Harman spiccò un balzo per raggiungere il primo anello, mancò la presa, imprecò sottovoce, saltò di nuovo, afferrò l’anello e si tirò su. Daeman scorse appena il contorno del braccio di Harman, proteso verso di lui. «Forza, Daeman. Presto. Probabilmente i voynix sono già quassù ad aspettarci.»
«E allora perché ci arrampichiamo?»
«Forza» disse Harman. Nel buio afferrò per il braccio Daeman e lo tirò su.
I voynix irruppero nella parete dell’edificio proprio mentre i tre umani si arrampicavano sul crawler.
L’enorme veicolo occupava gran parte dello spazio nell’area centrale di quella che, a detta di Savi, era stata una grande chiesa. Quando avevano risalito le scale del sotterraneo, con il raggio della torcia che guizzava da una parte all’altra, Daeman si era fermato sui gradini, non credendo ai propri occhi. Il crawler riempiva lo spazio come un gigantesco ragno, con le sei ruote (ciascuna alta almeno tre metri e mezzo) collegate da sottili montanti imperniati, con al centro la sfera passeggeri che risplendeva di un colore bianco latte come un uovo al centro di una ragnatela.
I colpi contro il portone e la parete della chiesa cominciarono un attimo prima che Savi si arrampicasse sulla sottile scaletta d’accesso metallica che penzolava dai montanti. «Sbrigatevi!» disse la vecchia, senza più bisbigliare.
Terzo della fila (ancora una volta), Daeman pensò che la vecchia era maestra dell’imperativo superfluo. Una finestra chiusa da assi, a circa venti metri da terra, esplose verso l’interno e cinque voynix zampettarono dentro, con le lame dei manipolatori che intaccavano la pietra come martelli da ghiaccio. Le loro cupole arrugginite e prive d’occhi sopra il guscio si girarono lentamente verso il basso e si puntarono sul crawler e sulle tre persone che cercavano di raggiungere la sfera passeggeri. Pietre esplosero dalla parete più lontana e altri sei voynix entrarono, muovendosi a due zampe.
Savi toccò un cerchio rosso sbiadito nella parte inferiore della sfera e premette una serie di numeri nel piccolo disco giallo che comparve: una sezione del globo di vetro si aprì con un percettibile fruscio. Savi strisciò dentro, Harman la seguì e Daeman lo imitò e ritrasse le gambe proprio mentre la prima delle pietre lanciate dai voynix volava verso di lui.
La sezione di sfera si richiuse. Al centro c’erano sei poltroncine anatomiche di cuoio screpolato. Harman e Daeman si lasciarono cadere in quelle laterali, mentre Savi passava la mano su un piatto cuneo metallico che sporgeva davanti al sedile anteriore. La proiezione di un quadro di comando, dalla lieve luminescenza, molto più complicata di quella del sonie, si accese intorno a lei. Savi toccò un quadrante rosso virtuale, spinse un cerchio giallo vivo lungo un cursore verde e infilò la mano in un controller anatomico.
«E se non parte?» chiese Harman e Daeman gli affibbiò il titolo di maestro delle domande retoriche poste nel momento meno opportuno. I voynix, una ventina, si arrampicarono sulle alte ruote di maglia nera e balzarono come cavallette giganti sulla parte superiore della sfera di vetro. Daeman trasalì e si accucciò.
«Se non parte, moriamo» disse Savi. Piegò a destra il controller virtuale.
Non ci fu rombo di motore né ronzio di giroscopio, solo un brusìo così basso da essere quasi subsonico. Ma dei fari trafissero le tenebre davanti al crawler e una decina di display virtuali si accesero.
I sei voynix in cima alla sfera passeggeri si erano messi a battere e a graffiare il vetro, ma all’improvviso scivolarono via e caddero a terra, con un salto di sei metri. Non rimasero danneggiati (ognuno di essi balzò in piedi e si lanciò di nuovo verso la sfera) ma caddero ancora, incapaci di trovare appiglio sulla superficie alla quale solo qualche secondo prima si tenevano attaccati.
«È un campo di forza spesso un micron» borbottò Savi, concentrata sui disegni luminosi e sulle icone comparse su tutto il pannello virtuale. «Privo di attrito. Progettato per impedire che neve o pioggia di accumulino sulla cupola. A quanto pare, fa scivolare via altrettanto bene i voynix.»
