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«Vediamo dove sono Hannah e Ada e gli altri» disse Savi. Ridacchiò. «Forse anche loro vorrebbero avere attivato gli inibitori farnet.»

Daeman non aveva affatto voglia di aprire il pugno.

«Ripeti il ciclo» disse Savi.

«Come?»

«Come fai sparire la freccia di ricerca?»

«Mi basta pensare: "Spento"» rispose Daeman e tra sé si diede dello stupido.

«Forza!»

Daeman pensò: "Spento" e l’ovale blu si spense.

«Per attivare proxnet pensa un cerchio giallo con un triangolo verde al centro» disse Savi. Guardò la propria palma e sopra vi comparve un vivido rettangolo giallo.

Daeman la imitò.

«Pensa a Hannah» disse Savi.

Daeman seguì il suggerimento. La sua palma e quella di Savi mostrarono un continente, il Nord America (ma Daeman non poteva riconoscerlo), poi uno zoom nella parte centromeridionale, zoom a nord della linea costiera, zoom in una complessa serie di parole illeggibili e mappe topografiche, zoom sotto alberi stilizzati su una forma femminile stilizzata con la testa di Hannah su un corpo da fumetto, che camminava da sola… no, non da sola, si rese conto Daeman, perché al suo fianco camminava un punto interrogativo.

Savi ridacchiò di nuovo. «Proxnet non sa come elaborare Odisseo.»

«Odisseo non lo vedo» disse Daeman.

Savi introdusse il dito nel cubo olografico giallo e toccò il punto interrogativo. Indicò due figure rosse al margine dell’ombra. «Questi siamo noi» disse. «Ada e Harman saranno fuori della griglia, a nord.»

«Come sappiamo che è Hannah?» chiese Daeman, anche se aveva visto la parte superiore della testa.

«Pensa: "Primo piano"» rispose Savi. Gli mostrò l’ombra sulla palma, che aveva zumato più in basso, si era livellata e rivelava la Hannah stilizzata con la faccia della Hannah reale che camminava fra alberi stilizzati lungo un torrente stilizzato.

Daeman pensò: "Primo piano" e si meravigliò per la chiarezza dell’immagine. Vedeva l’ombra degli alberi sui lineamenti di Hannah. La ragazza parlava animatamente al simbolo (Savi l’aveva chiamato punto interrogativo) librato accanto a lei. Daeman fu lieto di non avere trovato Hannah mentre faceva sesso.

Savi intanto aveva visualizzato Ada e Harman, perché l’ombra gialla sulla sua palma cambiò e mostrò due figure che camminavano fra simboli topografici da qualche parte sopra gli immobili puntini rossi che rappresentavano Savi e Daeman.

«Tutti vivi, nessuno divorato dai dinosauri» disse Savi. «Ma vorrei proprio che tornassero, così possiamo partire. Si fa tardi. Se fossero i vecchi tempi, mi limiterei a chiamarli sulla palma e a dire loro di riportare qui le chiappe.»

«Puoi usare questo sistema per comunicare?» disse Daeman, alzando la palma vuota.

«Certo.»

«Perché noi non sappiamo farlo?» Aveva quasi un tono di rabbia.

Savi si strìnse nelle spalle. «Non sapete più un granché, voi umani del cosiddetto vecchio stile.»

«Cosa significa, "cosiddetto vecchio stile"?» replicò Daeman. Adesso era davvero arrabbiato.

«Pensi davvero che gli umani dell’Età Perduta, i veri vecchio stile, avessero nelle cellule e nel corpo tutti questi nanomeccanismi geneticamente modificati.?»

«Sì» rispose Daeman, pur rendendosi conto di non sapere proprio niente dei vecchio stile dell’Età Perduta e fregandosene anche.

Savi rimase in silenzio per un minuto. A Daeman parve molto stanca, ma forse tutte le persone antiche, dell’epoca precedente lo spedale, avevano quella brutta cera.

«Dovremmo andare a prenderli» disse alla fine Savi. «Io riporto qui Hannah e Odisseo, tu ricupera Ada e Harman. Metti la palma in proxnet, attiva la funzione di ricerca come fai di solito e sarai guidato fino a loro. Di’ loro che il bus è in partenza.»

