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Uscì nel vialetto e vide da una parte Harman e Ada che parlavano sottovoce, ma in tono pressante. Più in giù nel pendio a prato, Hannah presentava Odisseo a vari ospiti incuriositi. I voynix si tenevano a grande distanza da Odisseo, ma Daeman non capì se per caso o di proposito. Si chiese se i voynix comunicassero tra loro e, in caso affermativo, in che modo. Non aveva mai sentito uno di loro emettere suoni.

Indicò a gesti a un voynix di portare un calessino proprio mentre la discussione tra Harman e Ada terminava: lei rientrò in casa a passo deciso, Harman girò sui tacchi e attraversò il vialetto per tornare nei campi e al sonie. Si avvicinò a Daeman, con un’espressione così truce che quest’ultimo arretrò di qualche centimetro.

«Vieni con noi?»

«Ah… be’… no» balbettò Daeman. Il voynix si avvicinò al piccolo trotto, tirandosi dietro il calessino a ruota singola, con un luccichio di selleria nella luce della sera e un ronzio di giroscopi.

Harman si girò senza dire altro e si inoltrò nel campo dietro la villa.

Daeman salì sul calessino, ordinò al voynix: «Portale fax» e si appoggiò allo schienale, mentre il veicolo girava nel vialetto, con uno scricchiolio di ghiaia sotto la ruota. Una delle giovani donne sul prato (a Daeman pareva di ricordare che si chiamasse Oelleo) gli gridò un saluto. Il calesse proseguì verso la strada, col silenzioso voynix che trottava fra le stanghe.

«Alt» disse Daeman. Il voynix si fermò di colpo, senza mollare le stanghe. Il giroscopio interno continuò a ronzare piano.

Daeman si girò a guardare dietro di sé villa Ardis, ma non vide Harman, già lontano fra gli alberi. Senza una ragione particolare si ritrovò a chiedersi dove avesse conosciuto Oelleo: a una festa a Bellinbad due estati prima? Alla quarta Ventina di Verna, a Chom, solo qualche mese fa? A una delle feste che lui organizzava a Cratere Parigi e che duravano tutta la notte?

Non riusciva a ricordarlo. Aveva dormito con lei? Aveva un’immagine di Oelleo nuda, ma forse gli era rimasta da una festa in piscina o da una delle mostre d’arte vivente tanto di moda l’inverno precedente. Non riusciva a stabilire se si era portato a letto quella donna. Ce n’erano talmente tante!

Ripensò ai festeggiamenti per la seconda Ventina di Tobi, a Ulanbat, solo tre giorni prima. Un ricordo sfocato: una confusione di risa e di sesso e di bevande che si mischiava con tutte le altre feste nei pressi di tutti gli altri nodi fax. Ma quando cercò di ricordare la Valle Secca in… come si chiamava? Antartide?… o l’iceberg o il ponte Golden Gate sopra Machu Picchu o perfino la stupida foresta di sequoie, tutto era chiaro, netto, preciso.

Scese dal calessino e s’inoltrò nei campi. "È una follia" pensò. "Follia, follia, follia." A metà strada dalla linea degli alberi, si lanciò in una corsa goffa e sgraziata.

Quando raggiunse il margine più lontano del campo, era senza fiato e sudava copiosamente. Il sonie era già andato via, rimaneva solo una depressione nell’erba alta vicino al muretto di pietra dove era atterrato.

«Maledizione!» imprecò Daeman, guardando il cielo della sera, vuoto a parte gli anelli equatoriale e polare in movimento. «Maledizione.» Si accasciò a sedere sul muretto di pietra, scivoloso per il muschio. Alle sue spalle, il sole tramontava. Chissà perché, a Daeman venne voglia di piangere.

Il sonie giunse da nord, a bassa quota, sfiorando gli alberi; calò in picchiata e rimase sospeso a tre metri da terra.

«Ho pensato che forse avresti cambiato idea» disse Savi. «Vuoi uno strappo?»

Daeman si alzò.

