Aveva acceso la lampadina che bastava da sola a illuminare un ampio tratto di terreno davanti a noi, cosicché non era stato necessario che accendessi anche la mia.
Superammo la svolta senza fermarci, aggirammo un grosso macigno, e stavamo per svoltare un’altra volta, quando i due Martin uscirono dall’ombra della parete di fronte a noi.
Il signor Martin reggeva un lungo tubo lucente che mandava un bagliore tanto intenso da rendere completamente inutile la lampadina del signor Dyson. La signora Martin era a mani vuote, e mi fissava come se sperasse che io morissi e non potessi avvicinarmi di più, prima che suo marito balzasse al suo fianco.
Il signor Martin doveva condividere i suoi pensieri e sapere esattamente quel che lei voleva che facesse, perché il tubo si sollevò e il raggio si mosse verso di me.
Fu un errore madornale, l’ultimo che egli commise. Io ero immobile e per un attimo provai la sensazione di essere trasformato in una colonna di fuoco. Ma fu solo l’effetto del calore provocato dal raggio, prima che il signor Martin facesse un balzo indietro lasciando cadere il tubo. Se il raggio mi avesse preso in pieno non sarei riuscito a fermarlo e lui avrebbe colpito anche il signor Dyson, perché non ci sarei stato più io a impedirlo.
Costringere il signor Martin a ripiegarsi su se stesso con le mani contratte sullo stomaco e la bocca aperta per lo spasimo, come un pesce fuori d’acqua che lotta per respirare, non era stato difficile come prevedevo.
Lentamente, inflessibilmente, procedetti alla sua distruzione, costringendolo a rivolgere contro se stesso tutta l’energia innaturale del suo corpo squassato da un violento tremito. Sapevo di poter influire sulla sua mente per trasformarla in un’arma capace di distruggere quella vita, se essa l’avesse ordinato, e la forza mentale che impartì l’ordine non vacillò per un solo attimo. Sapevo dove si trovava il centro dei comandi ed ero sicuro che sarei riuscito a farli prevalere.
Ricordando quello che aveva fatto perché non era umano, non provai alcun senso di colpa.
Mi riuscì invece più difficile la distruzione della signora Martin. Mi aveva talmente affascinato che per un attimo intero, dopo che aveva cessato di muoversi, non riuscii a smettere di pensare come sarebbe stata bella se l’avessi incontrata in un bosco d’autunno, e lei mi avesse guardato col sole che le brillava nei capelli, senza avere paura di me, e senza che sospettassi che quella sua straordinaria bellezza era stata creata per nascondere un meccanismo inumano dotato di un cervello artificiale gelido e spietato.
Quello che ero stato costretto a fare avrebbe potuto essere più insopportabile se avessi avuto più tempo per soffermarmi sul suo aspetto attuale, su come giaceva davanti a me rattrappita, morta e stranamente rimpicciolita, fissandomi con gli occhi che non vedevano più. Ma mentre io stavo chinandomi per esaminare il tubo sfuggito dalle mani di Martin, altri quattro sbucarono oltre la svolta della caverna.
Vedendoli, il signor Dyson gridò e fece un balzo indietro, il che mi procurò quei pochi secondi che mi erano necessari per riprendermi dalla sorpresa che avevo provato riconoscendoli e per distruggere anche loro.
Fred Halstrom, il meccanico del garage, fu il primo ad arretrare verso la parete della caverna. Samuel Thompson, il professore di ginnastica, era un uomo dalla costituzione atletica, nel fiore degli anni, ma questo non gli impedì di morire con la stessa rapidità del signor Martin. Clifford Andrews non si era occupato che di libri per tutta la vita, e la posizione rattrappita che assunse immediatamente sembrava naturale, in lui. Ma non c’era niente di naturale nel modo con cui si mise a barcollare ruotando su se stesso, con le mani strette al petto finché cadde, scosso da un tremito convulso. Theodore Murch, l’uomo in grigio di Lakeview, ci mise due minuti a cadere, arretrando verso la parete della caverna come aveva fatto Fred Halstrom, finché non cadde di schianto in ginocchio.
