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«Una mosca?» ripeté Orphu. «No. Perché?»

«Lascia perdere. Quale fu la grossa sorpresa?»

«Il teletrasporto quantico funzionava. Ma, cosa più importante, quando la persona o animale o cosa era teletrasportata, portava con sé dati. Dati sul proprio stato quantico. Dati su qualsiasi cosa avesse dati. Compresa, per gli esseri umani, la memoria.»

«Non avevi detto che le leggi della meccanica quantica lo vietano?»

«Lo vietano, infatti» confermò Orphu.

«Di nuovo magia?» chiese Mahnmut, con una punta d’allarme per la direzione dove Orphu mirava. «Parliamo di Prospero e di dèi greci?»

«Sì, ma non nel senso che sarcasticamente insinui» rispose Orphu. «I nostri scienziati a quel tempo pensarono che i post-umani in realtà facessero uno scambio fra coppie di particelle connesse e identici oggetti o persone di un altro universo.»

«Un altro universo?» ripeté come uno sciocco Mahnmut. «Come negli universi paralleli?»

«Non proprio. Non come il vecchio concetto di un numero infinito o quasi infinito di universi paralleli. Solo alcuni. Un numero finito di universi con spostamento di fase quantica, coesistenti con il nostro o prossimi al nostro.»

Mahnmut non aveva idea di che cosa volesse dire il suo amico, ma non replicò.

«Non solo universi quantici coesistenti» continuò Orphu «ma universi creati.»

«Creati?» ripeté Mahnmut. «Come da Dio?»

«No. Come per atti di persone geniali. Creati da geni.»

«Non capisco.»

Deimos era tramontato. I vulcani adesso erano visibili alla luce delle stelle, masse di nubi strisciavano su per i pendii vulcanici come amebe grigio pallido. Mahnmut controllò il cronometro interno. Un’ora al levar del sole. Era gelato.

«Sai anche tu quello che hanno trovato i ricercatori umani, quando studiavano la mente umana, millenni fa» disse Orphu. «Quando i post-umani non erano neppure un fattore. La mente di noi moravec è costruita allo stesso modo, anche se usiamo materia cerebrale tanto artificiale quanto organica.»

Mahnmut cercò di ricordare. «Gli scienziati umani usavano computer quantici nel ventunesimo secolo. Per analizzare cascate biochimiche nelle sinapsi umane. Scoprirono che la mente umana, non il cervello, la mente, non era simile a un computer, non somigliava a una macchina a memoria chimica, ma era esattamente uguale…»

«A un fronte d’onda a stato quantico stazionario» terminò Orphu. «La consapevolezza umana esiste primariamente come fronte d’onda a stato quantico, proprio come il resto dell’universo.»

«E sostieni che la consapevolezza stessa creò questi altri universi?» disse Mahnmut, seguendo quel pensiero logico, ammesso di poterlo chiamare così; ma era sconvolto dalle assurde implicazioni.

«Non solo la consapevolezza» disse Orphu. «Tipi eccezionali di consapevolezza, che sono come nude singolarità, in quanto possono piegare lo spazio-tempo, influire sulla sua organizzazione e collassare le onde di probabilità in alternative discrete. Parlo di Shakespeare. Di Proust. Di Omero.»

«Ma è così… così… così…» balbettò Mahnmut.

«Solipsistico?»

«Stupido» disse Mahnmut.

Restarono in silenzio per vari minuti. Mahnmut pensò d’avere forse urtato la sensibilità dell’amico, ma non lo ritenne molto importante, ora. Dopo un poco domandò: «Perciò ti aspetti di trovare i fantasmi dei veri dèi greci, quando giungeremo su Olympus Mons?».

«Non fantasmi» rispose Orphu. «Hai visto i rilevamenti quantici. Quegli esseri su Olympus, chiunque siano, hanno praticato fori quantici tutt’intorno al pianeta, incentrati sul vulcano o nelle sue vicinanze. Vanno da qualche parte. Vengono da qualche altra parte. La realtà quantica di questa zona è così instabile da rischiare davvero di implodere e di portarsi dietro una fetta del nostro sistema solare.»

«Pensi che il Congegno sia stato costruito per questo? Per fare implodere i campi quantici prima che raggiungano la massa critica?»

«Non lo so. Può darsi.»

«E pensi che sia stato un fallimento del teletrasporto quantico a danneggiare la Terra e a far spostare i post-umani nelle loro città orbitali, quattordici secoli fa?»

