Hannah si ritrovò a ricambiare il sogghigno. Non erano amanti, non ancora, ma lei contava di restare a villa Ardis, mentre Odisseo vi era ospite, e chissà cosa sarebbe potuto accadere…
«Ah, siete qui» disse Savi, scendendo il pendio verso di loro. Chiuse il pugno e quello che pareva un rilevatore palmare si spense.
«È ora di proseguire?» chiese Odisseo, parlando a Savi, ma guardando Hannah, come se fossero vecchi congiurati.
«Ora di proseguire» confermò Savi.
26
VALLES MARINERIS CENTRORIENTALE, TRA EOS CHASMA E COPRATES CHASMA
Tre settimane nel viaggio a ovest, risalendo il fiume — il mare interno, in realtà — della Valles Marineris… e Mahnmut era sul punto di dare i numeri moravec.
La loro feluca, con un equipaggio di quaranta piccoli omini verdi, era solo una di numerose imbarcazioni dirette a est o a ovest nella fossa tettonica allagata della Valles Marineris o da nord a sud e viceversa nell’estuario che si apriva nel mare della Chryse Planitia dell’oceano settentrionale Tethys. Oltre a una ventina di altre feluche con equipaggi di POV, ogni giorno avevano sorpassato almeno tre chiatte lunghe un centinaio di metri, ognuna delle quali trasportava quattro grandi blocchi di pietra da cui ricavare le teste, tutte dirette a est dalla cava alla base della parete rocciosa sul lato meridionale del Noctis Labyrinthus, all’estremità ovest della Valles Marineris, ancora circa duemilaottocento chilometri più avanti della feluca di Mahnmut.
Orphu di Io era stato fatto rotolare a bordo e messo al sicuro nel ponte di stiva centrale, sotto un telone per nasconderlo alla vista dall’alto, legato vicino ai pezzi principali del carico e ad altri oggetti ricuperati dal Dark Lady. Al pensiero del sommergibile rimasto nelle acque basse della grotta marina lungo la linea costiera della Chryse Planitia, millecinquecento chilometri dietro di loro, Mahnmut si sentiva depresso.
Prima di quel viaggio, non sapeva d’essere capace di deprimersi, di provare un malessere emotivo e un senso di disperazione così terribili che avrebbero potuto privarlo di quasi tutta la forza di volontà e di ogni ambizione; ma il violento distacco dal sommergibile gli aveva mostrato fino a che punto potesse sentirsi giù di morale. Orphu, cieco, menomato, portato a bordo come tanta altra inutile zavorra, pareva di buonumore, anche se Mahnmut aveva imparato quanto di rado e con quanta cautela il suo amico mostrasse i suoi veri sentimenti.
La feluca era giunta, come promesso, la mattina del giorno marziano successivo al loro arrivo sulla costa; e mentre i POV portavano a bordo il povero Orphu, Mahnmut era sceso varie volte nel sommergibile allagato e aveva portato via tutte le unità amovibili — celle solari, apparecchi di comunicazione, dischi col giornale di bordo — e tutti gli attrezzi nautici che poteva trasportare.
«Hai nuotato nudo fino al relitto, ti sei riempito le tasche di gallette e sei tornato indietro sempre a nuoto, eh?» aveva detto Orphu quel mattino, quando Mahnmut gli aveva riferito il tentativo di ricuperare il salvabile.
«Cosa?» aveva replicato Mahnmut, chiedendosi se, per tutti i colpi presi, alla fine Orphu non fosse impazzito.
«Piccolo errore di logica nel Robinson Crusoe di Defoe» aveva riso Orphu. «Mi piacciono, gli errori di logica.»
«Non l’ho mai letto» aveva detto Mahnmut. Non era dell’umore giusto per scherzare. Era straziato per avere dovuto abbandonare il Dark Lady.
Nelle prime tre settimane di viaggio i due moravec discussero la reazione di Mahnmut, perché avevano ben poco da fare a bordo della feluca, a parte discutere di questo e di quello. Il ricetrasmettitore radio a corto raggio che Mahnmut aveva agganciato a Orphu, inserendolo nella presa di collegamento, funzionava bene.
«Tu soffri tanto di agorafobia quanto di depressione» disse Orphu.
«Come mai?»
