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Io ero molto più scosso di quanto volevo che papà sospettasse e ricorsi alla prima scusa che mi venne in mente per cambiare di­scorso.

— Non capisco perché il News-Chronicle abbia pubblicato una simile storia, papà — dissi. — È un giornale del Partito riformista e nelle ultime elezioni ha sostenuto lo sceriffo Anderson. Perché esporlo al ridicolo?

Papà abboccò come prevedevo. Un’esca politica, sociale, o economica, non manca mai di attirarlo, bandendo dalla sua men­te qualunque altro pensiero. Immediatamente si mise a vivisezio­nare il giornalismo moderno con tutti i suoi aspetti buoni, cattivi e innocui.

— Bobby, nonostante la tua intelligenza, a volte mi stupisci — disse. — Come puoi essere così ingenuo? Cosa credi che ne sa­rebbe della tiratura di un qualunque giornale se si attenesse solo alle notizie attendibili? L’articolo di fondo è una cosa, la cronaca un’altra. In effetti…

Avrei potuto smettere di discutere, a quel punto. Erano quasi le nove, ma avevo la testa in subbuglio perché sapevo che Bella­my, uscendo di prigione, aveva tenuto per sé un mucchio di cose che io avrei voluto tanto sapere.

Forse al News-Chronicle non avevano l’indirizzo di Bellamy, tuttavia non mi sarebbe stato difficile procurarmelo. Per il momento volevo solo addormentare gli eventuali sospetti di mio pa­dre. Mi chiesi che cosa avrei potuto dire per convincerlo che non pensavo più al suo colloquio con Anderson, o che per lo meno lo giudicavo meno importante dell’aderenza — o della mancanza di essa — a una linea politica da parte del giornale nel procurare le notizie. Trovai la risposta senza fatica e, soppesatala, la giudicai valida.

— Se la notizia ha un valore reale — dissi — nessun giornale può ignorarla. Ma, dopotutto, è facile conformare una notizia al­l’orientamento politico del giornale. Per riuscirci, basta esporre le cose in modo che quanto è sfavorevole alle persone del pro­prio partito passi in seconda linea, e lo si attribuisca, magari, al­l’opinione di qualche esaltato. Così, può sembrare sciocco, e la persona di cui si parla merita comunque rispetto e ammirazione.

— Adesso esageri! — disse papà. — Come puoi solo pen­sare…

Mamma uscì dalla cucina prima che potesse finire, e io emisi un sospirone di sollievo.

— È mai possibile che vi comportiate così? — esclamò guar­dando l’orologio. — Sono proprio molto arrabbiata, Roger. Dico sul serio. Fai apposta per farlo arrivare tardi a scuola.

Con mia gran meraviglia, papà assunse un’aria colpevole. Non avevo mai visto mamma tanto arrabbiata, e immagino che lui sa­pesse che aveva ragione di esserlo.

— D’accordo — disse, alzandosi e raccogliendo le sue pagine del giornale che erano cadute per terra. — Abbiamo avuto una piccola discussione e non mi ero accorto che si faceva tardi. Non ti preoccupare… arriverà in tempo.

— Mi preoccupo, e tu lo sai — disse la mamma. — È molto importante che non faccia assenze. Quest’anno non ne ha fatta ancora una e non è mai arrivato tardi.

— Cosa importerà, fra vent’anni? — sospirò papà.

— Che modo di parlare! Come puoi essere così cinico nei ri­guardi di tuo figlio? Pensa se un tuo impiegato sparisse con un milione di dollari. Diresti che fra vent’anni al comitato di presi­denza della banca non importerebbe più niente.

— Non gliene importerebbe nemmeno adesso — disse papà — dato che la banca è assicurata.

— Ma qualcuno ci rimetterebbe — insisté mamma. — Qualcu­no ne soffrirebbe. Se si trattasse di azioni negoziabili, cosa ne sarebbe dei dividendi? Gli azionisti ne sarebbero danneggiati! Tut­to quel che si fa o si manca di fare mette in moto una catena di conseguenze per cui qualcuno finisce col pagare. Se Bobby sta­mattina arrivasse tardi a scuola per colpa tua…

— Va bene, va bene! — tagliò corto papà. — Mi hai messo a posto come si deve.