Mi sentii sopraffare da uno stordimento così forte che temetti per un momento di restar privo di conoscenza. Lo sforzo mi aveva consumato quasi tutte le energie fisiche, sebbene fossi rimasto sempre immobile, senza neppure alzare un braccio.
Il signor Dyson si accorse che barcollavo, perché non perse tempo a sorreggermi e mi lasciò andare solo quando incominciai a stare meglio.
Ansimava, e io sapevo che quel che io ero stato costretto a fare lo aveva colpito profondamente. Lui ignorava che i Martin non erano esseri umani. E se avessi cercato di dargli delle spiegazioni anche a proposito degli altri sarebbe rimasto così sbalordito e incredulo che non mi avrebbe certamente prestato fede.
Mi domandavo che cosa avrebbe pensato se gli avessi detto: “Questi quattro uomini che giacciono davanti a noi non sono realmente Thompson, Andrews, Murch e Halstrom. Sono stati creati in modo da somigliare, anzi da essere dei sosia perfetti, di quei quattro, perché la loro controparte umana rappresenta un tipo caratteristico di Lakeview. Tipi che spiccano senza essere eccentrici, tanto che nessuno si sarebbe stupito di avere uno di essi come vicino di casa.
“Una volta afferrata l’importanza di questo, la mossa successiva non è difficile da capire. In tutte le città e i paesi della Terra ci sono molti Andrews, Thompson, Halstrom e Murch, o i loro equivalenti. Quindi, una volta deciso di attuare l’esperimento, sarebbe meglio incominciare con dei tipi caratteristici, simpatici, semplici, accettabili e facilmente riconoscibili.
“Vede, signor Dyson, per quanto possa sembrare paradossale, sono i tipi qualunque, incolori, quelli che vengono sospettati più facilmente quando fanno o dicono qualcosa di appena un po’ insolito. Per evitare i sospetti è necessario tanto conformarsi quanto non conformarsi ai modi comunemente accettati della società, in maniera però individuale. Il signor Martin era individuabile nella sua conformità ed è per questo che loro pensavano che il tipo scelto per lui sarebbe stato probabilmente quello che avrebbe avuto successo. Era il primo: ma fra un mese o fra un anno un Andrews, un Thompson, un Halstrom o un Murch non umani avrebbero probabilmente sostituito il loro equivalente umano a Lakeview.
“Chi poteva sapere, chi poteva sospettare che il professore di ginnastica della scuola media di Lakeview, o l’equivalente dell’uomo in grigio di Lakeview, o il tranquillo, simpatico ometto appassionato di libri fossero meccanismi inumani dotati di cervello artificiale e corpi ingegnosamente fabbricati?”
D’un tratto mi resi conto di aver fatto un grosso sbaglio. Avrei dovuto dire tutto al signor Dyson. Aveva riportato uno shock così terribile che se io avessi tentato di evadere le domande che sicuramente m’avrebbe fatto, qualunque blocco avessi imposto alla sua mente sarebbe stato l’equivalente di una lobotomia prefrontale. L’avrei privato della sua personalità, cosa che non avevo il diritto di fare.
Dovevo parlargli, e avrebbe deciso lui se credermi o no.
Sapevo di dover essere conciso. Versavamo in pericolo mortale, e dovevamo affrettarci a raggiungere la grande caverna in cui confluivano tutte le altre, prima che fosse troppo tardi. Quella caverna era aperta, in alto, e ci sarebbe stata molta luce, ma non del tipo di cui il signor Dyson aveva così disperatamente bisogno.
Dover oltrepassare i corpi esanimi di cinque uomini e una donna che non erano stati umani, e procedere oltre come se niente fosse, sarebbe stata una cosa impossibile, per lui, se non mi fossi affrettato a spiegargli tutto.
Parlando, continuai a fissarlo. Avevo acceso la lampadina, dopo avergli fatto spegnere la sua, perché gli tremava forte la mano e io volevo che l’imbocco, oltre la svolta, fosse sempre ben illuminato. Ma la luce era sufficiente perché potessi seguire il gioco delle espressioni sulla sua faccia.
Dapprima era incredulo, poi, man mano che parlavo, mi accorsi che cominciava a credermi.