Agamennone si è arrabbiato per l’interpretazione di Calcante. «Ha cacato merde di capra quadrate» ha mormorato il condottiero, con una risata puzzolente di vino. Costui, se non mi sbaglio, si chiama Oro e morirà per mano di Ettore fra qualche settimana, quando l’eroe troiano comincerà a uccidere achei a decine.
Oro mi dice che Agamennone, qualche minuto fa, ha accettato di restituire Criseide ("La stimo e la amo più di Clitennestra, la mia stessa moglie" ha gridato il figlio di Atreo) ma ha preteso come risarcimento una schiava altrettanto bella. Secondo Oro, che è ubriaco fradicio, Achille ha gridato: "Frena, Agamennone, uomo più avido di tutti i viventi" e ha fatto notare che al momento gli argivi (un altro appellativo per indicare gli achei, i danai… i maledetti greci, con tutti quei nomi) non erano in condizione di cedere ancora altro bottino al proprio comandante. Un giorno, se le sorti della guerra si fossero volte a loro favore, Agamennone avrebbe avuto la sua nuova schiava, ha promesso l’uccisore Achille. Nel frattempo, ha continuato, che Agamennone rendesse Criseide al padre e se ne stesse zitto.
«A questo punto, il sire Agamennone, figlio di Atreo, ha cominciato a cacare capre intere» dice, ridendo, Oro, a voce tanto alta che vari condottieri si girano verso di noi e ci guardano in cagnesco.
Annuisco e osservo il cerchio dell’assemblea. Agamennone, come sempre, è alla ribalta. Il figlio di Atreo ha davvero l’aspetto del comandante supremo: alto, barba arricciata nella foggia classica, fronte da semidio e occhi penetranti, muscoli lustri, vesti finissime. Dritto di fronte a lui, al centro del cerchio, è in piedi Achille. Più robusto, più giovane, perfino più bello di Agamennone, Achille sfida quasi ogni descrizione. Quando lo vidi per la prima volta, durante il "catalogo delle navi", più di nove anni fa, pensai che Achille fosse l’essere umano più simile a un dio fra tutti quegli uomini simili a dèi, tanto era imponente la sua presenza fisica. Ma da allora ho capito che, per quanto bello e potente, Achille è piuttosto stupido… una sorta di Arnold Schwarzenegger molto ma molto più bello.
Intorno al cerchio interno ci sono eroi sulle cui gesta ho tenuto lezioni per decenni, nell’altra mia vita. Non deludono, visti in carne e ossa. Accanto ad Agamennone, ma chiaramente non dalla sua parte nella discussione che infuria, c’è Odisseo, di tutta una testa più basso, ma più largo di spalle e di torace, che si muove fra i principi greci come un ariete nel gregge, con l’intelligenza e l’astuzia che gli brillano negli occhi e risaltano nel viso segnato dal tempo. Non ho mai rivolto la parola a Odisseo, ma non vedo l’ora di farlo, prima che la guerra termini e che lui s’imbarchi nel viaggio di ritorno.
Alla destra di Agamennone c’è suo fratello minore, Menelao, il marito di Elena. Vorrei avere un dollaro per ogni volta che ho udito un greco lamentarsi che, se Menelao fosse stato un amante migliore ("se avesse avuto un uccello più grosso" ha detto volgarmente Diomede a un amico, tre anni fa, mentre ero lì a portata d’orecchio), allora Elena non sarebbe fuggita con Paride a Ilio e gli eroi delle isole greche non avrebbero sprecato nove anni in quel maledetto assedio. A sinistra di Agamennone c’è Oreste, non il viziato figlio di Agamennone, lasciato a casa, che un giorno vendicherà l’assassinio del padre e si guadagnerà anche lui una parte sulle scene, ma solo un omonimo, un fedele scudiero che sarà ucciso da Ettore nella prossima grande offensiva dei troiani.
In piedi dietro Agamennone c’è Euribate, il suo araldo, da non confondersi con l’altro Euribate, araldo di Odisseo. Accanto a Euribate c’è Eurimedonte, figlio di Tolomeo, un bel giovane, auriga di Agamennone, che non va confuso con l’altro giovane Eurimedonte, molto meno bello, auriga di Nestore. (A volte, lo ammetto, cambierei volentieri tutti questi illustri patronimici con dei semplici cognomi.)