9

Charles Bellamy

Non mi è piaciuto quello che mamma ha detto allo sceriffo. Non che m’importasse tanto. Comunque, nessuno avrebbe creduto a una sola parola della mia storia, e io non ho il complesso del mar­tire. Tutto considerato, lo sceriffo non era poi così cattivo. Ma a me viene la claustrofobia a sentirmi rinchiuso in una cella. La mamma lo sa, e per questo è venuta alla riscossa.

Era un’idea folle, comunque, ma tutta la faccenda era folle. Quando frequentavo i primi anni d’università, da maggio a otto­bre andavo a vendere i libri di porta in porta. Ma un’occupazione di questo genere non è adatta a un uomo che fra nove mesi con­seguirà la laurea in medicina e ha ricevuto offerte per diventare assistente da parte di un’università dove non vige il principio che uno debba iniziare dal primo gradino della scala accademica e ri­salirla scrivendo articoli per oscuri periodici specializzati che nes­suno legge.

Se gli editori dell’enciclopedia non mi avessero offerto un pre­mio speciale perché avevo lavorato così bene negli anni passati; e se non avessi avuto il dono di persuadere le massaie a comprare qualsiasi cosa, non avrei nemmeno preso in considerazione la proposta. Il guadagno è due o tre volte superiore a quello di un insegnante di corsi estivi. Ma anche così…

Chiunque abbia provato sa che, a ragion veduta, girare per vendere libri non è poi cosa così deprimente e impossibile come comunemente si crede. C’è una cosa da dire in proposito. Sono poche le persone così scontrose e irragionevoli da sbatterti la porta in faccia, e capita di rado di dover infilare il piede nella fes­sura della porta fino a quando non si è riusciti a convincere i padroni di casa che non corrispondiamo per niente al concetto po­polare di come dovrebbe parlare e comportarsi un commesso viaggiatore che spera di fare buoni affari. Se si riesce a non essere troppo impacciati o troppo sfacciati, il successo arride sempre, e qualche volta ha del miracoloso. Non guasta mostrarsi un po’ ti­midi, purché si sia simpatici e gentili.

I venditori di enciclopedie hanno il privilegio di smerciare di porta in porta la “summa” di tutto il sapere umano, elegante­mente rilegato in cuoio e oro.

Da ragazzo ero passato parecchie volte davanti alla casa del vecchio Jonathan Oakham sognando che un giorno o l’altro avrei spinto il cancello di ferro battuto cigolante e arrugginito, e avrei attraversato il prato antistante la casa con la mia borsa in mano.

Il vecchio Jonathan Oakham era un tipo formidabile e se ci fosse stato ancora lui in quella casa, la possibilità di riuscire a fargli acquistare un’enciclopedia in dieci volumi non mi sarebbe passata per la testa. Era infatti notorio che possedesse per lo meno tre enciclopedie, più uno scaffale alto fino al soffitto di altri libri che integravano tutto quello che manca nelle enciclopedie.

Ma ora c’erano nuovi inquilini nella casa, e il loro arredamen­to, mobilio compreso — stavo passando di lì per caso, quando i facchini scaricavano il furgone del trasloco — non mi era parso del tipo di quello di Jonathan Oakham. Niente librerie, non parlia­mo poi di scaffali alti fino al soffitto. Cosa avevo da perdere a cercare di persuaderli a cominciare con un’enciclopedia, intorno alla quale, con gli anni, avrebbero potuto costruirsi una biblioteca? Molti cominciano proprio così, e poco alla volta prendono interesse alla letteratura, alla storia, all’architettura e alla pittura.

Fa piacere sentire che abbiamo contribuito ad allargare gli orizzonti culturali di gente nel pieno della vita, con ancora parec­chi anni utili davanti a sé, e mi sembrava che valesse la pena tentare.