«No» disse Orphu. «Secondo me, qualsiasi cosa sia accaduta sulla Terra fu il risultato del successo, non del fallimento, del teletrasporto quantico.»

«Che cosa vuoi dire?» chiese Mahnmut. Per un istante non fu sicuro che avrebbe ascoltato con piacere la risposta.

«Penso che abbiano praticato tunnel quantici in una o più realtà alternative» disse Orphu. «E che abbiano lasciato entrare qualcosa.»

Continuarono il viaggio in silenzio fino al sorgere del sole.

I raggi del sole toccarono la parte superiore dell’aerostato, dipinsero di luce irreale il tessuto arancione, fecero luccicare ogni cavo di buckycarbonio. Poi raggiunsero i tre vulcani del Tharsis, riflettendosi sul ghiaccio e indorando il pendio orientale come fosse magma in lenta colata. Quindi bagnarono di rosa e d’oro le nubi sfrangiate e illuminarono fino all’orizzonte il mare interno della Valles Marineris, simile a uno squarcio color lapislazzuli nel pianeta. Un minuto più tardi, Olympus Mons fu colpito dai raggi del sole e il grande picco parve alzarsi all’orizzonte come un galeone che avanzasse con vele dorate e rosse.

Poi i raggi di sole brillarono su un oggetto più vicino e più in alto.

«Orphu!» disse Mahnmut. «Abbiamo compagnia.»

«Un cocchio volante?»

«È ancora troppo lontano. Anche con il massimo dell’ingrandimento, appare confuso nel bagliore del sole.»

«Possiamo fare qualcosa, se è un cocchio? Hai trovato qualche arma di cui mi hai tenuto all’oscuro?»

«Contro di loro possiamo lanciare solo imprecazioni e niente altro» disse Mahnmut, continuando a osservare il puntino luminoso: si muoveva molto velocemente, presto sarebbe stato su di loro. «A meno che tu non voglia farmi innescare il Congegno.»

«Potrebbe essere un po’ presto, per il Congegno.»

«È strano che Koros III sia venuto in missione disarmato.»

«Non sappiamo che cosa avrebbe preso dal modulo di comando da portare con sé. Ciò mi rammenta un’idea che ha continuato a frullarmi in testa.»

«Quale?»

«Ricordi che abbiamo parlato della missione segreta di Koros nella cintura degli asteroidi alcuni anni fa?»

«Ebbene?» Il sole traeva ancora barbagli dal veEvolo in arrivo. Ora Mahnmut vide con chiarezza che si trattava di un cocchio con i cavalli olografici al gran galoppo.

«E se non fosse stata una missione di spionaggio?» disse Orphu.

«Che vuoi dire?»

«Voglio dire che i moravec dei pianetini hanno una cosa che noi delle Cinque Lune non ci siamo mai presi la briga di evolvere.»

«Aggressività? Bellicosità?»

«Esattamente. E se Koros fosse stato inviato non come spia, ma come…»

«Scusa» lo interruppe Mahnmut «ma l’ospite è qui. Un grosso umanoide in un cocchio.»

Bang sonici risuonarono intorno a Mahnmut, increspando il tessuto del grande aerostato. Il cocchio continuò a decelerare. Descrisse un giro intorno al pallone, tenendosi a un centinaio di metri.

«Lo stesso uomo che in orbita ci diede il benvenuto?» chiese Orphu. La sua voce era perfettamente calma. Mahnmut guardò l’amico legato sulla navicella, senza nemmeno un misero occhio per osservare ciò che accadeva.

«No» rispose. «Quel dio greco aveva la barba grigia. Questo è più giovane e rasato. Pare alto tre metri.» Tese la mano, palma in fuori, nell’antico gesto di saluto, mostrando d’essere disarmato. «Credo che costui…»

Il cocchio si avvicinò. L’uomo alle reclini protese il pugno chiuso e lo mosse da destra a sinistra.

Il pallone sopra di loro esplose e l’elio fuoriuscì dallo squarcio, mentre il tessuto s’incendiava. Mahnmut si aggrappò alla murata di legno per non essere sbalzato via; la massa di tessuto in fiamme, il groviglio di cavi di buckycarbonio e la navicella a forma di barca precipitarono verso l’altopiano di Tharsis, tredici chilometri più in basso. Il piccolo moravec si trovò in gravità negativa, piedi sopra la testa, collegato alla navicella solo dalla presa sulla murata, mentre la piattaforma ruzzolava in caduta libera.