Daeman si girò a guardare una ventina di voynix che si arrampicavano sulle enormi ruote, menando colpi alla maglia metallica e strattoni ai montanti e ai sostegni. «Sarebbe meglio andarcene» disse.
«Sì» convenne Savi. Spinse avanti il controller virtuale e il crawler attraversò con uno schianto l’antico muro della chiesa, cadde per una decina di metri prima che le ruote bizzarramente snodate facessero presa sul muro e sul terreno e poi accelerò in avanti. Il vicolo era leggermente più stretto del crawler, ma non bastò a rallentare neanche un poco la macchina. Muri vecchi parecchie migliaia di anni crollarono a destra e a sinistra, finché il crawler non sbucò in via Davide e Savi lo indirizzò a sinistra, verso ovest, lontano dal raggio azzurro che ancora trafiggeva il cielo dietro di loro.
Decine e decine di voynix zampettarono all’inseguimento, mentre altre decine si lanciavano davanti al veloce crawler e saltavano verso la sfera passeggeri. Continuando ad accelerare, il crawler passò sopra quelli che non lo scansavano e si lasciò indietro il resto della muta. Cinque o sei voynix ostinati, ancora appesi ai montanti, scheggiavano il metallo e artigliavano le ruote in movimento.
«Possono danneggiarci?» chiese Harman.
«Non lo so» rispose Savi. «Ci avviciniamo alla Sha’ar Yaffo, la porta di Giaffa. Vediamo se riusciamo a liberarcene.»
Deviò il veicolo ancora in accelerazione contro i muri su un lato e poi sull’altro di via Davide e infine fracassò un’arcata, più bassa del crawler. Le vibrazioni e i pezzi di muratura sbalzarono via i voynix, ma Daeman si girò e vide che quasi tutti si rialzavano dai detriti e si univano alla muta d’inseguitori. Poi il crawler si trovò al di là della porta, fuori della città vecchia, e aumentò velocità giù per la collina coperta di ghiaia dove avevano lasciato il sonie. L’unico segno della macchina volante era un mucchio di sassi alto dieci metri, circondato da quaranta o cinquanta voynix che lasciarono immediatamente la montagnola e si precipitarono a tagliare la strada al crawler. Savi ne schiacciò alcuni, ne scansò altri e trovò un’antica autostrada che correva a ovest dalla città.
«Veicolo resistente» disse Harman.
«Costruivano veicoli resistenti, verso la fine dell’Età Perduta» disse Savi. «Con la nanomanutenzione, dovrebbe durare quasi in eterno.» Dallo zaino aveva preso le lenti a visione notturna della termotuta e le usava per guidare: ora aveva spento i fari del crawler. Daeman trovò sconvolgente l’effetto di correre a precipizio nel buio, fra rumori di manufatti rugginosi, forse antichi veicoli abbandonati, schiacciati sotto le ruote. Dopo un poco capì che correvano su un ponte e poi in una strettoia fra due montagne. Ora, nell’oscurità, non scorgeva più i voynix all’inseguimento, solo la lama di luce azzurra che si alzava dalla collina buia di Gerusalemme e appariva sempre più lontana; ma sapeva che i voynix erano sempre lì, dietro di loro.
Savi disse che mancavano circa cinquanta chilometri alla linea costiera dell’ex mar Mediterraneo. Percorsero la distanza in meno di dieci minuti.
«Guardate là» disse Savi, rallentando il crawler. Si tolse le lenti per la visione notturna e accese fari, antinebbia e riflettori.
Una massa di cinque o seicento voynix aveva formato un cuneo nei pressi del punto dove il terreno s’inclinava all’improvviso e scendeva nel bacino del Mediterraneo.
«Cambiamo strada?» chiese Harman.
Savi scosse la testa e accelerò. Più tardi Daeman pensò che il rumore del veicolo che colpiva a quella velocità un mucchio di voynix somigliava a una grandinata che aveva sentito sotto un tetto metallico a Ulanbat, molti anni prima. Ma i chicchi parevano davvero grossi.
Il crawler raggiunse la ex linea costiera. Savi gridò: «Tenetevi forte!» e il veicolo rimase sospeso in aria per dieci secondi, mentre superava il dislivello fra la costa e il mare di un tempo. Poi le sei enormi ruote colpirono il terreno e i montanti assorbirono la maggior parte dell’urto e si stabilizzarono; il veicolo corse dritto nel bacino, trafiggendo il buio con i bianchi coni dei fari e dei proiettori.