Il bisbiglio della dea è morbido, sensuale, lievemente divertito. Sono sicuro che sa il mio stato, che se lo aspetta come dovuto. Abbassa il viso e si sporge così vicino che sento il calore della sua guancia irradiarsi sulla mia, mentre lei mi bisbiglia all’orecchio due semplici ordini. «Spierai per me gli altri dèi» mormora. Poi, con voce che quasi si perde nel battito del mio cuore, soggiunge: «E quando sarà il momento, ucciderai Atena».
7
CONAMARA CHAOS CENTRAL
Contando Mahnmut, nella camera pressurizzata di riunione c’erano cinque moravec galileiani. Il moravec di Europa era noto a Mahnmut: Asteague/Che, primo integratore di stanza nel cratere Pwyll. Gli altri tre invece erano più alieni dei kraken, per il provinciale Mahnmut. Il moravec di Ganimede era alto, elegante come tutti i ganimedi, atavicamente umanoide, inguainato in buckycarbonio nero e dotato di occhi da mosca. Il moravec di Callisto era assai simile a Mahnmut per dimensioni e disegno: alto circa un metro, solo vagamente umanoide, mostrava sintopelle e anche un po’ di carne vera sotto la rivestitura di resina sintetica polimerica trasparente e pesava trenta o quaranta chili. Il moravec di Io era… notevole: un moravec da lavoro pesante, di disegno antiquato, costruito per resistere nel toro di plasma e nei geyser di zolfo, era alto almeno tre metri e lungo cinque, sagomato come un granchio reale terrestre, pesantemente corazzato, con una disordinata miriade di appendici morfizzabili, propulsori direzionali, lenti, flagelli, antenne a stilo, sensori a largo spettro e manipolatori. Era evidentemente abituato a lavorare nel vuoto: la sua superficie era stata butterata e sabbiata e ripulita, poi butterata di nuovo tante di quelle volte che pareva segnata come Io stesso. Nella sala conferenze adoperava grossi respingenti gravitazionali per non lasciare un incavo nel pavimento. Mahnmut si tenne alla larga dal moravec di Io e prese posto di fronte a lui, dall’altra parte del lastrone.
Nessuno degli altri si presentò, via raggi infrarossi o a fascio compatto, perciò Mahnmut seguì l’esempio. Si collegò ai tubicini distributori di sostanze nutrienti disponibili nella sua nicchia sul lastrone, sorseggiò e attese.
Per quanto gli piacesse respirare, quando poteva permettersi quel lusso, Mahnmut notò con sorpresa, vista la presenza di moravec che non respiravano, come i due di Ganimede e di Io, che nella sala c’era una pressione di settecento millibar. Poi Asteague/Che cominciò a comunicare, mediante micromodulazione di onde di pressione nell’atmosfera, in inglese dell’Età Perduta, nientemeno, e Mahnmut capì che la sala era pressurizzata per mantenere la riservatezza, non per la comodità dei moravec che respiravano. Il linguaggio sonoro era la più sicura forma di comunicazione nel sistema galileiano e perfino il corazzato moravec di Io era stato modificato per quello.
«Ringrazio ciascuno di voi per avere interrotto il lavoro ed essere venuti qui oggi» iniziò il primo integratore di Pwyll. «In particolare quelli che hanno lasciato il proprio pianeta per essere presenti. Io sono Asteague/Che. Benvenuti, Koros III di Ganimede, Ri Po di Callisto, Mahnmut della prospezione antartica qui su Europa e Orphu di Io.»
Mahnmut ebbe un ciclo di sorpresa e subito aprì un collegamento a fascio compatto, in privato. Orphu di Io? trasmise. Sei il mio vecchio interlocutore scespiriano, Orphu di Io?
Certo, Mahnmut. È un piacere incontrarti di persona, amico mio.
È davvero strano! Quante saranno state le probabilità che ci incontrassimo di persona in questo modo, Orphu?
Non è poi tanto strano, amico mio. Quando ho saputo che saresti stato invitato a questa spedizione suicida, ho insistito per prendervi parte.
Spedizione suicida?
