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«Pare semplice» disse Mahnmut. «Confrontare, identificare, sopraffare, soggiogare e interrogare. In realtà, la vostra squadra non è nemmeno scesa sul pianeta giusto.»

«La navigazione nei tunnel quantici si è rivelata più complicata di quanto non ci si aspettasse» disse il centurione capo Mep Ahoo. «La nostra squadra evidentemente ha imboccato un preesistente tunnel delle EMS e ha oltrepassato Marte… giungendo qui.» Si guardò intorno. I suoi soldati già alzavano le pesanti armi, mentre centinaia di troiani si avvicinavano sull’altura.

«Non sparate» disse Mahnmut. «Sono nostri alleati.»

«Alleati?» ripeté l’astervec, col visore lucente girato verso il muro di scudi e di lance in avanzata. Alla fine annuì, trasmise un ordine e i suoi soldati abbassarono le armi.

I troiani non abbassarono le loro.

Per fortuna Mahnmut riconobbe il comandante troiano, citato nella lunga presentazione dei condottieri avvenuta quel giorno. Gli si rivolse in greco: «Perimo, figlio di Mega, non attaccare. Quei tipi in nero sono nostri amici e alleati».

Lance e scudi rimasero in alto. Arcieri nella seconda fila avevano abbassato l’arco, tenendo però incoccata la freccia e tesa la corda, pronti a rialzarlo e a scoccare all’ordine. Gli astervec probabilmente si sentivano al sicuro da frecce dentellate lunghe un metro e intinte nel veleno, ma Mahnmut non voleva mettere alla prova in quel modo la resistenza del proprio tegumento.

«Amici e alleati.» ripeté in tono di scherno Perimo. Il lucido elmo di bronzo (paranaso, paraguance, fori rotondi per gli occhi e bassa cresta sulla nuca) lasciava scorgere solo lo sguardo rabbioso, le labbra serrate e il mento forte. «Come possono essere amici e alleati, piccola macchina, se non sono neppure uomini? Anzi, piccolo giocattolo, come puoi esserlo anche tu?»

Mahnmut non trovò una buona risposta. Disse: «Stamattina mi hai visto al fianco di Ettore, figlio di Mega».

«Ti ho visto pure al fianco dell’uccisore di uomini Achille» ribatté il troiano. Ora gli arcieri avevano alzato l’arco e almeno trenta frecce erano puntate su Mahnmut e sugli astervec.

Come lo convinco a fidarsi? trasmise Mahnmut a Orphu.

Perimo, figlio di Mega, rifletté Orphu. Se avessimo lasciato che le cose andassero come riportato dall’Iliade, Perimo sarebbe morto fra due giorni, ucciso da Patroclo al pari di Autonoo, Echeclo, Adrasto, Elaso, Mulio e Pilarte in una furibonda mischia.

Be’, non abbiamo due giorni, trasmise Mahnmut. Molti dei troiani da te citati sono qui adesso, con lo scudo alzato e la lancia pronta, e non penso che Patroclo venga ad aiutarci, a meno che non sia tornato a nuoto dall’Indiana. Hai qualche idea su che cosa fare adesso?

Prova a dire ai troiani che gli astervec sono attendenti forgiati da Efesto e chiamati da Achille per aiutarlo a vincere la guerra contro gli dèi.

«Attendenti» disse Mahnmut. Ripeté la parola in greco. Non conosco questa particolare forma del nome… non significa "servitore" né "schiavo" e inoltre…

Dillo e basta, brontolò Orphu. Prima che Perimo ordini loro di cacciarti una freccia nel fegato.

Mahnmut non aveva il fegato, ma capì la frecciata. «Perimo, nobile figlio di Mega» disse «queste figure nere sono "attendenti", forgiati da Efesto e chiamati qui da Achille per aiutarci a vincere la guerra contro gli dèi.»

Perimo lo guardò in cagnesco. «Allora sei anche tu un attendente?» replicò.

Rispondigli sì, suggerì Orphu.

«Sì» disse Mahnmut.

Perimo latrò un ordine ai suoi uomini; gli archi furono abbassati e le corde allentate.

Secondo Omero, trasmise Orphu, gli attendenti sono una sorta di androidi creati nella fucina di Efesto utilizzando parti umane e usati come robot dagli dèi e da alcuni mortali.

