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«Un nome insolito» borbotta l’uccisore di uomini. «Ma sono tempi insoliti. Benvenuto, Hockenberry figlio di Duane.» Tende la mano e mi stringe il braccio, con tanta forza da bloccarmi la circolazione del sangue. Cerco di restituirgli la stretta.

Achille si rivolge ai comandanti. «Mi vesto per la battaglia, figlio di Duane. Quando sarò pronto, ti accompagnerò negli abissi di Ade, se occorre.»

«Solo a Ilio, per cominciare» dico.

«Vieni a conoscere i miei compagni e i miei generali, ora che Agamennone è battuto.» Mi guida verso Odisseo e gli altri.

Devo chiederlo. «Agamennone è morto? E Menelao?»

Achille, torvo, scuote la testa. «No. Non ho ucciso gli Atridi, ma stamattina li ho battuti in singoiar tenzone, uno dopo l’altro. Sono pesti e sanguinanti, ma non feriti gravemente. Ora sono dal guaritore Asclepio; hanno giurato fedeltà in cambio della vita, ma di loro non mi fiderò mai.»

Poi mi presenta Odisseo e gli altri eroi che per più di nove anni ho tenuto d’occhio. Ciascuno di loro mi stringe il braccio nel rituale saluto e quando termino la fila dei condottieri principali, ho il polso e le dita intorpidite.

«Divino Achille» dice Odisseo «stamattina sei divenuto il nostro re e ti giuriamo fedeltà e ti abbiamo dato la nostra parola di seguirti fin sull’Olimpo, se occorre, per riprendere il cadavere del nostro compagno Patroclo, dopo il tradimento di Atena — per quanto ciò suoni incredibile — ma devo dirti che i tuoi uomini e i tuoi capitani sono affamati. Gli achei devono mangiare. Per tutta la mattinata hanno combattuto contro i troiani, dopo avere riposato pochissimo, e hanno respinto le forze di Ettore lontano dalle nostre nere navi, dal nostro muro e dal nostro fossato. Lascia che Taltibio prepari un cinghiale per i capitani, mentre tu e i tuoi uomini vi ritirate a mangiare e…»

Achille si gira di scatto verso il figlio di Laerte. «Mangiare? Sei pazzo, Odisseo? Oggi non ho voglia di cibo. Ciò che bramo davvero è massacro e sangue e grida e gemiti di moribondi e di dèi macellati.»

Odisseo china leggermente la testa. «Achille, figlio di Peleo, di gran lunga il più grande di tutti gli achei, sei più forte di me e più abile non di poco con la lancia, ma io sono più vecchio di te e forse ti supero in saggezza per i molti anni d’esperienza e per molte prove di giudizio. Che il tuo cuore sia influenzato da ciò che dico, o nuovo re. Non lasciare che i tuoi fedeli achei e argivi e danai attacchino Ilio a pancia vuota in questa lunga giornata e, affamati, addirittura gli dèi dell’Olimpo.»

Achille esita a rispondere.

Odisseo approfitta del silenzio di Achille per insistere nella sua tesi. «Vuoi che i tuoi eroi, Achille, disposti a morire per te fino all’ultimo uomo, ansiosi di vendicare Patroclo, incontrino la morte non per lo scontro con gli dèi immortali, ma per fame?»

Achille posa sulle spalle di Odisseo le forti mani e mi rendo conto, non per la prima volta, di quanto l’uccisore di uomini sia più alto del tarchiato stratega. «Odisseo, saggio consigliere» dice il Pelide «ordina all’araldo di Agamennone, Taltibio, di sgozzare il più grosso cinghiale e di porlo allo spiedo sul fuoco più ardente che i tuoi uomini possano accendere. Disponi poi di macellarne altri per saziare l’appetito delle file achee. Ordinerò ai miei fedeli mirmidoni di prendersi cura del banchetto. Ma oggi non fate l’iniziale offerta agli dèi. Niente primizie gettate nel fuoco in loro onore. Oggi daremo agli dèi solo la punta delle lance e delle spade. Che si accontentino degli avanzi, tanto per cambiare.»

Si guarda intorno e parla a voce alta, in modo che tutti i condottieri sentano. «Buon appetito, amici miei. Nestore! Manda i tuoi figli Antiloco e Trasimede, e Megete figlio di Fileo, Merione e Toante, Licomede figlio di Creonte e anche Melanippo, a portare notizia del banchetto al fronte stesso del combattimento, in modo che oggi nessun guerriero acheo resti senza carne e vino per questo pasto di mezzodì! Mi vestirò per la battaglia e andrò con Hockenberry, figlio di Duane, a prepararmi per l’imminente guerra contro gli dèi.»

