L’immagine del quarto pianeta riempì la finestra.
Mahnmut aveva per Marte un interesse nel migliore dei casi marginale e ne ricordava immagini che risalivano all’Età Perduta. Il pianeta ora pareva completamente diverso da quello nelle foto e nelle olografie di quell’epoca.
Anziché un mondo rosso ruggine, la recente immagine di Marte mostrava un mare azzurro che copriva gran parte dell’emisfero nord; un nastro blu, largo molti chilometri, percorreva la fluviale Valles Marineris e sfociava nell’oceano. L’emisfero sud rimaneva in gran parte marrone rossiccio, ma con larghe chiazze di verde. I vulcani dei monti Tharsis correvano ancora da sudovest a nordest in scura processione (uno aveva un visibile pennacchio di fumo) ma Olympus Mons ora si alzava a una ventina di chilometri da una vasta baia dell’oceano settentrionale. Bianche nubi si ammucchiavano e si raggruppavano nella metà illuminata dell’immagine e vivide luci brillavano nelle vicinanze del bacino Hellas, al di là del bordo scuro del terminatore.
Mahnmut scorse un uragano roteare a nord della linea costiera della Chryse Planitia. «L’hanno cambiato!» esclamò ad alta voce. «I post hanno fatto il terraforming di Marte.»
«Quanto tempo fa?» domando Orphu di Io. Nessuno dei galileiani aveva speciale interesse per Marte (per tutti i pianeti interni, a dire il vero, a parte la loro letteratura) perciò il terraforming poteva essere avvenuto in un qualsiasi momento degli ultimi duemilacinquecento anni terrestri, dopo il distacco dei moravec dalla razza umana.
«Negli ultimi duecento anni» disse Asteague/Che. «Forse nell’ultimo secolo e mezzo.»
«Impossibile» dichiarò Koros III, deciso. «Marte non potrebbe subire il terraforming in un tempo così breve.»
«Sì, è impossibile» convenne Asteague/Che. «Ma è accaduto.»
«Allora i post sono emigrati lì» disse Orphu di Io.
«Pensiamo di no» rispose il piccolo Ri Po. «La risoluzione nelle nostre osservazioni di Marte è un po’ migliore di quella per la Terra. Per esempio, lungo le linee costiere…»
La finestra mostrò un’area lungo una sinuosa penisola a nord del punto dove l’ampio fiume della Valles Marineris (in realtà, un mare interno) entrava in una baia, attraversava un istmo e infine sfociava nell’oceano settentrionale. L’immagine venne ingrandita.
Lungo la costa dove la terraferma scendeva fino al mare, mostrando a volte rossastre colline desertiche e altrove pianure verdeggianti e fittamente boscose, minuscoli punti neri seguivano la linea costiera. L’immagine zumò ancora.
«Sono… sculture?» domandò Mahnmut.
«Teste di pietra, riteniamo» rispose Ri Po. L’immagine si spostò e l’ombra di una delle confuse sculture suggerì una fronte, un naso, un mento autoritario.
«È assurdo» disse Koros III. «Dovrebbero esserci milioni di quelle teste da isola di Pasqua per contornare tutto l’oceano settentrionale.»
«Ne abbiamo contate quattro milioni, duecentotremilacinquecentonove» disse Asteague/Che. «La costruzione però è incompleta. Notate questa fotografia presa alcuni mesi fa, durante il massimo avvicinamento di Marte.»
Una miriade di forme minuscole e confuse tirava su rulli quella che poteva essere una grande testa di pietra. La faccia era rivolta al cielo e gli occhi in ombra fissavano dritto nel telescopio spaziale. Le minuscole figure parevano tirare una moltitudine di cavi legati alla testa di pietra. Mahnmut pensò a schiavi egizi che tiravano i blocchi per le piramidi.
«Operai umani?» chiese Orphu. «O robot?»
«Né l’uno né l’altro» rispose Ri Po. «La corporatura non quadra. E notate il colore delle figure sulla banda d’analisi dello spettro.»
«Verde?» disse Mahnmut. Amava gli enigmi letterari, non quelli della vita reale. «Robot verdi?»
«Oppure una specie di piccoli umanoidi verdi finora mai incontrati» rispose, serio, Asteague/Che.
