ALGIS BUDRYS
INCOGNITA UOMO
(Who?, 1965)
CAPITOLO I
Era notte fonda. Il vento soffiava dalla parte del fiume, sibilando tra le strutture d'acciaio dei ponti, e le banderuole che si trovavano sui tetti dei vecchi edifici oscuri indicavano il nord.
Il sergente della Polizia Militare che si trovava in servizio aveva schierato il suo plotone sui due lati della strada sassosa. La strada era bloccata da una muraglia dall'aria antica, nella quale si apriva un passaggio, chiuso in quel momento da sbarre di legno. I fari delle jeep della Polizia Militare e della guida interna del Governo Alleato illuminavano gli elmetti a prova di pallottola dei soldati in attesa. Sopra di loro si trovava un cartello:
All'interno dell'automobile Shawn Rogers era seduto, in attesa, in compagnia di un rappresentante del Ministero degli Esteri degli Alleati. Rogers era a capo della Sicurezza, in quel settore della Zona di Frontiera Centro-Europea amministrato dagli Alleati. Stava aspettando pazientemente, e i suoi occhi verdi erano fissi nelle tenebre.
Il rappresentante del Ministero degli Esteri diede una occhiata all'orologio d'oro che portava al polso.
«Saranno qui, con lui, entro un minuto.» Tamburellò con la punta delle dita sulla superficie levigata della valigetta diplomatica. «Se rispettano gli orari.»
«Lo faranno» disse Rogers «sono fatti così. Lo hanno trattenuto per quattro mesi, ma adesso arriveranno al momento giusto, per dimostrare la loro buona fede.» Guardò fuori dal finestrino, al di là delle spalle del silenzioso conducente, verso il muro. Le guardie di confine sovietiche, che si trovavano dall'altra parte… slavi e asiatici, che indossavano divise informi… stavano ignorando il plotone alleato. Erano tutti intorno a un falò, acceso vicino alla postazione principale, e tendevano le mani verso la fiamma per riscaldarsi. Le pesanti mitragliatrici, che pendevano dalle loro spalle, avevano un aspetto ingombrante e poco efficiente. Tutte le guardie di frontiera comuniste parlavano e scherzavano tra di loro, senza degnare di un'occhiata il confine.
«Guardateli» disse il rappresentante del Ministero degli Esteri, con aria pigra. «A loro non importa un accidente di quello che facciamo. Non si preoccupano neppure di vederci arrivare con dei soldati armati.»
Il rappresentante del Ministero degli Esteri veniva da Ginevra, che si trovava a cinquecento chilometri di distanza. Rogers viveva là, in quel settore, da sette anni. Si strinse nelle spalle:
«Ormai siamo tutti vecchi amici. Il confine è qui da quarant'anni. Loro sanno benissimo che noi non cominceremo a sparare, e viceversa. Non è qui che si svolge la guerra.»
Osservò nuovamente i soldati sovietici raggruppati intorno al fuoco, e si ricordò di una vecchia canzone, che aveva imparato diversi anni prima: “Date al Compagno con la Mitragliatrice il Diritto di Parola”. Si chiese se, dall'altra parte del confine, quella canzone fosse conosciuta. C'erano molte cose che avrebbe voluto sapere, a proposito di coloro che si trovavano dall'altra parte. Ma ci sperava poco.
La guerra si svolgeva in tutti gli archivi segreti del mondo. Le armi erano le informazioni: cose che si sapevano, cose che si scoprivano sugli altri, cose che gli altri sapevano su di voi. E così si mandavano degli agenti al di là del confine, o si sfruttavano agenti locali, ed essi cominciavano la ricerca. Erano in pochi a tornare indietro. Alcuni ce la facevano. E così si mettevano assieme i frammenti da essi portati, sperando che non fossero troppo confusi, e, con una buona dose d'intelligenza, si arrivava a scoprire quello che avevano intenzione di fare i sovietici.
