«Vedi la zona dove abbiamo lasciato gli zek, Noctis Labyrinthus?»
Mahnmut si sporse dal bordo della navicella che lui stesso aveva costruito e guardò in basso e alle loro spalle. «No» rispose «è ancora coperta. Ma quando ci alzavamo verso la cortina di nubi, ho visto la cava, i moli e tutto il labirinto del Noctis. Al di là del porto e della cava, il labirinto di canyon e di scogliere franate corre per centinaia di chilometri a ovest e decine e decine a nord e a sud.»
Era piovuto durante gli ultimi giorni del viaggio in feluca, pioveva quando avevano attraccato agli affollati moli della cava dei POV nel Noctis Labyrinthus e pioveva ancora più forte quando Mahnmut aveva finalmente montato la navicella di fortuna, gonfiato l’aerostato usando gli annessi serbatoi di gas ed era partito, alzandosi sopra quella che poteva solo essere definita la città dei piccoli omini verdi. Un POV (o zek, per usare il nome che loro stessi si davano) si era chiaramente offerto di comunicare, ma Mahnmut aveva scosso la testa e si era rifiutato. Forse gli zek non morivano come individui, secondo la tesi di Orphu, ma "usare" un altro piccolo omino verde era insopportabile per Mahnmut. Comunque gli zek radunati avevano capito ciò che lui faceva con la navicella modificata e lo avevano aiutato a collegare cavi, a dispiegare l’involucro a camera singola e ad alta pressione dell’aerostato, che lentamente si gonfiava, e a fissare i cavi d’ancoraggio per resistere al vento, lavorando con l’efficienza di una squadra ben addestrata.
«Com’è il pallone?» chiese Orphu. Era al centro della navicella modificata per contenere anche lui, legato con molti metri di cavo e posto in una intelaiatura costruita da Mahnmut. Lì vicino, riparati e ben fissati, c’erano il trasmettitore e il Congegno.
«Sembra una gigantesca zucca sopra di noi» disse Mahnmut.
Orphu emise un rombo, una risata. «Hai mai visto una zucca in vita tua?»
«No, certo, ma tutt’e due abbiamo visto le immagini. L’aerestato è un ovoide arancione, più largo che alto, circa sessantacinque metri in orizzontale e cinquanta in verticale. Ha costole verticali come una zucca… ed è arancione.»
«Credevo fosse rivestito di materiale antiradar» disse Orphu e parve sorpreso.
«Infatti. Materiale antiradar, color arancione. I nostri progettisti moravec non avranno considerato che la gente cui dovevamo avvicinarci di nascosto potesse avere occhi, oltre che radar.» Stavolta Orphu rise con un rombo più forte. «Tipico, tipico!»
«Il nostro gruppo di cavi di buckycarbonio si manovra dal fondo del pallone» disse Mahnmut. «La navicella penzola a circa quaranta metri dal pallone.»
«Ben legata, mi auguro.»
«Legata meglio che ho potuto, anche se forse ho dimenticato di stringere bene un paio di nodi.»
Orphu rise di nuovo e tacque. Mahnmut continuò ancora un poco a guardare lo spettacolo.
Quando Orphu riprese contatto, era notte. Le stelle ardevano di luce fredda e Mahnmut non si era ancora abituato a quello sfavillio così vivido come non aveva mai visto in vita sua. Il satellite Phobos correva basso nel cielo e Deimos si era appena levato. Le nubi e i vulcani riflettevano la luce delle stelle. A nord, l’oceano luccicava.
«Siamo arrivati?» chiese Orphu.
«Non ancora. Un altro giorno o un giorno e mezzo.»
«Il vento ci spinge sempre nella direzione giusta?»
«Più o meno.»
«Definisci "meno", vecchio amico.»
«Andiamo a nord-nordovest. Potremmo mancare di un pelo Olympus Mons.»
«Impresa che richiederebbe una certa abilità» disse Orphu. «Mancare un vulcano grande come la Francia.»
«Questo è un pallone» replicò Mahnmut. «Sono sicuro che Koros III progettava di lanciarlo dalla base del vulcano, non da milleduecento chilometri di distanza.»
«Un momento. Se ricordo bene, il mare Tethys si trova proprio a nord di Olympus.»
