"Salperà davvero?" mi chiedo. Non riesco a capacitarmi. Non solo non ho trovato il fulcro né cambiato la situazione, ma ora tutta l’Iliade è uscita dai binari. Da più di nove anni sono qui come scoliaste, a guardare e osservare e riferire alla Musa, e nemmeno una volta c’è stata una sensibile discrepanza fra gli eventi di questa guerra e la narrazione di Omero. Ora invece… Se Achille se ne va (e tutto lascia credere che all’alba se ne andrà davvero) gli achei saranno sconfitti, le loro navi saranno bruciate, Ilio sarà salva ed Ettore, non Achille, sarà il grande eroe del poema epico. Pare poco probabile che l’Odissea di Odisseo abbia luogo… di certo non nel modo in cui è stata cantata. Tutto è cambiato. "Solo perché il vero Fenice non era lì a fare la sua vera orazione?" penso. "Oppure perché gli dèi hanno interferito in questo punto focale prima che potessi farlo io?" Non lo saprò mai. La mia occasione di convincere Achille e Odisseo è svanita per sempre, il mio piano ingegnoso è fallito.
«Vieni, vecchio Fenice» dice Patroclo; mi prende per il braccio come se fossi un bambino e mi conduce in una stanza laterale nella grande tenda, dove sono pronti cuscini e coperte. «È ora di andare a letto. Domani è un altro giorno.»
31
GERUSALEMME
«Che cos’è?» chiese Harman. Era fermo con Daeman all’ombra del Muro occidentale, a Gerusalemme, solo qualche passo dietro Savi: tutt’e tre guardavano il compatto raggio di luce azzurra che trafiggeva il cielo sempre più scuro.
«Credo che siano i miei amici» rispose Savi. «Tutti i novemilacentoquattordici amici miei, gli umani vecchio stile spazzati via nel fax finale.»
Daeman guardò Harman: anche lui, capì, dubitava della salute mentale della vecchia.
«I tuoi amici?» disse. «Quella è una luce azzurra.»
Savi distolse lo sguardo dal raggio (ora illuminava la sommità degli antichi edifici e le mura intorno a loro, bagnava tutto di un bagliore azzurro, mentre la luce del giorno svaniva) e fissò i due uomini, con quello che avrebbe potuto essere un mesto sorriso. «Sì. Quel raggio di luce azzurra. I miei amici.» Con un gesto li invitò a muoversi e li precedette fuori dalla corte, lontano dal muro, lungo la strada da dove erano venuti, lontano dalla base del raggio di luce azzurra.
«I post ci dissero che il fax finale era un modo per memorizzarci mentre ripulivano il mondo» continuò Savi, con voce bassa che però echeggiava negli stretti vicoli. «Il piano era, spiegarono, di ridurre i nostri codici… per i post-umani eravamo tutti codici fax anche allora, amici miei… ridurre i nostri codici e metterci in un loop neutrinico continuo per diecimila anni, mentre loro rassettavano il pianeta.»
«Che cosa significa?» disse Harman. «Rassettare il pianeta?»
Camminavano sotto una lunga arcata e Daeman riuscì a malapena a scorgere che Savi sorrideva di nuovo. «Verso la fine dell’Età Perduta le cose sono andate un po’ a catafascio» spiegò la vecchia. «Ancora peggio, dopo il rubicon. Poi giunsero gli Anni Folli. ARNisti indipendenti riportavano in vita dinosauri e Uccelli Terrore e specie botaniche estinte da lungo tempo, alterando l’ecologia del pianeta, mentre la biosfera e la datasfera cominciavano a fondersi nella noosfera cosciente, la logosfera. A quel tempo i post-umani erano già fuggiti nei loro anelli. La noosfera senziente della Terra non si fidava più di loro e a ragione: i post sperimentavano il teletrasporto quantico, aprivano ingressi in posti che non capivano, aprivano porte che avrebbero dovuto lasciare chiuse.»
Giunsero in una via più ampia e Harman si fermò. «La smetti di dire cose senza senso, Savi? Non riusciamo a capire nemmeno un terzo di ciò che dici.»