«… dopo più di cinquant’anni gioviani, pari a circa seicento anni terrestri, senza contatti con i post-umani» diceva Asteague/Che «siamo all’oscuro di ciò che i post combinano. L’ignoranza ci rende nervosi. È tempo d’inviare una spedizione all’interno del sistema solare, verso il Sole, per scoprire qual è la situazione di quelle creature e valutare se rappresentano una minaccia diretta e immediata per i galileiani.» Esitò un istante. «Abbiamo ragione di credere che sia proprio così.»
Dietro l’integratore di Europa, la parete trasparente, che lasciava scorgere la massa di Giove sopra la distesa di ghiaccio illuminata dalle stelle, divenne opaca e mostrò le varie lune e i pianeti che si muovevano nella loro solenne danza intorno al lontano Sole. L’immagine zumò sul sistema Terra-anelli lunari.
«Negli ultimi cinquecento anni terrestri» disse Asteague/Che «c’è stata sempre meno attività negli spettri modulati radio, gravitazionali e neutrinici provenienti dai due anelli residenziali, polare ed equatoriale, dei post-umani. Nell’ultimo secolo, zero assoluto. Sulla Terra stessa, solo tracce residue, forse dovute ad attività robotiche.»
«L’esiguo gruppo di umani originari esiste ancora?» domandò Ri Po, il piccolo moravec di Callisto.
«Non lo sappiamo» rispose Asteague/Che. Passò la mano sul pannello e un’immagine della Terra riempì la finestra. Mahnmut restò senza fiato. Due terzi del pianeta erano illuminati. Mari azzurri e tracce marrone erano visibili sotto masse di bianche nubi in movimento. Mahnmut non aveva mai visto la Terra e si sentì quasi sopraffatto dall’intensità del colore.
«È un’immagine in tempo reale?» domandò Koros III.
«Sì. Il Consorzio delle Cinque Lune ha costruito un piccolo telescopio ottico appena fuori il fronte di onda d’urto del disco magnetico gioviano. Ri Po era coinvolto nel progetto.»
«Mi scuso per la mancanza di risoluzione» disse il moravec di Callisto. «Solo da poco più di un secolo gioviano abbiamo fatto ricorso all’astronomia a luce visibile. E questo progetto è stato affrettato.»
«Ci sono segni degli umani originari?» domandò Orphu di Io.
I discendenti del tuo Shakespeare, soggiunse, su fascio compatto, a Mahnmut.
«Non sappiamo» rispose Asteague/Che. «La massima risoluzione sfiora appena i due chilometri e non abbiamo visto segno di vita umana originaria né di manufatti, a parte rovine già riportate sulle mappe. C’è una certa attività neutrinica di fax, ma può essere automatica o residua. In realtà, al momento gli umani non ci interessano. I post-umani, sì.»
Il mio Shakespeare? Vuoi dire il nostro Shakespeare! trasmise Mahnmut al grosso moravec di Io.
Scusa, Mahnmut. Per quanto ami i sonetti e perfino le opere teatrali del tuo Bardo, mi sono sempre dedicato a Proust.
Proust? Quell’esteta! Stai scherzando.
Per niente. Ci fu un brontolio nello spettro subsonico della banda a fascio compatto e Mahnmut lo interpretò come una risata del moravec di Io.
L’integratore richiamò alcune immagini dei milioni di abitazioni orbitali in movimento nella loro solenne danza ad anello intorno alla Terra. Molte erano bianche, altre color argento. Per quanto risultassero brillanti nella forte luce così vicino al Sole, parevano anche stranamente fredde. E vuote.
«Niente navette. Nessuna traccia neutrinica di attività fax anelli/Terra. E il ponte-convoglio di materiali pesanti fra gli anelli e Marte, osservato di recente, meno di venti anni gioviani fa, pari a duecentoquaranta e passa anni terresti, è sparito.»
«Credi che i post-umani siano scomparsi?» domandò Koros III. «Morti in qualche modo? Oppure emigrati?»
«Sappiamo che c’è stata una svolta improvvisa nel loro consumo di energia cronoclastica, quantica e gravitazionale» disse Asteague/Che. Era più alto e un po’ più umanoide di Mahnmut, rivestito di materiali protettivi giallo vivo. Aveva voce morbida, pacata, ben modulata. «Il nostro interesse ora si rivolge a Marte.»