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Tocco Patroclo al centro del petto glabro e abbronzato: i quasi invisibili elettrodi e gli invisibili cavi gli trasmettono una corrente di cinquantamila volt.

Patroclo si stringe il petto, come colpito da un fulmine, lancia un grido, si contorce e si dibatte come per una crisi epilettica, si piscia addosso e crolla a terra.

Prima che Achille possa reagire (il piè veloce è lì in piedi, nudo, pugni chiusi, occhi sporgenti, troppo sorpreso per muoversi), Atena muove due passi avanti, afferra per i capelli quello che sembra il cadavere di Patroclo e lo trascina rudemente sul terreno.

Achille si sblocca, estrae dal fodero la spada lasciata su uno sgabello.

Sempre trascinando per i capelli l’inerte Patroclo, Atena vibra ed esce dalla stabilità morfica quantica, screziata di disturbi come una cattiva trasmissione TV. Tocco il medaglione appeso al collo e in un baleno telequanto Patroclo e me stesso fuori della tenda di Achille.

33

GERUSALEMME E BACINO DEL MEDITERRANEO

Savi, seguita da Daeman e da Harman, scese scale a pioli e a gradini e dal tetto si ritrovò in uno stretto vicolo. La luce delle stelle e il bagliore azzurro del raggio di neutrini sul Monte del Tempio fornivano luce appena sufficiente per non sbattere contro i muri o non cadere in un pozzo, mentre correvano, anche se il buio era una solida parete nelle arcate e nelle finestre vuote. In breve Daeman rimase indietro, senza fiato. Non aveva mai corso, nemmeno da bambino. Era assurdo correre.

Più da vicino ora, da meno di un breve isolato nel labirinto di edifici dal tetto piatto e nell’intrico di vicoli, giungeva il raspare di centinaia di voynix in corsa.

«Itbah al-Yahud!» gracchiò la voce dagli altoparlanti che Savi aveva chiamato "muezzin".

Li condusse in una via acciottolata, in un altro vicolo stretto e buio, attraverso una piccola radura disseminata di lucenti ossa umane e in un cortile interno ancora più buio del vicolo. I tonfi soffocati e il raspare dei manipolatori dei voynix, in corsa ad alta velocità lungo i muri, erano adesso più vicini.

«Itbah al-Yahud!» Il grido amplificato pareva più pressante.

"Solo Savi qui è ebrea, qualsiasi cosa significhi" pensò Daeman, con i polmoni in fiamme, barcollando per tenersi al passo. "Se Harman e io le permetteremo di andarsene da sola, i voynix ci lasceranno stare, forse ci aiuteranno perfino a tornare a casa. Non c’è motivo di condividere la sorte della vecchia."

Harman correva veloce dietro Savi che attraversò il cortile, abbassò la testa per varcare una bassa arcata ed entrò nelle rovine di un antico edificio. "Potrei fermarmi solo io" pensò Daeman. "Harman stia pure con la vecchia, se vuole."

Rallentò e si fermò sui ciottoli polverosi. Harman esitò nel nero rettangolo di un androne e lo chiamò a gesti. Daeman si guardò alle spalle, da dove provenivano i rumori, simili a quelli di artigli o di ossa cave sbattute contro la pietra, e nella luce del raggio azzurro vide una decina di voynix che correvano nella via appena attraversata da loro.

Si sentì balzare il cuore in gola. Non era avvezzo alla paura e ritenne terrificante l’idea di fare qualcosa da solo, in quel preciso momento: allora corse nel buio dietro Harman e la vecchia.

Savi li guidò giù per una serie di scale sempre più strette, ogni rampa più antica e più consunta della precedente. Dopo quattro rampe, tolse dallo zaino una torcia elettrica e l’accese, mentre l’ultimo barlume di luce riflessa spariva dal fioco bagliore azzurro in alto. Il sottile raggio della torcia illuminò un muro in fondo alla rampa di scale più stretta e Daeman ebbe di nuovo un colpo al cuore. Poi vide quello che pareva un pezzo di tela da sacchi sporca appeso a coprire un buco troppo stretto (ne era sicuro) per consentirgli il passaggio.

