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Miles non poteva vedere se la bocca di Corbeau si fosse spalancata per lo stupore, dietro la mascherina medica. Ma notò che i suoi occhi si erano illuminati.

— Non credo proprio — disse Miles — che l’ammiraglio Vorpatril si opporrebbe a distaccarti per questa missione. O per lo meno, a non dover avere a che fare con te nella sua struttura di comando dopo tutti questi… complessi eventi. Non che avessi intenzione di concedergli diritto di veto sui miei decreti di Ispettore, intendiamoci.

— Ma… ma non sono un diplomatico. Io ho studiato da pilota.

— Se hai superato l’addestramento da pilota iperspaziale militare, hai già dimostrato di saper imparare in fretta e prendere decisioni sicure e veloci che riguardano la vita di altre persone. Obiezione respinta. Naturalmente il consolato avrà un budget per assumere esperti che ti assistano nei problemi particolari, le leggi, l’economia delle tariffe portuali, gli affari commerciali e quant’altro. Ma ci si aspetta che tu impari abbastanza nel corso del tuo lavoro da giudicare se i loro consigli saranno benefici per l’Impero. E se, alla fine dei due anni, dovessi decidere di congedarti e rimanere qui, questa esperienza costituirà un grosso vantaggio per trovare un impiego nello Spazio Quad. Se dal tuo punto di vista, o da quello di Garnet Cinque, una donna molto assennata che non devi lasciar sfuggire, ci sono problemi con questa proposta, io di sicuro non li vedo.

— Ci… — Corbeau inghiottì — ci penserò. Milord.

— Ottimo. — E non si fa nemmeno mettere i piedi in testa troppo facilmente, bene. — Fai così. — Miles sorrise e lo congedò con un saluto; Corbeau se ne andò con circospezione.

Appena fu fuori portata di voce, Miles mormorò un codice nel suo comunicatore da polso.

— Ekaterin, amore? Dove sei?

— Nella cabina della Prince Xav. Un gentile attendente mi sta aiutando a trasferire la mia roba sulla navetta.

— Bene. Sono appena riuscito a sganciarci dallo Spazio Quad. Greenlaw è stata ragionevole, o per lo meno troppo esausta per continuare a discutere.

— La capisco perfettamente. In questo momento, credo che non mi resti un solo nervo funzionante.

— Non hai bisogno di nervi, solo della tua solita grazia. Appena puoi usare una comconsolle, chiama Garnet Cinque. Voglio nominare quell’eroico giovane idiota di Corbeau console locale di Barrayar, e fargli ripulire tutto questo pasticcio che devo lasciarmi alle spalle. Mi pare giusto: senz’altro ha contribuito a crearlo. E poi Gregor mi ha chiesto di assicurarmi che le navi barrayarane possano di nuovo attraccare qui in futuro. Ma il ragazzo tentenna. Quindi parla di questa proposta a Garnet Cinque, e convincila che per il bene di tutti Corbeau deve accettare.

— Oh! Che splendida idea, amore. Sarebbero una coppia perfetta, credo.

— Già. Lui ha la bellezza e uhm… lei il cervello.

— E lui ha il coraggio, vorrai dire. Credo che potrebbe funzionare. Devo pensare a che regalo di nozze mandargli, come ringraziamento personale.

— Regalo? Non so, chiedi a Nicol. Oh, a proposito di Nicol. — Miles diede un’occhiata alla figura della cuccetta accanto. Dopo avere comunicato il suo cruciale messaggio, Thorne era ricaduto in quello che Miles sperava fosse sonno profondo e non l’inizio di un coma. — Sto pensando che Bel avrebbe veramente bisogno di qualcuno che lo segua per prendersene cura. O prendersi cura delle sue cose. Spero che il Nido Celeste possieda una soluzione per la sua stessa arma, per forza deve averla! — Se arriviamo in tempo. — Ma questa malattia ha l’aria di richiedere un periodo di convalescenza poco piacevole se si è da soli. Non sto esattamente fremendo dal desiderio di provarlo in prima persona neppure io. Quindi chiedile se è disposta a venire. Potrebbe viaggiare sulla Kestrel con te, ti farebbe compagnia, in ogni caso.

