«Lasciate perdere, carini. Basterà dire che ho preso in prestito un campione dei capelli di ciascuno di voi e che questi, insieme a un ciuffo dei miei, ci hanno salvati tutti. Ho fatto un patto con Ariele, sapete. Se ci avesse permesso di passare una volta, ho promesso di salvare l’anima della Terra.»
«Hai incontrato l’entità della Terra, Ariele?» chiese Harman.
«Be’, non è esatto dire che l’ho incontrato. Ma ho chiacchierato con lui tramite l’interfaccia noosfera-biosfera. Abbiamo fatto un accordo.»
Daeman capì allora che la donna era davvero pazza. Incrociò lo sguardo di Harman e vi lesse la stessa conclusione.
«Non importa» disse Savi. Sprimacciò lo zaino come se fosse un guanciale, si distese sulla schiena e chiuse gli occhi. «Dormiamo un poco, miei giovani cari. Domani dovrete essere ben riposati. Domani, con un po’ di fortuna, voleremo su, su, su fino allo strato orbitale.»
Si addormentò e già russava, prima che Harman e Daeman potessero scambiarsi un’altra occhiata carica di preoccupazione.
37
ILIO E OLIMPO
Alla fine risulta che non posso farlo. Non ne ho il cuore o le palle o la fermezza o, forse, il coraggio. Non posso rapire il figlio di Ettore nemmeno per salvare Ilio. Nemmeno per salvare il bambino. Nemmeno per salvare me stesso.
Non è ancora l’alba, quando mi telequanto a Ilio, nella grande casa di Ettore. Solo due sere fa, morfizzato nel povero Dolone ormai privo di testa, ho seguito Ettore che tornava a casa a cercare la moglie e il figlio. Grazie a quella visita, conosco la pianta dell’edificio, perciò mi telequanto direttamente nella stanzetta del bambino, poco lontano dalla camera da letto di Andromaca. Il figlio di Ettore, di neanche un anno, si trova in una culla dai bellissimi intagli, sulla quale è stesa una zanzariera. Poco lontano c’è la nutrice, la stessa che aveva accompagnato Andromaca sui bastioni la sera in cui Ettore, col riflesso del sole sul dorato elmo da guerra, aveva spaventato senza volerlo il figlioletto. Anche lei dorme della grossa, distesa su un divano, con una veste sottile e trasparente drappeggiata con tutta la complessità di una illustrazione di Aubrey Beardsley. La camicia da notte è tenuta ferma sotto il seno da una fascia, alla maniera greca e troiana, e mostra quanto sia grande e bianco il seno della donna, visibile nella luce riflessa dei tripodi accesi delle guardie sulla terrazza più in là. Ho immaginato che faccia da balia al bambino. Il particolare, a dire il vero, è importante, perché il mio piano dipende dalla possibilità di rapire il bambino insieme alla nutrice, lasciando Andromaca a casa… dopo comparirà "Afrodite" e le dirà che suo figlio è stato rapito dagli dèi come punizione per non specificate manchevolezze dei troiani e che Ettore, se rivuole il bambino, deve andare sull’Olimpo a riprenderselo e bla, bla, bla.
Per prima cosa devo prendere il bambino e poi afferrare la nutrice (sospetto che sia più forte di me e quasi sicuramente più avvezza a lottare, perciò userò lo storditore, se necessario, anche se non ne ho molta voglia) e poi devo telequantarmi con loro in quella collina in rapido popolamento nell’antica Indiana, trovare Nightenhelser (non ho ancora deciso cosa farò di Patroclo) e convincerlo a sorvegliare bambino e nutrice finché non tornerò a prenderli.
Nightenhelser sarà in grado di tenere sotto controllo la nutrice troiana per giorni, settimane o mesi, finché questa storia sarà finita? In un confronto fra un professore di lettere classiche del ventesimo secolo e una balia troiana del 1200 a.C, penso che scommetterei sulla balia. E offrirei una buona quota per puntate sul suo avversario. Bene, sarà un problema di Nightenhelser. A me tocca trovare una leva su Ettore, un modo per convincerlo che deve combattere gli dèi (proprio come la "morte" di Patroclo era il mio asso per arruolare Achille in questa crociata suicida) e al momento quella leva dorme davanti a me.
