D’un tratto tornai a pensare ancora a Bobby Jackson. Perché i miei pensieri tornavano a lui con tanta insistenza, in quel momento in cui avevo ben altre preoccupazioni? Forse perché il cielo era cupo e verso est si addensavano nuvole temporalesche? Fissavo le nuvole e mentre le guardavo mi sembravano sempre più scure.
Mi tornò alla mente il fulmine che era penetrato in classe zigzagando e si era poi suddiviso in modo così terrificante che io ero rimasto paralizzato a fissare Bobby mentre il fulmine restava sospeso sulla sua testa.
Che cosa aveva cominciato a dirmi Bobby prima del fulmine, quando il rombo del tuono mi aveva quasi assordato? “Non credo che tutto si fermerà”.
Be’… tutto si era fermato per un momento, compreso il battito del mio cuore. Anche per Laura si era fermato tutto allo stesso modo? Ed era possibile che il fulmine che era rimasto sulla testa di Bobby senza colpirlo…
Stavo allontanandomi dalla finestra, pensando che forse una sigaretta poteva calmarmi un po’ — è strano come talvolta basti accendere una sigaretta per evitare di fare un ultimo decisivo passo nel buio, di cui in seguito non si smetterebbe mai di pentirsi — quando suonò il telefono.
Fece in tempo a squillare tre volte prima che raggiungessi il tavolo su cui era sistemato l’apparecchio ed ero in preda a una tale paura di non arrivare a rispondere in tempo, che per poco la paura non si realizzò.
Nel sollevare il ricevitore quasi rovesciai telefono e tavolo, e mi tremavano ancora le mani quando sentii la voce di Bobby chiedere dall’altro capo del filo: — È lei, signor Dyson?
Perché proprio Bobby, e non lo sceriffo, che mi telefonava per dirmi che Laura era stata ritrovata e voleva parlarmi, perché voleva dirmi subito, davanti allo sceriffo, che non solo era sana e salva, ma che mi amava tanto? Se me lo avesse detto, io avrei risposto: “Non saprai mai quanto ti amo io” e tutte le nuvole temporalesche sarebbero scomparse… almeno per me.
Invece era solo Bobby. Cosa poteva dirmi che fosse capace di stornare le mie angosce?
— Signor Dysoh, mi ascolta? — disse in tono urgente, come se il “clic” che aveva sentito quando io avevo sollevato il ricevitore lo autorizzasse a ritenere strano il mio silenzio.
— Sì… ti ascolto, Bobby — risposi. — Un momento che il filo si è impigliato… Scusami se non sono riuscito a rispondere subito… ma sono molto preoccupato.
— A causa della signorina Hartley…
— Sì — interruppi. — Speravo che fosse lo sceriffo a chiamarmi.
— Lo sceriffo non sa dov’è la signorina, signor Dyson — disse Bobby. — Io invece lo so.
Dire che rimasi stupito è poco. Mi sembrava di ascoltare la voce di un rapitore che si mette in contatto con un padre affranto per stabilire il riscatto. Non che reputassi Bobby un rapitore. Però confesso di vergognarmi dei pensieri che mi passarono per la testa al primo momento.
Come poteva sapere dove si trovava Laura se non era al corrente delle circostanze relative alla sua scomparsa? E se ne era al corrente perché non ne aveva parlato allo sceriffo? Doveva essersi reso conto di attirare su di sé l’ombra del sospetto tacendo con Anderson e confidandosi solo con me…
Ma se davvero sapeva l’unica cosa che m’interessava in quel momento, mi sarei ben guardato dal rendermelo ostile minacciando di portarlo dallo sceriffo. Mi sorpresi a domandarmi come facesse a sapere che tra me e Laura…
Lasciai che il silenzio si prolungasse ancora, ma stavolta ero sicuro che non l’avrebbe trovato strano, perché sapeva certamente quanto mi avessero colpito le sue parole.
— Bobby — dissi.
— Sì, signor Dyson?
— Non riuscirei mai a perdonarti se tu non fossi assolutamente sicuro di quanto dici. Perciò preferisco crederti.
— Io so dov’è, signor Dyson… e vado a cercare di liberarla.