E se né lui né Bel ne fossero usciti vivi, si potevano offrire sostegno reciproco.

— Senz’altro. La chiamerò subito.

— Richiamami quando sarai arrivata a bordo della Kestrel, amore. — Il più spesso possibile.

— Certo. — La sua voce esitò. — Ti voglio bene. Riposati un po’. Ne hai bisogno. La tua voce ha quel suono dal profondo del pozzo che prende quando… Ci sarà tempo. — Un lampo di determinazione attraversò la sua palpabile stanchezza.

— Non oserei mai morire. C’è una feroce dama Vor che ha minacciato di uccidermi se lo faccio. — Sorrise debolmente e chiuse la comunicazione.

Ciondolò per un po’, esausto e stordito, lottando contro il sonno che cercava di sopraffarlo, perché non sapeva se fosse il morbo infernale del ba che guadagnava terreno, e avrebbe potuto non svegliarsi. Notò un sottile cambiamento nei suoni e nelle voci che penetravano dalla sala esterna, mentre la squadra medica si preparava all’evacuazione. Dopo un po’, un infermiere venne a portar via Bel su una slitta a levitazione. Dopo un altro po’, la slitta fece ritorno, e Clogston in persona, con un altro infermiere, trasferì a bordo l’Ispettore Imperiale e tutto il suo armamentario di cianfrusaglie cliniche. Uno degli agenti dello spionaggio fece rapporto a Miles, durante una breve attesa nella sala esterna.

— Finalmente abbiamo trovato i resti del tenente Solian, Milord Ispettore. Quel che ne è rimasto. Pochi chili di… insomma. In un baccello corporeo, ripiegato e rimesso nel suo armadietto nel corridoio appena fuori dalla stiva dei replicatori.

— Va bene. Grazie. Portatelo con noi. Così com’è. Come prova, e per… è morto mentre faceva il suo dovere. Barrayar ha un debito d’onore con lui. Esequie militari. Pensione, famiglia sistemata, e quant’altro serva.

La sua slitta a levitazione si risollevò, e il soffitto dei corridoi della Idris scorse per l’ultima volta davanti ai suoi occhi offuscati.

CAPITOLO DICIOTTESIMO

— Non siamo ancora arrivati? — biascicò Miles, ancora intontito.

Batté le palpebre che, stranamente, non sentì appiccicose e dolenti. Il soffitto non vacillava, né ondeggiava, sembrava invece un miraggio visto attraverso l’aria cocente del deserto. Il respiro attraversava le sue narici frementi fresco e senza intoppi. Niente catarro. Niente tubi. Niente tubi?

Quell’ambiente non gli era familiare. Frugò nella memoria. Nebbia. Angeli e diavoli in biocontenimento, che lo tormentavano; qualcuno che pretendeva che orinasse. Umiliazioni mediche, ora misericordiosamente vaghe. Cercare di parlare, dare ordini, finché un’iposiringa di oscurità l’aveva messo a tacere.

E prima ancora: disperazione quasi totale. Spedire messaggi frenetici come avanguardie davanti al suo piccolo convoglio. Il flusso di ritorno di notizie vecchie di giorni di gallerie di transito bloccate; stranieri internati da entrambe le parti; beni sequestrati, concentrazione di navi, che raccontavano la loro storia alla mente di Miles, resa ancora peggiore dai dettagli.

Conosceva troppo bene i maledetti dettagli. Non possiamo fare una guerra adesso, stupidi! Non sapete che qui ci sono delle creature quasi nate? Il suo braccio sinistro si mosse di scatto, senza incontrare altra resistenza che una morbida trapunta sotto le sue dita contratte. — … ancora arrivati?

L’incantevole viso di Ekaterin si chinò su di lui. Non dietro alle apparecchiature protettive. Per un momento temette che fosse solo una proiezione olografica, o un’allucinazione, ma il bacio caldo e reale delle sue labbra, sulle ali di una breve risata, lo rassicurò della sua concreta presenza prima ancora che la sua mano esitante potesse toccarle la guancia.

— Dov’è la tua mascherina? — le chiese con voce stanca. Si sollevò su un gomito, lottando contro un’ondata di nausea.