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«Chissà se Asclepio potrebbe ridarmi occhi e braccia» ridacchiò Orphu.

Mahnmut non commentò.

«E i troiani?» chiese Orphu, in tono impaziente, quello che Mahnmut aveva sempre immaginato fosse il tono di un bambino umano: felice, entusiasta, quasi allegro. «Chi rappresenta Ilio?»

Mahnmut si mise in piedi sul guscio crepato per vedere meglio, al di là dei cimieri piumati degli eroi achei, tra le fila dei troiani. «Ettore guida il contingente, è ovvio. Il rosso cimiero di crine di cavallo e il luccicante elmo da guerra si fanno davvero notare. Ettore porta anche una cappa rossa, come per sfidare gli dèi a scendere dall’Olimpo e a combattere.»

Mahnmut aveva già riferito a Orphu la scena descritta da Hockenberry in precedenza, di quando Ettore e sua moglie Andromaca, quel pomeriggio, avevano camminato tra la folla di migliaia di guerrieri di Ilio, tenendo alto il corpo mutilato del loro figlio, Scamandrio, ancora vestito di panni regali macchiati di sangue, in modo che tutti lo vedessero. Hockenberry aveva riferito che migliaia di achei pensavano ancora di fuggire sull’alto mare nelle loro nere navi, ma dopo la macabra processione di Ettore e Andromaca, tutti i troiani e i loro alleati erano pronti a combattere gli dèi, anche a corpo a corpo, se necessario.

«Chi c’è, oltre a Ettore?» chiese Orphu.

«Paride, accanto a lui. Poi l’anziano consigliere Antenore e re Priamo in persona. Stanno un po’ discosti, non interferiscono con Ettore.»

«I figli di Antenore, Acamante e Archeloco, sono già stati uccisi, immagino» disse Orphu. «Da Aiace Telamonio… Aiace il Grande.»

«Esatto» disse Mahnmut. «Sarà dura, per loro, scambiarsi la stretta che suggella la tregua, come fanno ora. Aiace il Grande parla con Antenore come se non fosse accaduto niente.»

«Sono tutti soldati professionisti» disse Orphu. «Sanno di allevare i propri figli per la battaglia e probabilmente per la morte. Chi altri vedi nel contingente di Ettore?»

«Enea.»

«Ah, l’Eneide!» sospirò Orphu. «Enea è… era… destinato a essere l’unico superstite della casa reale di Ilio. È… era… destinato a fuggire dalla città in fiamme, col figlio Ascanio e un piccolo gruppo di troiani, in un paese dove i loro discendenti avrebbero fondato una città che sarebbe diventata Roma. Secondo Virgilio, Enea farà…»

«Non andiamo troppo avanti» lo interruppe Mahnmut. «Come dice Hockenberry, ora il gioco è chiuso. Non credo che tu mi abbia scaricato la parte dell’Iliade dove greci e troiani si alleano in una crociata contro l’Olimpo destinata al fallimento.»

«No, infatti. Chi altri è con Ettore, oltre Enea, Paride, il vecchio Priamo e Antenore?»

«Otrioneo, il promesso sposo di Cassandra.»

«Oddio. Otrioneo era destinato a essere ucciso da Idomeneo stasera o domani. Nella battaglia per le navi greche.»

«Il gioco è chiuso» ripeté Mahnmut. «Pare che stasera non ci sarà nessuna battaglia per le navi.»

«Chi c’è ancora?»

«Deifobo, un altro figlio di Priamo. Ha la corazza così lucida che per guardarlo devo aumentare i filtri polarizzati. Accanto a Deifobo c’è quel tizio di Pedeo, il genero di Priamo, non mi viene il nome… ah, sì, Imbrio.»

«Oddio, Imbrio era destinato a morire per mano di Teucro fra qualche ora appena.»

«Piantala» disse Mahnmut. «Finiranno per sentirti.»

«Sentirmi via radio o cavetto?» chiese Orphu ridendo. «Poco probabile, vecchio mio. A meno che greci e troiani non abbiano un po’ più di tecnologia di quanta me ne hai descritta.»

«Be’, è sconcertante» replicò Mahnmut. «Metà delle persone qui nel Boschetto sacro in teoria dovrebbero morire fra un giorno, al massimo due, secondo la tua stupida Iliade.»