«Presto!» bisbigliò Savi. Scostò il lembo di tela e s’infilò nel buco. Daeman udì un’eco che pareva provenire da un pozzo. Harman si affrettò a seguire nel buio la vecchia.

Daeman sentì un raspio dall’alto, dalle rovine dell’edificio, ma non i passi dei voynix sulle scale. Non ancora, almeno.

Si sporse nel piccolo foro, vi infilò a fatica le spalle, scoprì d’essere sospeso su un cerchio nero privo di fondo del diametro di poco più d’un metro; poi, agitando le mani, trovò anelli di ferro conficcati nella parete opposta e con un grugnito si tirò, torace e bacino, dentro l’apertura, graffiandosi contro l’antico intonaco, finché non ebbe le gambe penzoloni. Allora con i piedi trovò appoggio negli arrugginiti anelli metallici e cominciò a scendere in direzione dei rumori attutiti prodotti da Savi e da Harman che lo precedevano nella discesa.

Sentì salire aria fredda. Mosse, insicuro, mani e piedi da anello ad anello di freddo metallo, udì bisbigli più in basso e all’improvviso non trovò più appoggio e cadde da un metro e mezzo su un pavimento di mattoni.

Harman lo aiutò a tenersi in piedi. Nel cerchio di luce proiettato dalla torcia di Savi, Daeman vide un tunnel a sezione circolare, fatto di antiche pietre o mattoni.

«Da questa parte» disse Savi e riprese a correre, piegata in due per non urtare il soffitto basso. Harman e Daeman la seguirono, cercando di evitare i mattoni irregolari del pavimento curvo e guardando il cerchio di luce della torcia anziché i propri piedi.

Giunsero a un bivio. Savi controllò sulla palma la luccicante funzione guida e scelse il tunnel di sinistra.

«Non sento più rumori di voynix dietro di noi» disse Harman. Aveva parlato piano, ma la voce echeggiò contro i mattoni. Era il più alto dei tre e doveva procedere quasi sempre piegato in due.

«Sono sopra di noi» disse Savi. «Ci seguono nelle vie.»

«Usano proxnet?» chiese Daeman.

«Sì» rispose Savi. Si fermò a un incrocio con tre tunnel più piccoli e scelse quello centrale. Anche lei e Daeman furono costretti a ingobbirsi per procedere.

Harman diede un’occhiata a Daeman, chiaramente incuriosito dal commento su proxnet, ma non chiese spiegazioni.

«Seguono voi, sapete» disse Savi, con un’occhiata prima a Daeman e poi a Harman. La cruda luce della torcia faceva sembrare ancora più vecchio il viso della donna, quasi un teschio.

«Non te?» replicò Daeman, sorpreso.

Savi scosse la testa. «Non risulto su nessuna rete. I voynix non sanno che sono qui. Siete voi due a comparire in territorio vietato sui loro schermi farnet e proxnet. Credo che il portale fax più vicino sia Mantova. I voynix sanno che non siete giunti a piedi fin qui.»

«Ora dove andiamo?» bisbigliò Harman. «Al sonie?»

Savi scosse di nuovo la testa. Aveva i capelli bagnati, per il sudore o per l’umidità condensata, e incollati al cranio. «Questi tunnel non vanno al di là della città vecchia. E ormai i voynix hanno danneggiato il sonie. Cerco il crawler.»

«Il crawler?» ripeté Daeman. Ma Savi, anziché dare spiegazioni, gli girò le spalle e riprese a guidarli nei tunnel.

Dopo un centinaio di passi il cunicolo di mattoni divenne uno stretto corridoio; dopo trenta passi il corridoio divenne una scala; poi una parete bloccò la strada.

Daeman sentì che il cuore minacciava di balzargli dal petto. «E ora che facciamo?» domandò. «Che facciamo? Che facciamo?» Diede le spalle alla luce e tese l’orecchio per sentire se dal buio provenivano rumori di voynix.

«Ci arrampichiamo.»

Daeman si girò e vide che Savi risaliva in un altro pozzo verticale, ancora più stretto di quello della discesa; poi la luce sparì, mentre la torcia ballonzolava sopra di loro.