E i sovietici compivano ricerche, a loro volta. Non erano molti gli agenti che riuscivano a farcela… per lo meno, si aveva un ragionevole margine di sicurezza… ma, alla fine, loro scoprivano quello che avevano intenzione di fare gli altri. E così tutto restava immutato. Si compivano ricerche, dall'una e dall'altra parte, e più si osava, più le cose si facevano difficili. C'era un po' di luce, all'inizio. Ma poi, man mano che ci si addentrava nell'oceano di segreti delle grandi potenze, calavano le tenebre più fitte. E un giorno, si doveva sperare, l'equilibrio delle forze si sarebbe rotto… a vostro favore.
Il rappresentante del Ministero degli Esteri stava sfogando a parole la sua impazienza.
«Perché diavolo abbiamo dato un laboratorio, così vicino al confine, a Martino, tanto per cominciare?»
Rogers scosse il capo.
«Non lo so. Non mi occupo di problemi strategici.»
«Be', perché non abbiamo inviato una squadra di soccorso noi, subito dopo l'esplosione?»
«L'abbiamo fatto. Ma loro sono arrivati per primi, ecco tutto. Sono stati più veloci, e lo hanno portato via.» E nel dire questo si chiese se si fosse trattato semplicemente di un colpo di fortuna.
«Perché non abbiamo potuto farlo tornare indietro?»
«Non mi occupo di problemi tattici, per lo meno a questo livello. Immagino però che avremmo avuto dei fastidi, se avessimo rapito da un ospedale un individuo seriamente ferito.» E l'individuo in questione era un cittadino americano. Se fosse morto? La propaganda sovietica si sarebbe messa al lavoro sugli americani, e quando fosse arrivata al Congresso la nuova cartella annuale dei pagamenti, forse gli americani non avrebbero contribuito con sufficiente rapidità al saldo della loro parte di debito comune. Rogers si strinse nelle spalle. La guerra era fatta così, a quei tempi.
«Penso che sia una situazione ridicola. Un uomo importante come Martino nelle loro mani, e noi non possiamo fare niente. È assurdo.»
«Sono queste faccende che vi forniscono il lavoro, no?»
Il rappresentante del Ministero degli Esteri mutò rapidamente tattica.
«Vorrei sapere comeiiha presa lui. Mi hanno detto che, dopo l'esplosione, era ferito piuttosto gravemente.»
«Be', adesso è in convalescenza.»
«Mi hanno detto che ha perduto un braccio. Ma immagino che loro se ne siano occupati. Sono abilissimi in questo campo. Dopotutto, già nell'immediato dopoguerra erano in grado di tenere in vita organismi animali servendosi di un cuore artificiale.»
«Uhm.» Un uomo scompare sul confine, stava pensando Rogers, e tu spedisci degli agenti alla sua ricerca. Pian piano, i rapporti cominciano a raggiungerti. Sono contrastanti. È morto, si dice. Ha perduto un braccio, ma è vivo. Sta morendo. Non sappiamo dove si trova. È stato inviato a Novoya Moskva. Si trova proprio là, in quella città, chiuso in un ospedale. Per lo meno, laggiù c'è qualcuno in un ospedale. Di quale ospedale si tratta?
Non si sa. E tu non scoprirai nient'altro. Consegni il tuo rapporto al Ministero degli Esteri, e iniziano i negoziati. Quelli della tua parte bloccano un'autostrada che attraversa il confine. Quelli dell'altra parte per poco non abbattono un aereo. Quelli della tua parte sequestrano alcuni pescherecci. E finalmente, non per qualcosa fatto da quelli della tua parte, ma per qualche loro recondita ragione, decidono di arrendersi.
E per tutto questo tempo, un uomo della tua parte è rimasto in uno dei loro ospedali, ferito e sconvolto, in attesa che tu e i tuoi faceste qualcosa.
«Si dice che fosse sul punto di realizzare qualcosa, che si chiama K-88» continuò il rappresentante del Ministero degli Esteri. «Abbiamo ricevuto l'ordine di non fare pressioni troppo forti, nel timore che capissero l'importanza della cosa. Cioè, nel caso che non ne fossero già al corrente. Ma, naturalmente, dovevamo farlo tornare indietro, e così non potevamo dimostrarci troppo accomodanti. Un affare molto delicato.»
«Lo immagino.»
«Pensate che siano riusciti a strappargli il segreto del K-88?»