Si gira, entra nella tenda dove era occupato a vestirsi quando sono giunto e ora mi fa segno di seguirlo.

Aspettare che Achille si vesta per la battaglia mi ricorda le volte in cui aspettavo che Susan, mia moglie, si vestisse quando, invitati a cena, eravamo in ritardo. Non si può fare niente per affrettare il procedimento, bisogna solo aspettare.

Continuo a controllare il cronometro, penso al piccolo robot che ho lasciato lassù, Mahnmut si chiama, e mi chiedo se gli dèi l’hanno già ucciso, persona o macchina che sia. Mi ha detto di tornare fra un’ora e di aspettarlo sulla riva del lago della caldera: mi restano ancora più di trenta minuti.

Ma come posso tornare sull’Olimpo senza l’Elmo di Ade che mi renda invisibile? Sono stato troppo impulsivo a darlo al piccolo robot e ora da un momento all’altro potrei pagare quell’impulsività, se gli dèi guardano giù e mi scorgono. Mi dico che Afrodite riuscirebbe a vedermi in ogni caso, se tornassi sull’Olimpo, Elmo di Ade o no, perciò devo solo telequantarmi lì rapidamente, prendere Mahnmut e filarmela. Quel che conta adesso è ciò che accade a Ilio.

Ciò che accade qui è che Achille si veste.

Noto che Achille digrigna i denti, mentre si prepara per la guerra… o, per meglio dire, mentre i suoi servi, schiavi e furieri lo aiutano a prepararsi per la guerra. Nessun cavaliere del Medioevo ha mai maneggiato armi e corazza con tanta cura e mille cerimonie come oggi Achille figlio di Peleo.

Per prima cosa si lega alle gambe gli eleganti schinieri… parastinchi che mi ricordano i giorni in cui giocavo da ricevitore nella Little League, il campionato giovanile, anche se questi non sono di plastica sagomata, ma in bronzo meravigliosamente lavorato, con fibbie d’argento alla caviglia.

Poi si aggancia la corazza intorno al largo petto e si appende a tracolla la spada. Anche la spada è di bronzo, lucidata più d’uno specchio, affilata come rasoio, e ha un’elsa con borchie d’argento. Potrei alzarla, se mi accosciassi e usassi tutt’e due le mani. Forse.

Poi prende il grande scudo rotondo, composto di due strati di bronzo e due di stagno (metallo raro, a quei tempi) separati da uno strato d’oro. Questo scudo è una splendida opera d’arte, così famosa che il suo disegno ha indotto Omero a dedicargli un intero libro dell’Iliade; lo scudo è stato anche oggetto di molti poemi indipendenti, compreso il mio preferito, di Robert Graves. E, a sorpresa, non mi delude quando lo vedo con i miei occhi. Basti dire che lo scudo è istoriato con cerchi concentrici di immagini che riassumono l’essenza di pensiero di gran parte di questo mondo greco antico, a cominciare dal fiume Oceano sul bordo esterno, passando per sorprendenti immagini della Città in pace e della Città in guerra, nella parte interna, fino a culminare in una magnifica riproduzione di terra, mare, sole, luna e stelle nel centro tondo, simile a un bersaglio. Lo scudo è così lucido che anche nella penombra della tenda brilla come un eliografo.

Achille infine calza il pesante elmo. Secondo la leggenda, il dio del fuoco Efesto in persona vi applicò la cresta di crine di cavallo (non solo i troiani portano elmi col cimiero in questa guerra, ma anche gli achei) ed è vero che gli alti pennacchi d’oro lungo il bordo si agitano come lingue di fiamma quando Achille cammina.

Completamente armato adesso, a parte la lancia, Achille prova l’equipaggiamento da guerra, come un giocatore della National Football League che controlli che l’imbottitura sulle spalle sia a posto. Poi ruota sui talloni per vedere se gli schinieri sono ben stretti e se la corazza è aderente, ma non tanto da impedirgli di girarsi, schivare, colpire di punta. Poi muove di corsa alcuni passi, accertandosi che ogni cosa, dai sandali all’elmo, stia a posto. Alla fine alza lo scudo, porta la mano sopra la spalla e sguaina la spada, il tutto in un unico movimento così fluido che pare non faccia altro fin dalla nascita.