Daeman non aveva idea di che cosa significasse "bus", ma non era importante. «Ci sono altre funzioni?» chiese prima d’incamminarsi.

«Centinaia» rispose Savi.

«Mostramene una» la sfidò Daeman. Non le credeva (centinaia, ma va’!) però pensava che se avesse conosciuto anche solo un paio di funzioni nuove, sarebbe diventato popolare alle feste… un tipo interessante per le giovani donne.

Con un sospiro Savi si appoggiò al sonie. Si era alzato il vento che agitava i rami delle sequoie, in alto sopra di loro. «Posso mostrarti la funzione che alla fine spinse via dalla Terra i post-umani» disse piano. «Allnet, la rete totale.»

Daeman chiuse di nuovo il pugno e tirò via la mano. «No, se è pericoloso.»

«Nessun pericolo» disse Savi. «Non per noi. Ecco, faccio prima io.» Gli abbassò il braccio, gli schiuse le dita e gli toccò la palma in un modo che Daeman trovò quasi eccitante. Poi mise la sinistra accanto a quella di lui.

«Visualizza quattro rettangoli blu sopra tre cerchi rossi sopra quattro triangoli verdi» disse piano Savi.

Daeman corrugò la fronte — era difficile, le figure erano proprio al limite della sua capacità di trattenere l’immagine — ma alla fine, a occhi chiusi, ci riuscì.

«Apri gli occhi» disse Savi.

Daeman li aprì e l’attimo dopo si aggrappò freneticamente al sonie per sorreggersi.

Non c’era ombra sulla palma. Né mappe illeggibili né figure da fumetto.

Invece ogni cosa in vista era stata trasformata. I vicini alberi, ai quali non aveva badato se non per sfruttarne l’ombra, erano adesso sagome torreggiami e complesse, trasparenti, strato su strato di tessuti pulsanti, vivi, corteccia morta, vescicole, vene, materiale interno morto che mostrava vettori strutturali e anelli con colonne di dati in scorrimento, il dinamico verde e rosso della vita: aghi, xilema, flemma, acqua, zucchero, energia, luce solare. Se avesse potuto leggere i dati in scorrimento, avrebbe capito esattamente l’idrologia del miracolo vivente rappresentato da quell’albero, avrebbe saputo esattamente quanta pressione osmotica occorreva per portare su l’acqua dalle radici, poteva guardare in basso e vedere le radici nel terreno e il lungo viaggio, decine e decine di metri, dalle radici ai tubuli che portavano l’acqua, decine e decine di metri in verticale. Come un gigante che succhiasse da una cannuccia! E poi il movimento laterale dell’acqua, molecole d’acqua in tubature larghe solo una molecola, lungo rami larghi quindici, diciotto, venti metri, sempre più stretti, sempre più stretti, vita e sostanze nutritive in quell’acqua, energia dal sole…

Daeman alzò gli occhi e vide la luce solare come l’effettiva pioggia d’energia: luce solare che colpiva aghi di pino ed era assorbita, luce solare che colpiva il terriccio sotto i piedi e scaldava i batteri che vi si trovavano. Poteva contare gli indaffarati batteri! Il mondo intorno a lui era un torrente d’informazioni, una marea di dati, un milione di microecologie che interagivano tutte nello stesso tempo, energia per energia. Anche la morte era parte della complessa danza di acqua, luce, energia, vita, riciclaggio, crescita, sesso e fame che scorrevano tutt’intorno a lui.

Daeman vide un topo morto, quasi sepolto nel terriccio, dall’altra parte della radura, ormai poco più che pelo e ossa, ma ancora un faro di energia rosso luminoso, mentre i batteri banchettavano e le uova di mosca incubavano larve nella luce solare del pomeriggio e il lento dipanarsi di complesse proteine continuava a livello molecolare e…

Ansimante, quasi soffocato, Daeman si girò di scatto, cercò di spegnere la visione, ma la complessità era dappertutto: il marcato e grondante flusso e riflusso di energia che passava, sostanze nutritive che venivano assorbite, cellule che erano alimentate, molecole danzanti negli alberi trasparenti e nel suolo respirante e il cielo in fiamme con la sua pioggia e la sua marea di luce solare e di messaggi radio dalle stelle.