Il piccolo Scamandrio, che il popolo di Ilio chiama amorevolmente "Astianatte, Signore della città", si lamenta piano nel sonno e con i piccoli pugni si strofina le guance arrossate. Anche se sono invisibile sotto l’Elmo di Ade, mi immobilizzo e controllo la nutrice. La donna continua a dormire, ma uno strillo del bambino la sveglierebbe di sicuro.
Non so perché, ma mi calo sulle spalle l’Elmo di Ade e divento visibile. Nella stanza non c’è nessun altro, a parte le mie due vittime, che fra qualche secondo saranno a quindicimila chilometri da qui e non potranno dare la mia descrizione per l’identikit a un disegnatore della polizia troiana.
Mi avvicino in punta di piedi e sposto la zanzariera. Una folata d’aria giunge dal mare e agita le tende della terrazza e la sottile rete intorno alla culla. Senza un suono, il bambino apre gli occhi e li punta su di me. Poi sorride: a me, al suo rapitore. Pensavo che i bambini non ancora ai primi passi avessero paura degli estranei, soprattutto di estranei nella loro cameretta nel cuore della notte. Ma cosa ne so io, dei bambini? Mia moglie e io non ne abbiamo mai avuti e tutti gli studenti cui ho insegnato negli anni erano in realtà adulti cresciuti poco o male, allampanati, foruncolosi, irsuti, impacciati nei rapporti sociali e con l’aria da babbei. Non immaginavo neppure che un bimbetto di meno di un anno potesse sorridere!
Ma Scamandrio mi sorride. Fra un secondo comincerà a fare rumore e dovrò prenderlo, afferrare la nutrice, telequantarmi con loro in tutta fretta via di qui… Posso telequantare altre due persone con me? Lo scopriremo fra un secondo. Poi devo tornare e usare gli ultimi tre minuti di carica del bracciale per rubare la forma di Afrodite e dare l’ultimatum ad Andromaca.
La moglie di Ettore diventerà isterica? Si metterà a piangere e strillare? Ne dubito. In fin dei conti, di recente ha visto Achille ucciderle il padre e i sette fratelli, ha visto la madre divenire bottino del greco e poi morire di malattia subito dopo essere stata liberata, ha visto la sua casa occupata e profanata, eppure si è fatta forza… non solo si è fatta forza, ma si è fatta anche un figlio in perfetta salute per suo marito Ettore. E ora deve guardare ogni giorno Ettore che scende in campo e sa in cuor suo che la sorte del suo amato marito è già segnata dalla crudele volontà degli dèi. Non è una donna debole, no. Anche sotto le forme di Afrodite farò meglio a tenere d’occhio la manica di Andromaca per essere sicuro che non ci sia un pugnale ad accogliere la notizia del rapimento.
Muovo la mano verso il bambino, con le dita dalle unghie sporche a qualche centimetro dalle rosee carni, e la ritraggo.
Non posso farlo.
Non posso farlo.
Intontito dalla mia impotenza anche di fronte al tragico destino (il tragico destino di tutti, perché anche i greci saranno puniti tramite la loro vittoria) esco barcollando dalla stanzetta e nemmeno mi prendo la briga di rendermi di nuovo invisibile con l’Elmo di Ade.
Poso la mano sul medaglione, ma esito. Dove vado? Qualsiasi cosa faccia Achille, ormai non importa più. Non può conquistare l’Olimpo da solo e neppure con l’esercito acheo, se i troiani sono ancora in guerra con i greci. In realtà la mia piccola farsa potrebbe essere inutile: Ettore e le sue orde possono battere gli achei questa mattina stessa, mentre Achille si strappa ancora i capelli e grida di dolore per l’apparente morte di Patroclo. In questo momento Achille se ne frega dei troiani. Ma quando vedrà che Ettore e l’uomo misterioso promesso da Teti (per guidarlo da Ettore, ha detto la dea, e mostrargli come andare sull’Olimpo) non verranno da lui, capirà che la mia è stata solo una messinscena? È probabile. Allora la vera Atena andrà da lui per scoprire che cosa sta succedendo, protesterà la propria innocenza al piè veloce e forse, solo forse, l’Iliade tornerà sul giusto binario.
Non importa.
L’intero, stupido piano è finito. Finito come Thomas Hockenberry, dottore in lettere. Capolinea, probabilmente.