«Come potreste?» ritorse Savi, guardando Harman con un’espressione o di dolore o di grande dispiacere. «Come potreste capire? Non avete storia. Non avete tecnologia. Non avete libri.»
«I libri li abbiamo» replicò Harman, sulla difensiva.
Savi si mise a ridere.
«Tutti questi discorsi di dinosauri e di sfere cos’hanno a che fare col raggio azzurro?» chiese Daeman.
Savi si sedette su un basso muricciolo. La brezza si era levata e sibilava, in alto, fra tegole rotte. L’aria si rinfrescava rapidamente. «Non volevano averci fra i piedi, mentre rassettavano il pianeta» ripeté Savi. «Un toro di neutrini, dissero. Niente massa. Niente confusione. Niente casini. Per loro, diecimila anni per rassettare la Terra. Per noi umani vecchio stile, meno d’un battito di ciglia. Così dissero.»
«Però ti hanno lasciata indietro» obiettò Harman.
«Sì.»
«Per caso?»
«Ne dubito» rispose Savi. «Ben poco di ciò che i post facevano era per caso. Forse avevano uno scopo, nei miei riguardi. Forse mi punirono perché riportavo alla luce storie che era meglio lasciare sepolte. Era il mio lavoro, sapete. Studiavo la storia. Storia della cultura.» Rise di nuovo.
Daeman non riuscì a capirne il motivo. «Allora i neutrini sono azzurri?» chiese. Era deciso a ottenere una risposta diretta.
Savi rise ancora. «Ne dubito molto. Non credo che i neutrini abbiano colore… né bellezza. Ma quel raggio azzurro compare ogni Tisha b’Av, ogni nove di Av, e qualcosa mi dice che il resto degli umani vecchio stile, tutti i miei amici, sono memorizzati e codificati in quel raggio azzurro. Non credo che sia quella macchina a generare il raggio. Credo che ogni anno la Terra, a questo punto dell’orbita, attraversi il raggio di neutrini e che la macchina si limiti a renderlo visibile.»
«Ma non sono trascorsi diecimila anni dal fax finale» disse Harman. «Solo millequattrocento, da quanto dici.»
Savi annuì stancamente. «E le cose non sono state rassettate molto, dal fax finale, vero, miei giovani amici?» Si alzò, prese lo zaino e imboccò la stretta via. Si fermò di colpo.
«Un voynix!» esclamò Daeman. «Ora non dovremo più camminare fino al sonie. Gli diremo di portare qui un calessino e…»
Il voynix, una sagoma di ferro e di cuoio nell’arcata ovest davanti a loro, all’improvviso ritrasse i manipolatori e li sostituì con lame taglienti. Poi si lanciò alla carica, dritto contro di loro, correndo a quattro zampe sulla facciata laterale dell’edificio, come un frenetico ragno.
Savi si era messa a frugare ansiosamente nello zaino nel momento stesso in cui Daeman aveva indicato il voynix; estrasse il nero congegno di plastica e di metallo ("pistola", l’aveva chiamato) e prese di mira il voynix alla carica.
Daeman era rimasto troppo sorpreso per muoversi. Era il più vicino al voynix, che zampettava ancora sul muro, a due metri e mezzo di altezza, e saltava in orizzontale su tutt’e quattro le zampe; ma la creatura pareva concentrata su Savi e oltrepassò di corsa Daeman. All’improvviso l’aria della sera fu lacerata da un rumore, come di spatole di legno raschiate su lastre di pietra, e il muro volò in una pioggia di schegge; il voynix fu scagliato all’ìndietro e cadde sul selciato. Savi avanzò di qualche passo, mirò e sparò di nuovo.
Decine di fori grossi come la punta di un dito comparvero sul guscio e sul cappuccio metallico del voynix. Il braccio destro volò in alto come per lanciare qualcosa, ma altri dardi lo colpirono, lo staccarono dall’articolazione, lo scagliarono lontano. Il voynix si mise a fatica in piedi, una lama ancora ronzante.