Выбрать главу

41

OLYMPUS MONS

Dopo la cattura, Mahnmut pensò che avrebbe fatto meglio ad azionare il Congegno, qualsiasi cosa fosse, non appena il dio biondo nel cocchio volante aveva distrutto il pallone e cominciato a trainarli su Olympus Mons.

Ma non poteva arrivare al Congegno. Né al trasmettitore. Né a Orphu. Riusciva solo a tenersi aggrappato alla murata della navicella, mentre volavano verso il vulcano quasi a velocità mach 1. Se il Congegno, il trasmettitore e Orphu non fossero stati legati alla piattaforma della navicella, con tutte le funi e i cavi che Mahnmut era riuscito a ricuperare, sarebbero caduti da dodicimila metri sull’altopiano fra il più a nord dei vulcani del Tharsis, Ascraeus, e il mare Tethys.

Il dio nella macchina volante, che portava con una sola mano tutte quelle tonnellate di peso morto e in più i cavi raggruppati, salì di quota e si diresse verso Olympus Mons da nord. Anche con le corte gambe penzolanti e i manipolatori conficcati profondamente nella murata della navicella, Mahnmut riconobbe che era un gran bel panorama.

Una massa di nubi quasi solida copriva gran parte della regione fra i vulcani del Tharsis e Olympus Mons: solo le scure ombre dei vulcani sbucavano da quella coltre. Il sole nascente, piccolo ma molto luminoso verso sudest, indorava vividamente l’oceano e le nubi. Il riflesso sul mare Tethys era così sfavillante che Mahnmut fu costretto ad aumentare i filtri polarizzanti. Olympus Mons, che si ergeva proprio al bordo dell’oceano Tethys, era sbalorditivo nella sua immensità, un infinito cono di campi di ghiaccio che si alzavano fino alla vetta di un verde incredibile, con una serie di laghi azzurri nella caldera.

Il cocchio si abbassò e Mahnmut vide gli strapiombi verticali di quattromila metri alla base del quadrante di nordovest e, sebbene questi fossero in ombra, scorse pure le minuscole strade e gli edifici in quella che pareva una stretta striscia di spiaggia, ma era quasi certamente un tratto di costa largo tre o quattro chilometri fra le pareti a picco e l’oceano indorato dal sole. Ancora più a nord e più al largo sul mare, mutato in isola dal terraforming, c’era il Lycus Sulci, che pareva una testa di lucertola sollevata verso Olympus Mons.

Mahnmut descrisse a Orphu tutto ciò che vedeva, parlando senza muovere le labbra, sul canale a fascio compatto. Il solo commento del moravec di Io fu: «Pare grazioso, ma avrei preferito fare l’escursione per conto nostro».

Mahnmut ricordò di non essere lì per ammirare il paesaggio quando il gigantesco umanoide abbassò il cocchio verso la vetta del gigantesco vulcano. Tremila metri sopra i più alti pendii innevati, il cocchio attraversò un campo di forza (i sensori di Mahnmut registrarono lo shock dell’ozono e i picchi di voltaggio) e poi riprese l’assetto orizzontale per l’avvicinamento conclusivo alla verde cima erbosa.

«Mi dispiace di non avere scorto prima quel tipo sul cocchio e di non avere tentato manovre eversive» disse Mahnmut a Orphu, negli ultimi istanti prima di chiudere la comunicazione per l’atterraggio.

«Non è colpa tua» replicò Orphu. «Questi deus ex machina hanno un modo tutto loro d’arrivare di soppiatto addosso a noi gente di lettere.»

Dopo l’atterraggio, il dio che li aveva catturati afferrò per il collo Mahnmut e lo portò senza tante cerimonie nel più vasto spazio artificiale che il piccolo moravec avesse mai visto. Altri dèi uscirono, presero Orphu, il Congegno e la trasmittente e li portarono dentro. Ancora altri dèi entrarono nella sala, mentre Zeus ascoltava il primo dio descrivere la cattura. Mahnmut si rassegnò a pensare che le persone dei cocchi si ritenevano davvero dèi e immaginò che la loro scelta di stare su Olympus Mons non fosse una coincidenza. Le nicchie con ologrammi di decine e decine di altri dèi" e dee rafforzarono la sua ipotesi. Poi l’über-dio che Mahnmut ipotizzò fosse Zeus cominciò a parlare e per il moravec il greco antico era arabo. Mahnmut disse un paio di frasi. Il dio dalla barba grigia e quelli più giovani aggrottarono la fronte, senza capire. Mahnmut imprecò contro se stesso per non avere mai caricato nelle banche di memoria il greco, antico o moderno. Non l’aveva ritenuto molto importante, quando si era imbarcato sul Dark Lady per esplorare gli oceani di Europa.

