cercano di procurarsi un po’ di fortuna toccandoti» soggiunse Orphu.

Prima che Mahnmut potesse esprimere la sua opinione su quella ipotesi, l’ultimo POV della fila, anziché dare un colpetto sulla spalla del moravec e passare oltre, si mise in ginocchio, prese la destra di Mahnmut e se la posò sul petto.

«Oh, no» gemette Mahnmut, rivolto a Orphu. «Vogliono di nuovo comunicare.»

«Bene» disse Orphu. «Abbiamo domande da fare.»

«Le risposte non valgono la morte di un altro di loro» replicò Mahnmut. Ritirò la mano con la stessa forza con cui il piccolo omino verde la tirava verso di sé.

«Potrebbe valerne la pena» disse Orphu «anche se l’unità POV subisce qualcosa di simile alla tua idea di morte, cosa della quale dubito. E poi, lo fa di sua iniziativa. Lasciagli stabilire il contatto.»

Mahnmut smise di opporsi e lasciò che il POV gli tirasse la mano verso il petto, dentro il petto.

Di nuovo provò la sconcertante sensazione di dita che penetravano nella carne e s’immergevano nella calda e densa soluzione salina, della mano che si chiudeva intorno al pulsante organo delle dimensioni di un cuore umano.

«Prova a stringere un po’ meno, stavolta» suggerì Orphu. «Se la comunicazione avviene davvero mediante pacchetti molecolari di nanobyte organici, forse una superficie di contatto inferiore limita il volume dei loro pensieri.»

Mahnmut annuì, anche se si rendeva conto che Orphu non poteva vedere il suo cenno; poi si concentrò solo sulla bizzarra vibrazione che dalla mano gli risaliva lungo il braccio fino al cervello, mentre il piccolo omino verde iniziava la conversazione.

TI ESPRIMIAMO
GRATITUDINE
PER IL SALVATAGGIO
DELLA NOSTRA NAVE.

«Non c’è di che» disse a voce Mahnmut, concentrando i pensieri nel linguaggio parlato nello stesso tempo in cui condivideva lo scambio con Orphu sul canale a fascio compatto. «Ma voi chi siete? Come vi chiamate?»

ZEK.

Mahnmut non sapeva che cosa significasse quella parola. Sentì pulsare fra le dita l’organo di comunicazione del POV e provò l’impulso di lasciarlo, di estrarre la mano dal petto di quella creatura già condannata… ma ormai il gesto non sarebbe stato utile a nessuno dei due. Conosci questa parola… "Zek"? chiese a Orphu.

Un momento, trasmise Orphu. Accedo al terzo livello dii memoria. Ecco qui… da Una giornata di Ivan Denisovic. Termine dialettale collegato alla parola russa "sharashka": "uno speciale istituto scientifico o tecnico equipaggiato con prigionieri"; i prigionieri di quei campi di lavoro sovietici erano detti "zek".

Be’, trasmise Mahnmut, non credo che questi POV marziani a base clorofilliana siano prigionieri di un regime terrestre che ebbe vita breve più di duemila anni fa. Lo scambio di battute con Orphu era avvenuto in meno di due secondi. Mahnmut si rivolse al piccolo omino verde: «Vuoi dirci da dove provenite?».

Stavolta la risposta non fu in parole, ma in immagini: campi verdi, cielo azzurro, un sole molto più grande di quello nel cielo marziano, una lontana e indistinta catena di montagne nell’aria densa. «La Terra?» disse Mahnmut, sorpreso.

NON LA STELLA NEL CIELO NOTTURNO DI QUI.
UNA TERRA DIVERSA.

Mahnmut rifletté sulla risposta, ma non seppe come formulare una domanda chiarificatrice, se non con un goffo: «Quale Terra, allora?».

Il piccolo omino verde rispose solo con le stesse immagini di campi verdi, di lontane montagne, di un sole come quello che si vede dalla Terra. Mahnmut sentiva che l’energia del POV si riduceva, che l’organo simile al cuore pulsava con minore vitalità. "Lo sto uccidendo" pensò, in preda al panico.

Chiedigli delle facce di pietra, trasmise Orphu.

«Chi è l’uomo raffigurato nelle facce di pietra?» chiese Mahnmut, obbediente.

IL MAGO.
QUELLO DEI LIBRI.
SIGNORE DEL FIGLIO DI SICORACE, CHE CI PORTÒ QUI.
IL MAGO È PADRONE PERFINO DI SETEBO,
DIO DELLA MADRE DEL NOSTRO SIGNORE.

Il mago! trasmise Mahnmut a Orphu.

Significa "sacerdote", "indovino" o "stregone"… come i tre Re magi…

Maledizione! esclamò rabbiosamente Mahnmut: sprecava il tempo del piccolo omino verde moribondo. Sentiva il battito del cuore farsi più lento a ogni secondo. So cosa significa "mago", ma non credo nella magia e nemmeno tu ci credi, Orphu.

Pare però che i nostri POV ci credano, replicò Orphu. Chiedigli degli abitanti di Olympus Mons.

«Chi sono quelle persone che volano su cocchi e stanno su Olympus?» chiese Mahnmut. Aveva l’impressione di fare le domande sbagliate, ma non riusciva a pensarne di migliori.

SEMPLICI DÈI

rispose il piccolo ornino verde, fra esplosioni di immagini di nanobyte che si risolsero in parole:

TENUTI QUI IN SCHIAVITÙ
DA UN AMARO CUORE CHE IL MOMENTO ASPETTA E MORDE.

«Chi è…?» cominciò Mahnmut, ma troppo tardi: il piccolo omino verde si rovesciò di colpo all’indietro e nella mano del moravec rimase solo un involucro secco, anziché un cuore pulsante. Appena toccò il ponte, il POV cominciò ad avvizzire e a contrarsi. Un liquido chiaro fluì sulle tavole, mentre gli occhi color antracite della piccola creatura sprofondavano nella faccia cadente, verde e poi marrone, e la pelle cambiava colore, si raggrinziva, non era più la sagoma di un uomo. Altri POV si avvicinarono e portarono via l’accartocciato involucro scuro.

Mahnmut cominciò a tremare in modo incontrollabile.

«Dobbiamo trovare un altro interprete e terminare la conversazione» disse Orphu.

«Non ora» rispose Mahnmut fra un tremito e l’altro.

«"Un amaro cuore che il momento aspetta e morde"» ripeté Orphu. «Non puoi non avere riconosciuto questa citazione.»

Mahnmut scosse fiaccamente la testa, ricordò che l’amico era cieco e disse: «No».

«Ma sei tu lo studioso di Shakespeare!»

«Non è di Shakespeare.»

«No» riconobbe Orphu «è di Browning, Calibano su Setebos.»

«Non l’ho mai sentita» disse Mahnmut. Riuscì a tirarsi in piedi — due piedi, non quattro zampe — e barcollò fino alla murata. L’acqua che s’increspava lungo le fiancate della feluca adesso era più blu che rossa. Mahnmut capì che, se fosse stato una persona, avrebbe vomitato dalla murata.

«Calibano!» quasi gridò Orphu. «"Un amaro cuore che il momento aspetta e morde." La creatura deforme, parte animale marino e parte uomo, aveva per madre una strega, Sicorace, e il dio di sua madre era Setebo.»

Mahnmut ricordò che il POV morente aveva usato quelle parole, ma non riusciva a concentrarsi sul significato, ora. Tutta la conversazione era stata come infilare perle di sangue su uno spago di tessuto vivo.

«I POV non potrebbero averci sentito recitare la Tempesta tre giorni fa, quando hai ripreso il controllo della feluca?» chiese Orphu.