Выбрать главу

"Se quei surrogati di dèi vengono giù a cercarmi adesso, innesco manualmente il Congegno" aveva pensato, seduto sul ripiano, ottocento metri sotto la superficie del lago. Ma non voleva distruggere anche se stesso (se la distruzione era il vero scopo del Congegno) e non voleva nascondersi sott’acqua per tutto il giorno. L’umano Hockenberry aveva promesso di telequantarsi indietro per prenderlo, perciò avrebbe aspettato. Voleva vedere di nuovo Orphu. Inoltre la loro missione (a dire il vero, la missione dei compianti Koros III e Ri Po) era di portare il Congegno su Olympus Mons e confermare col trasmettitore che era in loco. I due obiettivi erano stati raggiunti. In un certo senso, lui e Orphu avevano eseguito la missione.

"Allora perché mi nascondo nelle profondità di questo incredibile lago della caldera?" si era chiesto. Pensò all’acqua che ribolliva ottocento metri sopra di lui, mentre gli dèi riversavano nel lago ira e raggi calorifici e ridacchiò, nel tipico modo moravec: quell’acqua avrebbe dovuto ribollire in ogni caso, poiché la cima di Olympus Mons si trovava nel vuoto quasi assoluto.

Poi era giunto il momento in cui l’umano di nome Hockenberry sarebbe dovuto venire a prenderlo. Sorprendentemente, l’umano aveva mantenuto la parola.

«Descrivi la Terra» disse Orphu, nel Boschetto sacro. Mahnmut era scivolato giù dal guscio e guidava l’amico mediante una fune avvolta intorno alla bardatura di levitazione. «Sei sicuro che siamo sulla Terra?» soggiunse Orphu.

«Abbastanza sicuro» rispose Mahnmut. «La gravità è quella giusta, l’aria è quella giusta, il Sole pare delle dimensioni giuste e la flora è uguale alle immagini nelle banche dati. Oh, anche gli esseri umani… anche se tutti questi uomini e donne sembrano soci del migliore club di culturismo del sistema solare.»

«Tutti di bell’aspetto, eh?» disse Orphu.

«Per degli umani, credo di sì. Ma sono i primi Homo sapiens che incontro di persona e perciò chi può dirlo? Solo Hockenberry ha un aspetto ordinario, come gli uomini e le donne nelle fotografie e nei video e negli ologrammi che tu e io abbiamo nelle banche dati.»

«Cosa pensi che…» cominciò Orphu.

Ssst, trasmise Mahnmut sul raggio a fascio compatto. Aveva staccato il cavetto per non dover viaggiare ancora sul guscio di Orphu. Le nubi continuavano a turbinare sul campo di battaglia. Achille parla ai soldati, troiani e achei.

Capisci ciò che dice?

Certo. I file scaricati vanno benissimo, anche se devo desumere dal contesto qualche espressione colloquiale o qualche imprecazione.

Gli altri umani riescono a udirlo senza un altoparlante?

Quello ha polmoni d’acciaio, disse Mahnmut. Metaforicamente parlando. La sua voce arriva fino al mare in una direzione e alle mura di Troia in quella opposta.

Cosa dice? chiese Orphu.

"Io vi sfido, o dèi…" bla, bla, bla… "e ora grido: Distruzione! e sguinzaglio i cani della guerra…" bla, bla, bla…, declamò Mahnmut.

Un momento, disse Orphu. Ha usato davvero quella citazione da Shakespeare?

No. Traduco liberamente.

Puah. Pensavo che avessimo un sorprendente caso di plagio. Quanto manca all’attivazione del Congegno?

Quarantuno minuti, rispose Mahnmut. Qualcosa non va, nel tuo… Si interruppe.

Cosa c’è? disse Orphu.

Nel mezzo del provocatorio cri de cœur di Achille, comparve il re degli dèi. Achille smise di parlare. Nella piana di Ilio, duecentomila facce di uomini e una di robot si levarono al cielo.

Dalle nere nubi ribollenti scese Zeus, nel cocchio d’oro tirato da quattro magnifici cavalli olografici.

