Una seconda coppia di porte si aprì davanti a loro. Poi la terza. Miles pregò che non fosse un’altra trappola. Ma non credeva che il ba avesse avuto modo di intercettare quel subdolo canale di comunicazione che dall’ufficio di Solian permetteva di vedere all’interno del ponte di comando.
Roic si fermò un attimo, addossandosi dietro lo spigolo dell’ultima porta, e guardò avanti. Annuì brevemente e continuò ad avanzare, con Miles alle calcagna. Mentre si avvicinavano, Miles notò che il pannello di controllo della porta al di là della quale c’era il cetagandano era stato fuso da qualche attrezzo simile a quello che aveva usato Roic. Anche il ba era andato a fare provviste nel reparto meccanica. Miles con un segno del capo lo indicò a Roic il cui viso s’illuminò e un sorriso tranquillizzante apparve sulla sua bocca.
L’armiere indicò con l’indice guantato prima se stesso, poi la porta; Miles scosse il capo e gli fece segno di avvicinarsi.
— Appena tu avrai forzato la porta, per primo entro io — gli disse. — Devo prendere quella valigetta prima che il ba possa reagire.
Roic si guardò intorno, prese fiato, e annuì.
Adesso. Aspettare non giovava a nessuno.
Roic si chinò, appoggiò le mani guantate e aperte sulla porta, spinse e tirò. I motori della sua tuta da lavoro gemettero per lo sforzo, ma infine la porta si schiuse cigolando.
Miles scivolò subito dentro. Non si guardò attorno; il suo mondo si era ristretto a un solo obiettivo, un solo oggetto. Il congelatore… lì, ancora sul sedile dell’ufficiale delle comunicazioni. Balzò, l’afferrò, e la sollevò al petto come uno scudo.
Il ba, preso alla sprovvista dalla sorpresa, urlò e la sua mano andò subito in tasca per impugnare l’arma.
Ma ormai Miles aveva trovato i pulsanti che aprivano le serrature della valigetta. Se fosse rimasta chiusa, l’avrebbe scagliata contro il cetagandano, se invece si apriva… e così fece. Subito la spalancò, la scosse e la fece roteare.
Una cascata d’argento, formata da un migliaio di minuscole siringhe per la conservazione criogenica, si riversò fuori e rimbalzò a caso sul ponte. Alcune si frantumarono all’impatto, con piccole note cristalline come insetti morenti; altre rotolarono sul pavimento, andando in ogni angolo.
A quel punto, l’urlo del cetagandano divenne straziante; le sue mani scattarono verso Miles come in un gesto di supplica, di negazione, di disperazione. Il ba avanzava verso di lui con il viso grigio contorto dallo shock e dall’incredulità.
Ma le mani di Roic lo bloccarono afferrandogli i polsi e sollevandolo da terra. Le ossa dei polsi si frantumarono per la ferrea stretta dei guanti della tuta da lavoro e il sangue zampillò. Il ba si agitò convulsamente e i suoi occhi stravolti rotearono all’indietro. Le sue urla si tramutarono in uno strano gemito che si affievoliva poco a poco, mentre con i piedi tentava inutilmente di colpire l’armiere. Ma Roic rimase fermo, impassibile, tenendolo sollevato, impotente.
Miles lasciò cadere il congelatore che atterrò sul pavimento con un tonfo, e riattivò l’audio del suo comunicatore.
— Abbiamo catturato il ba — comunicò. — Mandate subito rinforzi con tute anticontaminazione. Non c’è bisogno di armi per… — Ma non riuscì a finire quello che stava dicendo.
Le ginocchia gli si piegarono e si accasciò a terra, ridendo in modo irrefrenabile. Poi vide che Corbeau si era alzato e stava per soccorrerlo, allora gli fece cenno di allontanarsi.
— Sta’ indietro! Sto per…
Riuscì ad aprire la visiera appena in tempo. I conati e gli spasmi che gli torcevano lo stomaco questa volta erano molto più violenti. È tutto finito pensò. Adesso posso morire.
Ma si illudeva: non era tutto finito, tutt’altro. Greenlaw si era preoccupata per cinquantamila vite. Ora toccava a lui salvarle.
