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Quando emersero sulla riva nord, con il crawler che lanciava fango a dieci metri dietro di loro e l’acqua che ruscellava giù dai montanti come una cascata, Harman disse: «Non sapevo che il crawler andasse anche sott’acqua».

«Nemmeno io» rispose Savi. Deviò fra nord e nordovest e proseguì il viaggio.

Poco dopo comparvero i primi costrutti d’energia e Harman li notò subito.

Il primo congegno luccicava e si spostava una trentina di metri a sinistra della strada d’argilla, in una zona aperta, al di là di un boschetto di bambù. Savi fermò il veicolo, per uscire e guardare da vicino; Daeman era diffidente ad allontanarsi dal crawler, anche se da parecchie ore non avevano più visto calibani. Ma Harman era intenzionato a dare un’occhiata e Daeman non voleva restare nella sfera da solo, così finì per seguire gli altri due giù per la scaletta e nel campo, verso l’oggetto luccicante. Gli parve strano camminare di nuovo, dopo tante ore passate da seduto.

Il primo costrutto d’energia era piccolo, circa sei metri per tre, giallo e arancione, grosso modo sferico, con mobili vene verdi, pseudopodi che spuntavano dalle parti superiore e inferiore e dalle estremità, forme che si agglomeravano in sagome proprie e poi erano riassorbite dalla massa centrale. L’oggetto si librava a circa un metro dal suolo e Daeman non si volle avvicinare a meno di venti passi, anche se Savi e Harman vi si accostarono.

«Che cos’è?» chiese Harman, la cui testa e le spalle scomparvero per un minuto dietro la cosa lentamente fluttuante.

«Siamo alla periferia di Atlantide» disse Savi «anche se distiamo ancora un centinaio di chilometri. I post costruirono con quel materiale le loro stazioni a terra.»

«Che materiale?» disse Harman. Tese la mano verso l’ovoide giallo. «Posso toccarlo?»

«Alcune forme danno la scossa. Altre no. Nessuna uccide. Prova. Non ti fonderà la mano.»

Harman posò le dita sulla forma curva e lucente. La mano scomparve all’interno. Quando lui si affrettò a ritirarla, grumi liquidi gialli e arancione gli gocciolarono dalle dita e poi tornarono in volo alla sagoma. «Fredda» disse Harman. «Molto fredda.» Piegò le dita e trasalì.

«In pratica è una sola grossa molecola» disse Savi. «Anche se non so come sia possibile.»

«Cos’è una molecola?» gridò Daeman. Nel veder scomparire la mano di Harman, era indietreggiato di qualche passo e ora doveva alzare la voce per farsi sentire. Continuava anche a guardarsi alle spalle. Savi aveva la pistola nella cintura, ma il boschetto di bambù era troppo vicino perché lui si sentisse a suo agio. Era quasi buio.

«Le molecole sono le piccole parti di cui è fatta ogni cosa» disse Savi. «Non si possono vedere senza lenti speciali.»

«Quella lì la vedo benissimo» disse Daeman. A volte, pensò, parlare con Savi era come parlare con un bambino, anche se lui non aveva grande esperienza di bambini.

I tre tornarono al crawler. Il sole intenso della sera scomponeva la luce sulla sfera passeggeri e faceva brillare gli alti montanti snodati. La parte superiore degli stratocumuli, lontano a ovest, verso l’altura detta Cipro, rifletteva la luce dorata.

«Atlantide è fatta in gran parte di queste macromolecole di energia congelata» disse Savi. «Un esempio dei casini quantici che i post facevano in continuazione. Vi è mischiato del vero materiale, che gli scienziati dell’Età Perduta chiamavano "materia esotica", ma non so in quale percentuale. Non so neppure come funziona. So solo che rende di forma mutevole le loro città, stazioni, qualsiasi cosa siano, entrando in fase con la nostra realtà quantica e uscendone.»

«Non capisco» disse Harman, anticipando Daeman che già provava l’urgenza di dirlo.

