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This book leads me to a crossroads. It forces me to choose. It brings home to me that everything is upside down, overturned. It asks me: How to proceed?

Should I continue on this road? Will I abandon English definitively for Italian? Or, once I’m back in America, will I return to English?

How would I return to it? I know from my parents that, once you’ve left, you’re gone forever. If I stop writing in Italian, if I go back to working in English, I expect to feel another type of loss.

I can’t predict the future. I prefer to enjoy this moment, the work just finished. In spite of the doubts, I’m very happy to have written and published a book in Italian. Working on the Italian proofs as we closed the text, I felt moved. One could say that it’s an indigenous book, born and raised here in Italy, even if the author was not.

In Other Words will now have an identity independent of me. The first readers will be Italians; it will be found, first, in Italian bookstores. In time it will be translated, transformed. Next year it will be published in America, in a bilingual edition. Yet it will have specific, localized roots, although it remains hybrid, slightly outside the frame, like me.

Thanks to this writing project I hope that a piece of me can remain in Italy, and that consoles me, even though I hope that every book in the world belongs to everyone, or to no one, nowhere.

— ROME, DECEMBER 2014

ACKNOWLEDGMENTS

Every book seems to me an unattainable goal until it is finished, but this one more than any other. I couldn’t have done it without the support and careful attention of Sara Antonelli, Luigi Brioschi, Raffaella De Angelis, Angelo De Gennaro, Giovanni De Mauro, Michela Gallio, Francesca Marciano, Alberto Notarbartolo, and Pierfrancesco Romano.

Particular thanks to Gabriella Giandelli for her illustrations for the chapters that appeared in Internazionale; to Marco Delogu, whose photograph inspired the story “Half-Light”; and to the Centro Studi Americani in Rome, a place of the heart.

A NOTE ABOUT THE AUTHOR

Jhumpa Lahiri is the author of four works of fiction: Interpreter of Maladies, The Namesake, Unaccustomed Earth, and The Lowland. She has received numerous awards, including the Pulitzer Prize; the PEN/Hemingway Award; the Frank O’Connor International Short Story Award; the Premio Gregor von Rezzori; the DSC Prize for South Asian Literature; a 2014 National Humanities Medal, awarded by President Barack Obama; and the Premio Internazionale Viareggio-Versilia, for In altre parole.

A NOTE ABOUT THE TRANSLATOR

Ann Goldstein is an editor at The New Yorker. She has translated works by, among others, Elena Ferrante, Pier Paolo Pasolini, Primo Levi, Giacomo Leopardi, and Alessandro Baricco, and is the editor of the Complete Works of Primo Levi in English. She has been the recipient of the PEN Renato Poggioli Translation Award, a Guggenheim Fellowship, and awards from the Italian Foreign Ministry and from the American Academy of Arts and Letters.

IN ALTRE PAROLE

A Paola Basirico,

Angelo De Gennaro,

e Alice Peretti

…avevo bisogno di una lingua differente: una lingua che fosse un luogo di affetto e di riflessione.

— ANTONIO TABUCCHI

LA TRAVERSATA

Voglio attraversare un piccolo lago. È veramente piccolo, eppure l’altra sponda mi sembra troppo distante, oltre le mie capacità. So che il lago è molto profondo nel mezzo, e anche se so nuotare ho paura di trovarmi nell’acqua da sola, senza nessun sostegno.

Si trova, il lago di cui parlo, in un luogo appartato, isolato. Per raggiungerlo si deve camminare un po’, attraverso un bosco silenzioso. Dall’altra parte si vede una casetta, l’unica abitazione sulla sponda. Il lago si è formato subito dopo l’ultima glaciazione, millenni fa. L’acqua è pulita ma scura, priva di correnti, più pesante rispetto all’acqua salata. Dopo che ci si entra, ad alcuni metri dalla riva, non si vede più il fondo.

Di mattina osservo quelli che vengono al lago come me. Vedo come lo attraversano in maniera disinvolta e rilassata, come si fermano qualche minuto davanti alla casetta, poi tornano indietro. Conto le loro bracciate. Li invidio.

Per un mese nuoto in tondo, senza spingermi al largo. È una distanza molto più significativa, la circonferenza rispetto al diametro. Impiego più di mezz’ora per fare questo giro. Però sono sempre vicina alla riva. Posso fermarmi, posso stare in piedi se mi stanco. Un buon esercizio, ma non certo emozionante.

Poi una mattina, verso la fine dell’estate, mi incontro lì con due amici. Ho deciso di attraversare il lago con loro, per raggiungere finalmente la casetta dall’altra parte. Sono stanca di costeggiare solamente.

Conto le bracciate. So che i miei compagni sono nell’acqua con me, ma so che siamo soli. Dopo circa centocinquanta bracciate sono già in mezzo, la parte più profonda. Continuo. Dopo altre cento rivedo il fondo.

Arrivo dall’altra parte, ce l’ho fatta senza problemi. Vedo la casetta, finora lontana, a due passi da me. Vedo le distanti, piccole sagome di mio marito, dei miei figli. Sembrano irraggiungibili, ma so che non lo sono. Dopo una traversata, la sponda conosciuta diventa la parte opposta: di qua diventa di là. Carica di energia, riattraverso il lago. Esulto.

Per vent’anni ho studiato la lingua italiana come se nuotassi lungo i bordi di quel lago. Sempre accanto alla mia lingua dominante, l’inglese. Sempre costeggiandola. È stato un buon esercizio. Benefico per i muscoli, per il cervello, ma non certo emozionante. Studiando una lingua straniera in questo modo, non si può affogare. L’altra lingua è sempre lì per sostenerti, per salvarti. Ma non basta galleggiare senza la possibilità di annegare, di colare a picco. Per conoscere una nuova lingua, per immergersi, si deve lasciare la sponda. Senza salvagente. Senza poter contare sulla terraferma.

Qualche settimana dopo aver attraversato il piccolo lago nascosto, faccio una seconda traversata. Molto più lunga, ma niente di faticoso. Sarà la prima vera partenza della mia vita. Questa volta in nave, attraverso l’oceano Atlantico, per vivere in Italia.

IL DIZIONARIO

Il primo libro italiano che compro è un dizionario tascabile, con definizioni in inglese. Sto per andare a Firenze per la prima volta, nel 1994. Vado in una libreria a Boston, con un nome italiano: Rizzoli. Una bella libreria, raffinata, che non c’è più.

Non compro una guida turistica, anche se è la mia prima visita in Italia, anche se non conosco per niente Firenze. Grazie a un mio amico, ho già l’indirizzo di un albergo. Sono una studentessa, ho pochi soldi. Credo che un dizionario sia più importante.

Quello che scelgo ha una copertina di plastica, verde, indistruttibile, impermeabile. È leggero, più piccolo della mia mano. Ha più o meno le stesse dimensioni di una saponetta. Sul retro c’è scritto che contiene circa quarantamila parole italiane.

Quando, gironzolando per gli Uffizi, tra le gallerie quasi deserte, mia sorella si accorge di aver perso il suo cappello, apro il dizionario. Vado alla parte inglese, per apprendere come si dice cappello in italiano. In qualche modo, sicuramente sbagliato, dico a una guardia che abbiamo perso un cappello. Miracolosamente, capisce quello che dico, ed entro breve il cappello è ritrovato.