Orphu di Io emise una bassa risata subsonica. «POV» disse.
[?], gli trasmise Mahnmut.
Piccoli Omini Verdi, trasmise sulla banda comune Orphu di Io e rise di nuovo.
«Perché siamo stati chiamati qui?» chiese Mahnmut ad Asteague/Che. «Cosa c’entriamo, noi, col terraforming di Marte?»
La finestra tornò trasparente. Nella luce della sera, le bande di Giove e le pianure di ghiaccio di Europa parvero smorte e attenuate, dopo i vividi azzurri e bianchi dei pianeti interni. «Mandiamo su Marte una squadra, per indagare e fare rapporto» rispose l’integratore. «Voi siete stati scelti. Potete rifiutare adesso.»
I quattro moravec rimasero silenziosi su tutti gli spettri di comunicazione.
«Ho detto "fare rapporto"» continuò il primo integratore «ma non ho parlato di fare ritorno. Non abbiamo un modo sicuro di riportarvi nel sistema gioviano. Segnalate per favore se volete essere rimpiazzati in questa missione.»
Tutti e quattro restarono in silenzio.
«Bene» disse il primo integratore. «Fra qualche minuto vi saranno scaricate le specifiche della spedizione, ma permettetemi d’illustrare i punti salienti. Useremo il sommergibile di Mahnmut per l’effettivo sopralluogo sul pianeta. Ri Po e Orphu faranno mappe dall’orbita, mentre Mahnmut e Koros III scenderanno su Marte. Siamo interessati in particolare all’attività su Olympus Mons, il maggiore vulcano, e i suoi dintorni. In quella zona gli spostamenti quantici sono stati massicci e inspiegabili. Mahnmut sbarcherà Koros III sulla costa e il nostro amico di Ganimede eseguirà la ricognizione.»
Mahnmut sapeva dalle registrazioni e dalle sue letture che gli umani dell’Età Perduta segnalavano le interruzioni schiarendosi la gola. Emise il suono di chi si schiarisce la voce. «Scusate la mia stupidità, ma come portiamo su Marte il Dark Lady… il mio sommergibile?»
«Non è una domanda stupida» disse il primo integratore. «Orphu di Io?»
Il gigantesco granchio reale corazzato si spostò sui respingenti, in modo da puntare su Mahnmut varie lenti nere. «Sono secoli che non mandiamo niente all’interno del sistema. E qualsiasi cosa spedita nel vecchio modo impiegherebbe mezzo anno gioviano. Abbiamo deciso di usare la "forbice".»
Ri Po cambiò posizione nella sua nicchia di pietra. «Credevo che la forbice fosse usata solo per l’esplorazione interstellare.»
«Il Consorzio delle Cinque Lune ha deciso che questa missione ha la precedenza» disse Orphu di Io.
«Presumo che ci sia una sorta di veicolo spaziale» disse Koros III. «Oppure ci lanciate uno dopo l’altro, nudi, come tanti polli sparati da un trabocco?»
Il brontolio subsonico di Orphu scosse la lastra. Evidentemente gli era piaciuta l’immagine suggerita da Koros III.
Mahnmut si collegò alla rete comune e così apprese che un trabocco era una macchina d’assedio dell’Età Perduta, del Secondo livello di civiltà (prima delle macchine a vapore), meccanica ma molto più potente di una semplice catapulta, in grado di lanciare enormi massi a più di un chilometro e mezzo.
«Un’astronave c’è» disse Asteague/Che. «È stata progettata per raggiungere Marte in alcuni giorni e configurata per contenere il sommergibile di Mahnmut. L’astronave ha un’attrezzatura per l’ingresso nell’atmosfera del sommergibile di Mahnmut… il Dark Lady.»
«Raggiungere Marte in alcuni giorni?» ripeté Ri Po. «Quali sono i valori delta-v nel lasciare il tubo di flusso di Io?»
«Di poco inferiori alle tremila gravità» rispose l’integratore. «Gravità della Terra.»
Mahnmut, che non aveva mai provato un carico gravitazionale maggiore di quello di Europa, ossia meno di un settimo della gravità terrestre, cercò d’immaginare ventunmila volte quella forza di gravità. Non ci riuscì.