Mahnmut sospirò. «Proprio per questo ho dato alla nuova navicella la forma di una barca.»
«Non ne hai parlato, mentre la costruivi.»
«Non pareva importante.»
Navigarono in silenzio per un poco. Si avvicinavano ai vulcani del Tharsis e Mahnmut pensò che l’indomani verso mezzogiorno avrebbero sorvolato quello più a nord, Ascraeus. Se il vento continuava a cambiare direzione, avrebbero mancato il pendio, passando dieci o venti chilometri a nord. Mahnmut non aveva nemmeno bisogno di accrescere l’intensità luminosa per ammirare con meraviglia la bellezza della luce dei satelliti e delle stelle sulle gelide regioni superiori dei quattro vulcani.
«Ho riflettuto sulla faccenda Prospero/Calibano» disse a un tratto Orphu, facendo sobbalzare Mahnmut.
«E allora?»
«Presumo che tu segua le mie stesse linee di pensiero: le statue di Prospero e il fatto che i POV conoscano la Tempesta devono essere il risultato dell’interesse per Shakespeare di qualche dittatore umano o post-umano.»
«Non sappiamo con certezza che le teste di pietra rappresentino Prospero» obiettò Mahnmut.
«No, certo. Ma i POV l’hanno lasciato capire e non penso che abbiano mentito. Forse non possono mentire, quando comunicano come hanno fatto con te, mediante pacchetti molecolari di nanodati.»
Mahnmut non replicò, ma anche lui aveva quell’impressione.
«Chissà come» continuò Orphu «quelle migliaia di teste di pietra che costeggiano l’oceano settentrionale…»
«E a sud il bacino Hellas allagato» disse Mahnmut, ricordando le immagini prese dall’orbita.
«Già. Chissà come, quelle migliaia di teste di pietra hanno a che fare con personaggi di Shakespeare.»
Mahnmut si limitò ad annuire, sapendo che il cieco Orphu avrebbe ritenuto il suo silenzio un assenso.
«E se il dittatore è davvero Prospero?» riprese Orphu. «Non un umano o un post-umano?»
«Non capisco» disse Mahnmut, confuso. Controllò il flusso d’ossigeno dai serbatoi accanto al Congegno. Sia lui sia Orphu erano saldamente connessi e ricevevano il pieno flusso. «Che cosa significa, se il dittatore è davvero Prospero? Vuoi dire che un post-umano interpretava la parte del vecchio mago e ha scordato d’essere un attore?»
«No, voglio dire: e se è Prospero?»
Mahnmut avvertì una punta d’allarme. Orphu era stato danneggiato e accecato, colpito da un’enorme quantità di radiazioni ionizzanti e sbattuto qua e là durante la caduta in mare della nave spaziale. Forse cominciava a perdere il ben dell’intelletto.
«No, non sono impazzito» disse Orphu, in tono di disgusto. «Ascolta ciò che dico.»
«Prospero è un personaggio letterario» replicò lentamente Mahnmut. «Una costruzione fittizia. Lo conosciamo solo grazie alle banche di memoria della cultura e della storia umane spedite con i primi moravec due millenni fa.»
«Sì. Prospero è un personaggio di fantasia e gli dèi greci sono miti. Si trovano qui solo perché sono umani o post-umani travestiti. E se così non fosse? Se fossero realmente Prospero e divinità greche?»
Ora Mahnmut si allarmò davvero. Aveva accettato il terrore di continuare la missione da solo, se Orphu fosse morto, ma non aveva mai considerato l’alternativa peggiore, avere come compagno in quella parte della missione un Orphu cieco, menomato, impazzito. Avrebbe trovato la forza di abbandonare Orphu, una volta atterrati? «Come potrebbero gli dèi, o chiunque siano quegli esseri in toga su cocchi volanti, non essere miti o post-umani impegnati in una recita?» ribatté. «Ipotizzi che siano… alieni giunti dallo spazio? Antichi marziani in qualche modo sfuggiti alle esplorazioni durante l’Età Perduta? Che cosa?»
«Sto dicendo: e se gli dèi greci sono davvero dèi?» rispose piano Orphu. «E se Prospero è davvero Prospero? E se Calibano è davvero Calibano? Nel caso lo incontrassimo, evento che non mi auguro.»