Cercare di liberarla! Rimasi immobile per un momento, stringendo così forte il ricevitore che sentii pulsare il sangue nelle dita. — Stai dicendo che qualcuno la tiene prigioniera? Un uomo… o parecchi uomini? Devi sapere anche questo. Dimmi che cos’è successo, Bobby. Non importa quanto sia grave, Anderson saprà cosa fare. Ha già avuto a che fare con dei rapitori.
— Non è stata rapita, signor Dyson. Cioè, quando si parla di rapimento si pensa a una cosa molto diversa.
— Se è prigioniera contro la sua volontà è la stessa cosa. Che stai cercando di fare, Bobby? Vuoi tormentarmi oltre ogni limite? Non capisco perché tu debba essere evasivo dal momento che non hai motivo per nascondermi alcunché.
— Le dirò tutto, signor Dyson, se ci troviamo fra circa mezz’ora alla Gower Cavern. Ma se porterà lo sceriffo, non potrò liberarla.
— Capisco. Poni delle dure condizioni, Bobby.
— È necessario, signor Dyson.
— D’accordo, Bobby. Verrò.
— Solo?
— Non mi lasci possibilità di scelta.
Il che, ovviamente, non era vero, e quando deposi il ricevitore ero deciso a chiamare subito lo sceriffo.
Non so, invece, perché poi cambiai idea. Forse non giunsi a una decisione in merito, perché posso dire soltanto che ogni volta che allungavo la mano verso il telefono qualcosa mi impediva di sollevare il ricevitore. Sembrava che una specie di paralisi mi arrestasse la mano a pochi centimetri dal telefono, ma più che una paralisi era una completa mancanza di volontà.
11
Bobby Jackson
Ricordo tutte le gite che ho fatto alla Gower Cavern. Quando avevo sette anni ci andavo tre o quattro volte al mese, tutte le volte che mi prendeva la voglia di andare a frugare, armato di pila, un mondo misterioso, sotterraneo, dove tutto sembrava più grande di quanto fosse in realtà. Più grande e più cupo. Il silenzio e l’ombra mi spaventavano, ma mi procuravano anche l’emozione di sentirmi un ardito esploratore che si avventura nelle viscere della terra alla ricerca di tesori nascosti.
Un paio di volte m’ero abbandonato a fantasie infantili, pensando di essere un minatore che si avventurava in una miniera con la lampadina legata alla fronte e un piccone sulla spalla. Uscendo dalla caverna mi dicevo che era un bene che nessuno sapesse quanto fossi infantile a volte, ed è probabilmente grazie al mio bisogno di tenermi strette le mie idee che mi s’impressero per sempre nella memoria quelle prime escursioni.
Quando ci si trova sulla riva di un fiume, sotto uno scroscio di pioggia e attraverso l’acqua turbolenta si scorge una trota arcobaleno, e ci si sente vicini al cuore pulsante della natura… allora com’è possibile non sentirsi diversi da Willie Simpson con il suo camioncino di pompieri o da Jackie MacClary con la sua bicicletta rossa e gialla?
Non fatemi domande e io non vi dirò bugie. Ci sono cose che, ne sono certo, nemmeno Kant sarebbe riuscito a spiegare con l’aiuto di tutta la sua fredda logica, ed è possibile che, a sette od otto anni, l’autore della Critica della Ragion Pura fosse un ragazzetto con la testa dura e il carattere litigioso, sempre pronto a battersi, mentre i suoi pensieri vagavano verso l’eternità e si facevano beffe delle ginocchia sbucciate e dei pantaloncini infangati.
Un improvviso soffio di vento, proveniente dall’esterno, mi riempì gli occhi di polvere e il bruciore mi riportò bruscamente a una realtà così brutta, spaventevole e carica di pericoli che tutti i lontani ricordi infantili a cui m’ero abbandonato per un momento sembrarono allontanarsi rotolando nel buio in cui camminavo, col signor Dyson a fianco. Era singolare come i ricordi di sette anni prima sembrassero a volte talmente remoti, che invece di sette, gli anni trascorsi da allora avrebbero potuto essere cinquanta o cento.