Sempre nella metà del cerchio occupata da Agamennone stasera ci sono Aiace il Grande e Aiace il Piccolo, comandanti delle truppe di Salamina e di Locri. Questi due non saranno mai confusi, se non per il nome, dal momento che Aiace il Grande sembra un giocatore di football americano e Aiace il Piccolo sembra un borsaiolo. Eurialo, terzo in comando dei guerrieri argivi, è in piedi accanto al suo superiore, Stenelo, un tipo con una pronuncia così blesa da inciampare nel suo stesso nome. Anche lo schietto Diomede, amico di Agamennone e primo comandante degli argivi, è presente, ma stasera non pare contento: a braccia conserte, guarda in cagnesco il terreno. Il vecchio Nestore ("il saggio consigliere di Pilo") si trova all’incirca a metà del cerchio interno e pare ancora meno contento di Diomede, mentre Agamennone e Achille s’infuriano sempre più e si scambiano insulti.
Se tutto va secondo il racconto di Omero, nel giro di qualche minuto Nestore terrà il suo discorso e cercherà invano di far vergognare Agamennone e l’infuriato Achille per indurli a riconciliarsi prima che la loro ira faccia il gioco dei troiani; confesso di voler ascoltare il discorso di Nestore, anche solo per il riferimento all’antica guerra contro i centauri. Ho sempre nutrito interesse per i centauri e Omero ha fatto in modo che Nestore parlasse in tono prosaico di loro e della guerra contro di loro; i centauri e la chimera sono gli unici animali mitologici citati nell’Iliade. Non vedo l’ora di sentirlo parlare dei centauri, ma intanto mi tengo fuori vista, perché ho l’aspetto di Biante, un subordinato di Nestore, e non voglio essere coinvolto nella discussione. Al momento però non corro rischi: Nestore e tutti gli altri seguono con grande attenzione lo scambio di insulti e di sputi fra Agamennone e Achille.
Vicino a Nestore, chiaramente senza parteggiare per l’uno o l’altro dei due condottieri, ci sono Menestio (che sarà ucciso da Paride fra qualche settimana, se tutto procede secondo Omero), Eumelo (capo dei tessali di Fere), Polisseno (uno dei capi degli epei), il suo amico Talpio, Toante (condottiero degli etoli), Leonteo e Polipete nel caratteristico costume di Argissa, Macaone e suo fratello Podalirio con alle spalle i loro luogotenenti tessali, il caro amico di Odisseo, Leuco (destinato a essere ucciso fra qualche giorno da Antifo) e altri che nel corso degli anni sono giunto a riconoscere non solo dall’aspetto, ma anche dalla voce e dal particolare modo di combattere e di vantarsi e di fare offerte agli dèi. Se non l’ho ancora detto, gli antichi greci qui radunati non fanno niente tanto per fare: ogni cosa è realizzata al massimo delle loro capacità, ogni loro sforzo corre ciò che uno studioso del ventesimo secolo definì "il pieno rischio di fallimento".
Di fronte ad Agamennone e alla destra di Achille c’è Patroclo, l’amico più intimo dell’uccisore di uomini, la cui morte per mano di Ettore è destinata a dare origine alla vera ira di Achille e alla più grande strage nella storia delle guerre, oltre a Tlepolemo, il bel figlio del mitico Eracle, che fuggì di casa dopo avere ucciso lo zio del padre e che presto morirà per mano di Sarpedonte. Fra Tlepolemo e Patroclo c’è il vecchio Fenice (caro amico ed ex tutore di Achille) e parla sottovoce a Orsiloco, figlio di Diocle, tra breve vittima di Enea. Alla sinistra del furibondo Achille c’è Idomeneo, suo amico molto più intimo di quanto non avessi sospettato dal poema.
Ci sono molti altri eroi nel cerchio interno, naturalmente, e altri ancora nella folla alle mie spalle, ma vi siete fatti l’idea. Di nessuno si tace il nome, sia nel poema epico di Omero sia nella vita quotidiana qui nella piana di Ilio. Ciascuno porta con sé per tutto il tempo il nome del padre, la sua storia, le sue terre e mogli e figli e beni mobili, in tutti gli scontri sia marziali sia retorici. Ce n’è abbastanza per sfiancare un semplice studioso.