CAPITOLO DICIASSETTESIMO
Miles fu subito portato nell’infermeria della Idris da due uomini della forza d’attacco di Vorpatril, frettolosamente convertita in una squadra di assistenza autorizzata dai quad. I portantini, troppo presi dalla fretta di portare il paziente dal medico, per poco non caddero dentro il foro che Roic aveva fatto nel pavimento.
Una volta dentro, Miles riacquistò il controllo dei propri movimenti per il tempo necessario ad alzarsi da solo e appoggiarsi alla parete della saletta di bioisolamento; Roic lo seguiva, trasportando con cautela il detonatore a distanza trovato nella sala del ponte di comando, dentro una scatola di biocontenimento; Corbeau, con il volto rigido e pallido, chiudeva il corteo. Portava dei pantaloni e casacca da medico, troppo larghi per lui, ed era accompagnato da un infermiere che in un sacchetto portava l’iposiringa con la quale il ba gli aveva iniettato una sostanza che doveva essere esaminata.
Il capitano Clogston spuntò dalle ronzanti barriere azzurre e osservò la sua nuova infornata di pazienti. — Bene — annunciò, guardando con cipiglio i nuovi venuti. — Questa nave è talmente contaminata che la dichiaro interamente Zona di Biocontaminazione di Terzo Livello. Quindi mettetevi comodi, ragazzi.
Gli infermieri cominciarono ad armeggiare per mettere in funzione gli apparecchi di analisi. Miles ne approfittò per scambiare alcune brevi e urgenti parole con i due medici che rimanevano separati dagli altri: erano i militari addetti agli interrogatori della Prince Xav, uomini discreti e preparati.
Una seconda saletta fu adibita a cella temporanea per il ba, che era arrivato, strettamente legato su una slitta a levitazione. Miles aggrottò la fronte vedendolo passare davanti a lui. Anche se era legato saldamente, la sua testa e i suoi occhi roteavano in modo strano, e le sue labbra bagnate di saliva fremevano.
Era essenziale che il ba rimanesse in mano ai barrayarani. Scoprire dove aveva nascosto la sua lurida bio-bomba sulla Stazione Graf era la priorità più urgente. La razza haut si era resa geneticamente immune alla maggior parte delle droghe usate per gli interrogatori e ai loro derivati; se il penta-rapido non avesse funzionato su di lui, ai quad sarebbero rimaste ben poche possibilità di poterlo interrogare con l’approvazione del giudice Leutwyn. In quell’emergenza, le regole militari sarebbero state più efficienti di quelle civili.
In altri termini, se non ci stanno tra i piedi strapperemo noi le unghie del ba per conto loro.
Miles fermò Clogston che gli stava passando accanto, e gli chiese: — Come se la sta cavando Bel Thorne?
L’ufficiale medico scosse la testa. — Non bene, Milord Ispettore. All’inizio, quando sono entrati in azione i filtri, credevamo che stesse migliorando: sembrava addirittura che avesse ripreso conoscenza. Ma poi ha ricominciato ad agitarsi. Si lamenta e cerca di parlare. È fuori di testa, credo. Continua a chiedere dell’ammiraglio Vorpatril.
Vorpatril? — Aspetti! Ha detto proprio Vorpatril? — chiese bruscamente Miles. — O solo l’Ammiraglio?
Clogston si strinse nelle spalle. — Vorpatril è l’unico ammiraglio nei dintorni in questo momento, ma penso che il portomastro sia in preda ad allucinazioni. Non mi piace dare sedativi a una persona tanto spossata, specialmente se è appena uscita a fatica dagli effetti di una droga. Ma se l’erm non si calma, dovremo farlo.
Miles aggrottò la fronte e si diresse verso la stanza isolata seguito da Clogston. Si sfilò il casco ed estrasse il comunicatore, stringendo saldamente quel collegamento vitale. Un infermiere aveva già preparato la seconda cuccetta per il Lord Ispettore contaminato.
Bel era accanto a lui nella prima cuccetta, vestito con una casacca militare barrayarana verde chiara, il che sembrava a prima vista un miglioramento incoraggiante. Ma il suo viso era grigio, le labbra violacee, le palpebre tremanti. Una fleboclisi instillava rapidamente un liquido giallo nel suo braccio destro, mentre quello sinistro era stato legato a una tavola e collegato a due tubetti di plastica pieni di sangue; uno andava a inserirsi in un apparecchio dal quale usciva il secondo tubetto che rientrava nel braccio.