«Capirete da soli abbastanza presto. Dovremmo scorgere la città, da quella grande altura all’orizzonte. Saremo lassù più o meno quando farà buio.»

Salirono nel crawler e si sedettero. Ma prima che Savi mettesse in moto il grosso veicolo, Harman disse: «Sei già stata qui». Non era una domanda.

«Sì.»

«Ma prima hai detto di non essere mai stata negli anelli orbitali. Per questo sei già venuta qui?»

«Sì» ammise Savi. «Penso ancora che la risposta per liberare i miei amici dal raggio di neutrini si trovi lassù.» Mosse la testa verso gli anelli equatoriale e polare, vividi nel cielo del tramonto.

«Ma l’altra volta non ci sei riuscita» disse Harman. «Perché?»

Savi si girò sul sedile e sorrise. «Ti dirò perché e come ho fallito se mi dirai perché in realtà vuoi andare lassù. Perché hai trascorso armi a cercare un modo per andare sugli anelli.»

Harman continuò a fissarla per un minuto, poi distolse lo sguardo. «Sono curioso» rispose.

«No» ribatté Savi. Aspettò.

Harman tornò a guardarla e Daeman capì di non averlo mai visto così emozionato. «Hai ragione» sbottò Harman. «Non si tratta di curiosità. Voglio trovare lo spedale.»

«Per vivere più a lungo» concluse piano Savi.

Harman serrò i pugni. «Sì. Per vivere più a lungo. Per continuare a esistere oltre la fottuta ultima Ventina. Perché sono avido di vivere. Perché voglio che Ada abbia mio figlio e voglio essere lì a vederlo crescere, anche se i padri non fanno cose del genere. Perché sono un avido bastardo… avido di vita. Contenta?»

«Sì» disse Savi. Guardò Daeman. «E quali sono le tue ragioni per partecipare a questo viaggio, Daeman Uhr

Daeman si strinse nelle spalle. «Salterei a casa in un secondo, se qui vicino ci fosse un portale fax.»

«Non ce ne sono. Mi spiace.»

Daeman non badò al sarcasmo e disse: «Perché ci hai condotto qui, vecchia? Ci sapevi venire anche da sola. Sapevi dove trovare il crawler. Perché portare noi?».

«Giusta domanda» constatò Savi. «L’ultima volta che sono venuta ad Atlantide, sono arrivata a piedi. Da nord. Un secolo e mezzo fa. E ho portato con me due eloi… scusa, è un termine insultante. Ho portato con me due giovani donne. Erano curiose davvero.»

«Cos’è accaduto?» chiese Harman.

«Sono morte.»

«Come?» chiese Daeman. «I calibani?»

«No. I calibani uccisero e divorarono l’uomo e la donna che vennero con me la volta precedente, quasi tre secoli fa. A quel tempo non sapevo come mettermi in contatto con la logosfera Prospero, non sapevo niente del DNA.»

«Perché venite sempre in tre?» chiese Harman.

Daeman lo ritenne uno strano quesito. Stava per domandare maggiori particolari sui defunti compagni di viaggio. La vecchia si riferiva a morte permanente? O a semplice morte riparabile nello spedale?

Savi rise. «Fai delle buone domande, Harman Uhr. Presto capirai. Capirai perché sono venuta con altre due persone, dopo la mia prima visita da sola ad Atlantide, più di un millennio fa. E non solo ad Atlantide, ma anche ad alcune altre loro stazioni. Sull’Himalaia. Nell’isola di Pasqua. Una al polo sud. Quelli sì che erano viaggi divertenti, perché un sonie non può entrare in un raggio di cinquecento chilometri da ogni stazione.»

Daeman non la seguiva più. Lui voleva maggiori particolari sulle vittime uccise e divorate.

«E non hai mai trovato un’astronave, uno shuttle, per andare lassù?» chiese Harman. «Malgrado tutti i tentativi?»