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Nella stessa zona piana accanto ad Achille, alla destra di Odisseo e degli Arridi, ma a una certa distanza, ci sono Mahnmut, Orphu e Hockenberry. In precedenza, nel pomeriggio, Mahnmut ha dato un’occhiata agli eserciti che si radunavano e, con l’aiuto del comandante troiano Perimo, ha subito requisito un cocchio con cui portare Orphu attraverso l’apertura del tunnel quantico, trascinando il moravec tenuto in aria dalla bardatura di levitazione (nelle parole di Orphu stesso, come "un’ammaccata roulotte da noleggio"). Mahnmut non sa che cosa sia esattamente (i suoi database della lingua colloquiale dell’Età Perduta non hanno l’ossessiva sovrabbondanza di quelli di Orphu) ma si è ripromesso di controllare, un giorno o l’altro. Se sopravvivrà.

Lo scoliaste Thomas Hockenberry, dottore in lettere, indossa cappa, corazza e vesti da condottiero troiano; pare emozionato per essere testimone di questo evento, ma pare anche incapace di stare fermo. Mentre le migliaia di guerrieri, su fino al livello del nobile Achille, aspettano quasi immobili che gli ultimi ritardatari di ciascun esercito, umani e immortali, si schierino, Hockenberry non fa che spostare da un piede all’altro il peso del corpo.

«Qualcosa non va?» gli bisbiglia Mahnmut.

«Qualcosa mi formicola nelle mutande» mormora Hockenberry.

Gli eserciti sono schierati. Il silenzio è inusitato: non c’è alcun rumore, né da un lato né dall’altro, a parte il lento sciaguattio di onde lontane che rotolano sui ciottoli della riva, di tanto in tanto il nitrito di un cavallo attaccato a un cocchio da guerra, il soffocato fruscio della brezza marziana fra le rocce dello strapiombo di Olympus Mons, il sibilo d’aria dei cocchi volanti che girano in tondo e quello più acuto dei calabroni da combattimento, l’occasionale, involontario rumore di bronzo contro bronzo quando un soldato cambia posizione e il potente, onnipresente suono negativo di decine di migliaia di uomini ansiosi che tentano di ricordare come si respira normalmente.

Zeus viene avanti e attraversa l’aegis, come un gigante che passi una cascata d’acqua increspata.

Achille avanza nella terra di nessuno per affrontare il padre degli dèi.

«VUOI DIRE L’ULTIMA PAROLA, PRIMA DI MORIRE CON TUTTA LA TUA RAZZA?» dice Zeus, in tono colloquiale, ma così amplificato da giungere alle estremità del campo, perfino agli uomini sulle navi greche alla fonda.

Achille esita, gira solo la testa a guardare la massa di uomini alle sue spalle, torna a fissare avanti, al di là di Zeus, verso l’Olimpo e la massa di dèi; poi inarca il collo e volge di nuovo lo sguardo al torreggiante Zeus. «Arrenditi adesso» dice «e risparmieremo la vita delle tue dee, in modo che possano farci da schiave e da cortigiane.»

64

VILLA ARDIS

Daeman dormì per due giorni e due notti, svegliandosi a intervalli irregolari solo quando Ada gli dava del brodo o quando Odisseo lo lavava. Si svegliò ancora, per breve tempo, il pomeriggio in cui Odisseo gli tagliò la barba, passandogli un rasoio tradizionale sulla peluria insaponata, ma era troppo stanco per parlare o ascoltare le chiacchiere. Né, addormentato, prestò attenzione ai rombi nel cielo, quando i meteoriti tornarono la notte seguente e quella dopo ancora. Non si svegliò quando un piccolo frammento non ben identificato, che viaggiava e varie migliaia di chilometri all’ora, tracciò un solco nel campo dietro la villa dove Odisseo aveva insegnato per settimane. L’impatto scavò un cratere del diametro di cinque metri, profondo tre, e mandò in frantumi le finestre ancora intatte sul lato nord di villa Ardis.

Daeman si svegliò a metà mattino del terzo giorno. Ada era seduta sul bordo del letto (il letto dove era solita dormire, risultò) e Odisseo, a braccia conserte, se ne stava appoggiato allo stipite della porta.

«Bentornato, Daeman Uhr» disse piano Ada.

«Grazie, Ada Uhr» rispose Daeman. Aveva la voce rauca e l’impressione d’avere usato una spropositata quantità di energie solo per gracchiare tre parole. «Harman? Hannah?»

«Stanno meglio tutt’e due» lo tranquillizzò Ada. Daeman non aveva mai notato quanto fosse perfetto il colore verde dei suoi occhi. «Harman si è alzato dal letto e stamattina è giù a fare colazione» riprese Ada. «Hannah impara di nuovo a camminare. In questo momento è sul prato, al sole.»

Daeman annuì e chiuse gli occhi. Aveva l’impellente stimolo di tenerli chiusi e di tornare alla deriva nei sogni e nel sonno. Lì soffriva meno: ora sentiva il braccio destro dolergli e bruciargli terribilmente. Aprì gli occhi di scatto e scostò le coperte, con la tremenda certezza che glielo avessero amputato mentre dormiva e che quindi il suo era un dolore fantasma di un arto fantasma.

Il braccio era rosso, gonfio, segnato da cicatrici, ma tutto intero e la ferita causata dai terribili denti di Calibano era stata ricucita con filo grosso. Daeman provò ad alzare il braccio, a muovere le dita. Ansimò per il dolore, ma vide che le dita si erano mosse, che il braccio si era alzato di qualche centimetro. Lo lasciò ricadere sul lenzuolo e rimase per un poco ad ansimare. «Chi è stato?» disse un attimo dopo. «A ricucirmi. Un servitore?»

Odisseo si avvicinò al letto. «Ti ho ricucito io.»

«I servitori non funzionano più» disse Ada. «Da nessuna parte. I nodi fax sono ancora attivi, così abbiamo notizie dagli altri posti. Servitori fuori servizio, voynix spariti.»

Daeman aggrottò la fronte, sforzandosi di capire, senza riuscirci. Entrò Harman, appoggiandosi a un bastone da passeggio. Non si era tagliato la barba, che però pareva regolata di fresco. Si accomodò su una sedia accanto al letto e strinse il braccio sinistro di Daeman. Questi chiuse gli occhi per un minuto e si limitò a restituirgli la stretta. Quando li riaprì, li sentì umidi. "Stanchezza" pensò.

«La tempesta di meteoriti si sta calmando» disse Harman. «Ogni sera è un po’ meno violenta. Ma ci sono state vittime. Solo a Ulanbat sono morte più di cento persone.»

«Morte?» ripeté Daeman. Da lungo, lungo tempo la parola non aveva più un significato reale.

«Dovete imparare da zero tutto ciò che riguarda i funerali» disse Odisseo. «Non potete più faxarvi a una felice eternità come post-umani immortali negli anelli equatoriale e polare. La gente seppellisce i propri morti e cerca di curare i feriti.»

«Cratere Parigi?» riuscì a chiedere Daeman. «Mia madre?»

«Sta bene» disse Ada. «Quella città non è stata colpita. Abbiamo messaggeri che portano notizie ogni giorno. Tua madre ha mandato una lettera, Daeman. Ha paura di faxarsi, finché le cose non si saranno sistemate. Un mucchio di gente ha paura. Senza servitori e voynix, senza corrente, molti rinunciano a viaggiare, se non è assolutamente necessario.»