Avevano volato a est nel buio, salendo tanto in alto che le stelle e gli anelli orbitali illuminavano la parte superiore delle nubi già accese da fulmini, che s’increspavano come visibili peristalsi in interiora color latte. Quella notte fecero sosta vicino alla costa e dormirono in una bizzarra capanna sui rami di un albero, composta di piccole domi-case indipendenti e collegate da piattaforme e scale a chiocciola. La struttura aveva servizi igienici, ma mancavano servitori e voynix; e, nelle vicinanze, non c’erano altre persone né abitazioni.

«Hai molti posti come questo dove fermarti?» chiese Harman a Savi.

«Sì» rispose la vecchia. «Lontano dai vostri trecento nodi fax, la maggior parte della Terra è disabitata, sai. Dagli uomini, almeno. Qua e là ho dei posticini cui sono affezionata.»

Erano seduti fuori, in una sorta di piattaforma da pranzo a metà dell’alto albero. Sotto di loro, lucciole svolazzavano nella radura erbosa ingombra di enormi macchine antiche arrugginite, che erano state in gran parte reclamate dalle piante e dalle felci e dal terriccio del pendio della collina. La luce degli anelli filtrava tra le foglie e dipingeva di bianco l’erba alta. La tempesta sorvolata poco prima non era ancora giunta così lontano a est e la notte era calda e serena. Anche se mancavano i servitori, nella capanna c’erano frigoriferi pieni di cibo e Savi aveva provveduto a cucinare tagliatelle, carne e pesce. Daeman cominciava quasi ad abituarsi alla bizzarra idea di prepararsi il proprio cibo.

A un tratto Harman chiese a Savi: «Sai perché i post-umani hanno lasciato la Terra e non sono più tornati?».

Daeman ripensò all’esperienza patita nella radura delle sequoie quello stesso giorno e al solo ricordo sentì un inizio di nausea.

«Sì» ammise Savi «credo di saperlo.»

«Ce lo dirai?» chiese Harman.

«Non adesso» rispose la vecchia. Si alzò e risalì la scala a chiocciola lungo il tronco fino a un domi illuminato, dieci metri più in alto.

Harman e Daeman si guardarono nella fioca luce, ma non avevano niente da dirsi; alla fine, ognuno si ritirò in un domi per riposare.

Seguirono a grande velocità la Breccia che tagliava l’Atlantico, virarono a sud prima di raggiungere la terraferma e volarono in parallelo a quelle che Savi chiamò le Mani d’Ercole.

«Sorprendente» disse Harman, alzandosi quasi in ginocchio per guardare alla loro sinistra, mentre volavano verso sud.

Daeman dovette convenire. Fra una grossa montagna dalle pendici a lastroni a nord (che Savi chiamò Gibilterra) e una montagna più bassa circa quindici chilometri a sud, l’oceano si fermava, semplicemente, e restava fuori del profondo bacino che si estendeva a est, trattenuto da una serie di enormi mani d’oro che s’innalzavano dal letto marino. Ciascuna mano era alta più di centocinquanta metri e le dita allargate impedivano alla muraglia d’acqua dell’Atlantico di riversarsi nel bacino del Mediterraneo prosciugato che si perdeva, come una valle sempre più profonda, nelle nubi e nelle nebbie verso est.

«Perché queste mani?» chiese Daeman, mentre raggiungevano la terraferma sul lato sud del bacino ammantato di nebbia e viravano di nuovo a est. «I post non potevano usare campi di forza per trattenere il mare, come hanno fatto per la Breccia?»

Savi scosse la testa. «Le Mani d’Ercole c’erano già prima che nascessi e i post non ci hanno mai spiegato il perché di quella scelta. Ho sempre sospettato che l’abbiano fatto solo per capriccio.»

«Per capriccio» ripeté Harman. L’idea parve turbarlo.

«Sei sicura che non possiamo volare direttamente sopra il bacino?» chiese Daeman.

«Sono sicura» rispose Savi. «Il sonie cadrebbe giù come una pietra.»

Per tutto il pomeriggio sorvolarono paludi, laghi, foreste di felci e larghi fiumi in un territorio che Savi chiamò Sahara settentrionale. In breve le paludi rimpicciolirono fino a sparire del tutto e il terreno divenne più arido, più roccioso. Branchi di centinaia di animali dal mantello a strisce (non dinosauri, ma grossi come dinosauri) si spostavano per le praterie e le alture rocciose.