«Sei stato progettato, programmato e addestrato per essere parte del sommergibile, nascosto sotto i ghiacci di Europa, circondato da tenebre e pressione micidiale, comodo in spazi ristretti. Anche le brevi sortite sulla superficie ghiacciata di Europa non ti hanno preparato a questi smisurati panorami, all’orizzonte lontano, al cielo azzurro.»
«Il cielo non è azzurro al momento» fu tutto ciò che Mahnmut disse in risposta. Era mattina presto e, come quasi tutte le mattine, la Valles Marineris era piena di nubi basse e di fitta nebbia. I pov avevano ammainato le vele: quando mancava la spinta del vento sulle vele latine dei due alberi, la feluca avanzava a remi e trenta piccoli omini verdi, quindici per lato, remavano e parevano instancabili. C’erano lanterne accese a prua, sul trinchetto, sulle fiancate e a poppa; la feluca si muoveva appena. Quella parte della Valles Marineris era larga più di centoventi chilometri e la zona dove presto sarebbero entrati era larga duecento, un mare interno più che un fiume, così vasto che, perfino nelle giornate di sereno, gli alti strapiombi della riva nord o della riva sud erano invisibili per la distanza; ma in quei canali c’era un movimento di navi sufficiente a giustificare ogni precauzione nella nebbia.
Mahnmut capì che Orphu aveva ragione, che l’agorafobia era parte del suo problema, visto che si sentiva più acutamente depresso nei giorni di sereno, quando il panorama non aveva limiti; ma capì pure che il problema era più complesso, non riguardava solo la separazione dalla sicura nicchia ambientale e dai connettori sensoriali della nave. Lui era, era sempre stato, un capitano di nave e sapeva, dai programmi di storia e poi dalle sue letture, che niente addolorava un capitano più della perdita della propria nave. Per giunta, era stato incaricato di un’importante missione, portare Koros III ai piedi di Olympus Mons dalla parte del mare, e aveva miseramente fallito. Koros III era morto, al pari di Ri Po, il moravec che sarebbe dovuto restare in orbita a ricevere, interpretare e ritrasmettere gli importanti dati del sopralluogo di Koros.
"A chi?" pensò. "Come? Quando?" Non aveva alcun indizio.
Discussero anche questo, nelle tre settimane di viaggio tranquillo. Perfino più tranquillo, di notte, perché i POV cadevano in ibernazione non appena il sole tramontava, dopo avere bloccato la feluca mediante un’ancora assai complicata (Mahnmut aveva fatto rilievi sonar e aveva stabilito che l’acqua sotto di loro era più profonda di sei chilometri), e non riprendevano a muoversi finché, il mattino dopo, la luce del sole non toccava la loro pelle verde e trasparente. Pareva chiaro che i POV acquisivano energia esclusivamente dalla luce del sole, anche se velata dalla nebbia del mattino. Di sicuro Mahnmut non aveva mai visto nessuno dei piccoli omini verdi mangiare o secernere qualcosa. Avrebbe potuto chiederlo, ma (anche se Orphu aveva ipotizzato che i singoli POV non "morivano" realmente dopo avere comunicato) non si fidava abbastanza della teoria del suo amico per infilare di nuovo la mano nel petto di una di quelle creature, stringere quello che avrebbe potuto essere il cuore e fare domande che potevano benissimo essere rimandate a un altro giorno.
Non aveva invece riserve a fare domande a Orphu. «Perché hanno mandato noi?» chiese il decimo giorno. «Non sappiamo niente della missione e non siamo attrezzati per portarla a termine, anche se sapessimo che cosa fare. È stata una pazzia, mandarci qui all’oscuro di tutto.»
«Gli amministratori moravec sono soliti dividere in compartimenti il lavoro e assegnare gli incarichi secondo i settori di competenza» disse Orphu. «Tu eri il migliore per condurre Koros al vulcano. Io ero il miglior moravec disponibile per mantenere in ordine la nave spaziale. Non hanno mai considerato la possibilità che saremmo stati la squadra superstite, rimasta a fare il lavoro degli altri due.»
«Perché no?» disse Mahnmut. «Di sicuro sapevano che la missione era pericolosa.»
Orphu ridacchiò piano. «Avranno pensato: o la va o la spacca. Cioè che, nel peggiore dei casi, saremmo morti tutti.»