«Non è la mia stupida Iliade!» Orphu rise. «E poi ora…»

«… il gioco è chiuso» concluse Mahnmut. «Ohi, ohi.»

«Che c’è?»

«I negoziati sono finiti. Ettore e Achille vengono avanti, ciascuno ora stringe l’avambraccio dell’altro… buon Dio!»

«Cosa c’è?»

«Non lo senti?»

«No» disse Orphu.

«Scusa, scusa, amico mio. Non parlavo alla lettera. Volevo dire… cioè…»

«Vai avanti» lo interruppe Orphu, brusco. «Cosa non sento?»

«Gli eserciti, greco e troiano insieme, ora gridano. Buon Dio, è un ruggito assordante. Centinaia di migliaia di achei e di troiani messi insieme, che lanciano evviva, scuotono gonfaloni, spingono in alto spade, lance e pennoni. La folla esultante arriva fino alle mura di Ilio. I troiani sulle mura… scorgo Andromaca ed Elena e le altre donne citate da Hockenberry… anche loro gridano. Gli altri achei, gli indecisi che aspettavano accanto alle navi, sono tornati ai fossati greci e gridano e applaudono anche loro. Che frastuono!»

«Be’, non occorre che gridi anche tu» disse ironicamente Orphu. «Il cavetto funziona benissimo. E ora che cosa accade?»

«Be’, non molto. Tutti i condottieri si stringono la mano, su e giù per la cresta. Campane e gong risuonano dalla città turrita. Gli eserciti si muovono qua e là, semplici guerrieri dell’una e dell’altra parte attraversano la zona di nessuno per scambiarsi pacche sulle spalle e il nome o chissà cosa e tutti sembrano pronti a combattere, ma…»

«… non c’è nessuno da combattere» concluse Orphu.

«Giusto.»

«Forse gli dèi non scenderanno a combattere.»

«Non ne sono tanto sicuro.»

«O forse il Congegno farà saltare l’Olimpo in miliardi di pezzi» disse Orphu.

A questa idea, Mahnmut rimase in silenzio. Aveva visto gli dèi e le dee, lassù, migliaia di creature senzienti, e non aveva desiderio di diventare un assassino di massa.

«Quanto ci vuole perché il tuo timer di fortuna attivi il Congegno?» chiese Orphu, anche se di sicuro lo sapeva.

Mahnmut controllò il cronometro interno. «Cinquantaquattro minuti» rispose.

In alto, nubi scure si ammassarono e ribollirono all’improvviso. A quanto pareva, gli dèi giungevano, alla fin fine.

Quando si era tuffato nel lago della caldera, in cima a Olympus Mons, Mahnmut aveva poche speranze di fuggire. Gli occorreva circa un minuto per preparare il Congegno per l’innesco — la detonazione? — e la profondità e la pressione forse glielo avrebbero concesso.

Aveva ragione. Era sceso a ottocento metri, sentendo su ogni millimetro quadrato della propria struttura la ben nota e piacevole spinta della pressione, e aveva trovato un ripiano sulla ripida parete ovest della caldera dove fermarsi, fissare il Congegno e armarlo. Gli dèi non lo avevano inseguito in acqua. O non amavano nuotare o pensavano scioccamente che colpendo l’acqua con laser e microonde l’avrebbero costretto a risalire in superficie: in ogni caso, lui se ne fregava.

Aveva peccato di negligenza nel non configurare un meccanismo di innesco a distanza prima di iniziare con Orphu il breve volo in pallone, perciò vi aveva provveduto in quel momento, a ottocento metri di profondità nel lago buio, illuminando con le lampade pettorali la macromolecola ovoidale del Congegno. Aveva rimosso la copertura d’accesso del guscio di superlega e cannibalizzato parti di se stesso: una delle quattro batterie per fornire il necessario segnale d’innesco a trentadue volt; uno dei tre ricevitori radio in soprannumero, che aveva saldato alla piastra d’innesco mediante il laser da polso; un timer costituito dal suo cronometro esterno. Per finire, vi aveva attaccato un rozzo sensore movimento/contatto ricavato alla buona da uno dei suoi transponder, in modo che il Congegno si innescasse automaticamente se qualcuno, a parte lui, l’avesse toccato.