Passò allora al francese. Poi al tedesco. Poi al russo. Poi al giapponese. Dava fondo al suo modesto database di linguaggi umani, formulando sempre la stessa frase, "Sono venuto in pace e non intendevo entrare in un’area vietata", quando Zeus alzò l’enorme mano per intimargli il silenzio. Gli dèi parlarono fra loro e non parvero molto contenti.

Cosa succede? trasmise Orphu. Il moravec di Io si trovava a cinque metri da Mahnmut, sul pavimento, insieme con gli altri due manufatti prelevati dalla navicella. A quanto pareva, chi li aveva catturati non immaginava che ci fosse una persona senziente in quel guscio ammaccato e incrinato: trattavano Orphu come un oggetto qualsiasi. Mahnmut l’aveva previsto. Per questo aveva formulato la frase al singolare — "Sono venuto in pace" — e non al plurale. Qualsiasi cosa gli dèi decidessero di fargli, c’era una remota possibilità che lasciassero stare Orphu, anche se non era chiaro come il povero moravec di Io sarebbe potuto fuggire, senza occhi, orecchie, gambe e manipolatori.

Gli dèi discutono, trasmise Mahnmut, senza muovere le labbra; poi soggiunse: Non li capisco.

Ripetimi qualche parola.

Mahnmut obbedì, trasmettendo in silenzio.

È una variazione del greco classico, disse Orphu. È compresa nel mio database. Posso capire cosa dicono.

Scaricami il tuo database, trasmise Mahnmut.

Via radio? Ci vorrà un’ora. Hai un’ora?

Mahnmut si girò a guardare i bellissimi maschi umanoidi che si latravano parole. Pensò che fossero prossimi a prendere una decisione. No, rispose a Orphu.

Trasmettimi ciò che dicono e te lo traduco; decideremo la risposta appropriata e ti trasmetterò i fonemi, disse Orphu.

In tempo reale?

Abbiamo altra scelta? ribatté Orphu.

Il dio che li aveva catturati si rivolgeva in quel momento alla figura barbuta sul trono dorato. Mahnmut trasmise ciò che udiva, in una frazione di secondo ebbe la traduzione, si consultò con Orphu e memorizzò i suoni della risposta in greco. Non gli pareva però un sistema efficiente.

«… è un astuto piccolo automa e gli altri oggetti sono inutili come bottino, mio signore Zeus» disse il dio biondo, alto due metri e mezzo.

«Signore dell’arco d’argento, Apollo, non archiviare come inutili simili giocattoli finché non avremo scoperto da dove sono giunti e perché. Il pallone che hai distrutto non era un giocattolo.»

«Neanche io sono un giocattolo» disse Mahnmut. «Sono giunto in pace e non intendevo entrare abusivamente in una zona vietata.»

Gli dèi lo guardarono tutti insieme, stupiti, e mormorarono tra loro.

Questi dèi, quanto sono alti? trasmise Orphu.

Mahnmut li descrisse rapidamente.

Impossibile, trasmise Orphu. La struttura dello scheletro umano comincia a essere insufficiente a due metri di altezza e a tre metri sarebbe assurda. Le ossa delle gambe si spezzerebbero.

Qui c’è la gravità di Marte, ricordò Mahnmut all’amico. È il peggiore campo gravitazionale che abbia mai sperimentato, ma è solo un terzo di quello terrestre.

Allora pensi che questi dèi provengano dalla Terra? chiese Orphu. Pare ben poco attendibile, a meno che…

Scusami, Orphu, ma ho da fare.

Zeus ridacchiò e si sporse in avanti. «Allora, la piccola persona giocattolo può parlare il linguaggio umano.»