Teucro, il provetto arciere acheo, in piedi accanto ad Achille e Odisseo, prese la mira e scagliò una freccia, ma il cocchio si trovava troppo in alto, circondato (Mahnmut ne era certo) da un potente campo di forza. La freccia descrisse un arco e cadde nei cespugli di rovi ai piedi della cresta dove si trovavano i condottieri.

«TU OSI SFIDARE ME?» tuonò Zeus, con voce che risuonò in lungo e in largo per i campi e la spiaggia e la città dove erano radunati gli eserciti. «GUARDA LE CONSEGUENZE DELLA TUA HYBRIS!»

Il cocchio si spostò più in alto e poi accelerò verso sud, come se Zeus lasciasse il campo in direzione del monte Ida, appena visibile all’orizzonte meridionale. Forse solo Mahnmut, grazie alla vista telescopica, notò la piccola sfera argentea che Zeus, quando fu a una quindicina di chilometri da loro, lasciò cadere dal cocchio.

«A terra!» gridò Mahnmut, con voce amplificata a tutto volume, parlando in greco. «Per la vostra vita, gettatevi subito a terra! Non guardate a sud!»

Pochi obbedirono al suo ordine.

Mahnmut afferrò la cavezza di Orphu e corse al modesto riparo di un grosso macigno sulla cima della cresta, trenta metri più in là.

Il lampo, quando giunse, accecò migliaia di persone. I filtri polarizzati di Mahnmut passarono in automatico da valore sei a valore trecento. Il moravec non rallentò la folle corsa, tirandosi dietro Orphu come un gigantesco giocattolo.

L’onda d’urto colpì qualche secondo dopo il lampo, rotolò da sud in una muraglia di polvere e mandò visibili onde di stress a increspare l’atmosfera stessa. La velocità del vento passò in meno di un secondo da cinque chilometri all’ora da ovest a cento chilometri da sud. Centinaia di tende furono strappate dai picchetti e volarono nel cielo. I cavalli nitrirono e fuggirono dai padroni. Gli spumeggianti marosi furono soffiati lontano dalla riva.

Il rombo e l’onda d’urto sbatterono a terra tutti quelli che erano in piedi… tutti, tranne Ettore e Achille. Il rumore e la schiacciante pressione erano irresistibili, facevano vibrare ossa umane e interiora a stato solido moravec, oltre a far tremare le parti organiche di Mahnmut. Era come se la Terra stessa ruggisse e ululasse di collera. Centinaia di soldati achei e troiani, due chilometri a sud della cresta, presero fuoco e furono scagliati in alto e la loro cenere ricadde su migliaia di guerrieri atterriti in fuga verso nord.

Una sezione delle mura meridionali di Ilio si sbriciolò e crollò, portando con sé decine di persone, uomini e donne. Parecchie torri lignee della città presero fuoco e un’alta torre, quella da dove qualche giorno prima Hockenberry aveva guardato Ettore dire addio ad Andromaca e al figlioletto, cadde con uno schianto nella via.

Ettore e Achille si erano coperti il viso, riparandosi gli occhi dal terribile lampo che aveva scagliato la loro ombra a centinaia di metri nel Boschetto sacro. Dietro di loro, grossi macigni saldamente piantati sul tumulo funerario dell’amazzone Mirina vibrarono, scivolarono e caddero, schiacciando achei e troiani insieme. Il lucido elmo di Ettore non fu strappato via, ma il superbo cimiero di crine rosso fu sbrindellato dalle raffiche di vento che seguirono l’iniziale onda d’urto.

È successo qualcosa? chiese Orphu sul raggio a fascio compatto.

, mormorò Mahnmut.

Sento una sorta di vibrazione e di pressione in tutto il guscio, disse Orphu.

, mormorò di nuovo Mahnmut. L’unico motivo per cui il moravec di Io non era ruzzolato via sotto il vento e l’esplosione era che Mahnmut aveva legato la fune intorno al sasso più grosso che aveva trovato, sul lato sottovento del macigno che li riparava.

Che cosa…, cominciò Orphu.