Vorresti farmi credere che nell’Iliade ci sono androidi e moravec? disse Mahnmut.

Nell’Iliade c’è tutto, replicò Orphu. Al capo degli astervec latrò: «Centurione capo Mep Ahoo, hai nell’astronave dei proiettori di campo di forza?».

L’alto astervec scattò sull’attenti. «Sì, capitano.»

«Manda una squadra nella città… quella laggiù, Ilio… e proietta un campo di forza per proteggerla» ordinò Orphu. «E un altro intorno all’accampamento acheo che vedi lungo la costa.»

«Campo a intensità massima, signore?» chiese il centurione capo. Mahnmut capì che un simile campo probabilmente avrebbe richiesto tutta l’energia erogata dal reattore a fusione della nave spaziale.

«Intensità massima» confermò Orphu. «In grado di respingere attacchi laser, maser, missili balistici, cruise, nucleari, termonucleari, a neutroni, plasma, antimateria e frecce. Quelli sono nostri alleati, centurione capo.»

«Sì, signore.» La figura nera come l’onice si girò e trasmise l’ordine. Altri soldati scesero la rampa, portando massicci proiettori. Si divisero in due gruppi e in doppia fila marciarono giù dalla cresta, in due direzioni, finché accanto a Mahnmut e Orphu non rimase che il centurione capo Mep Ahoo. I calabroni atterrati decollarono e ronzarono in cerchio, armi pronte, in continuo movimento.

Perimo si avvicinò. Il cimiero dell’elmo lucido e ammaccato arrivava appena al torace cesellato del centurione capo Mep Ahoo. Perimo alzò il pugno e batté le nocche sulla corazza di duraplast dell’astervec. «Non male, questa corazza» disse. Si rivolse a Mahnmut. «Pìccolo attendente, noi andiamo a unirci a Ettore in battaglia. Vuoi venire anche tu?» Indicò l’enorme cerchio tagliato nel cielo e nel terreno, verso sud. Altre unità di troiani e di achei marciavano (non correvano, marciavano con ordine, in un luccicare di cocchi e di scudi e in un garrire di pennoni) attraverso il portale quantico e la punta delle lance rifletteva la luce del sole della Terra da questa parte e la luce del sole di Marte dall’altra.

«Sì» rispose Mahnmut «vengo con voi.» A Orphu trasmise: Tu qui sarai al sicuro, eh, Vecchio?

Il centurione capo Mep Ahoo penserà a proteggermi, rispose Orphu.

Mahnmut scese il pendio (gli arbusti erano quasi appiattiti a furia d’essere calpestati in nove anni d’andirivieni nella battaglia) a fianco di Perimo, che guidava il piccolo contingente di troiani a unirsi a Ettore. In fondo all’altura rallentarono nel vedere una bizzarra figura barcollare verso di loro: un uomo nudo, senza barba, con i capelli arruffati e gli occhi un po’ stravolti. Camminava con cautela, attento a dove posava i piedi insanguinati, e aveva addosso solo un medaglione.

«Hockenberry?» disse Mahnmut. Dubitava dei propri circuiti di riconoscimento visivo.

«Presente e battuto» sorrise lo scoliaste. «Ciao, Mahnmut.» In greco disse: «Salve, Perimo, figlio di Mega. Sono Hockenberry, figlio di Duane, amico di Ettore e di Achille. Ci siamo conosciuti stamattina, ricordi?».

Prima di quel momento Mahnmut non aveva mai visto un essere umano nudo e si augurò che passasse molto, molto tempo, prima di vederne un altro. «Che cosa ti è accaduto?» chiese. «Che fine hanno fatto i tuoi vestiti?»

«È una lunga storia» disse Hockenberry «ma scommetto di riuscire a condensarla e terminarla prima che attraversiamo quel buco nel cielo laggiù.» A Perimo disse: «Figlio di Mega, c’è la possibilità di avere dal tuo gruppo qualche capo di vestiario?».

Perimo ovviamente aveva riconosciuto Hockenberry e ricordava che sia Achille sia Ettore l’avevano trattato con deferenza, durante il consiglio dei condottieri nel Boschetto sacro. Si rivolse ai suoi guerrieri e ringhiò: «Indumenti per questo nobile signore! Il miglior mantello, i sandali più nuovi, la corazza più bella, gli schinieri più lucidi e la biancheria più pulita!».