«Penso che sia la cosa più importante del mondo, signore» disse, e sentì di aver compiuto un grande passo.
«Davvero?» Starke si chiuse la porta alle spalle, e fissò nuovamente il ragazzo. «Perché?»
Lucas cercò le parole:
«L'universo è una struttura perfetta. Tutto è in equilibrio, un equilibrio perfetto. L'universo è completo. Non si può aggiungere né sottrarre nulla.»
«E questo, cosa significa?»
Uno a uno, i fatti assumevano il loro posto, nella mente di Lucas Martino. Idee, pensieri appena abbozzati, vaghe nozioni che non aveva compreso e che ora riconosceva come frammenti di una filosofia… tutte queste cose si sistemarono improvvisamente in un ordine sistematico e naturale, mentre lui ascoltava le parole che aveva pronunciato impulsivamente. Per la prima volta, dal giorno in cui era entrato in quell'aula con un blocco d'appunti nuovo, all'inizio dell'anno scolastico, finalmente comprese cosa stava facendo là dentro, per quale motivo vi era giunto. E comprese molto di più: comprese se stesso. L'immagine di se stesso era finalmente completa, definitiva.
Questo lo lasciò libero di dedicarsi ad altri problemi.
«Ebbene, Martino?»
Lucas sospirò profondamente, e continuò:
«L'universo è fatto di parti unite tra loro in perfetto equilibrio. Ogni volta che si cambia la sistemazione di una, tutte le altre ne risentono. Se da qualche parte si aggiunge qualcosa, bisogna togliere qualcosa da un'altra parte. Tutto ciò che noi facciamo… tutto ciò che è stato fatto dall'inizio del tempo… è avvenuto tramite una nuova sistemazione di parti dell'universo. Se sapessimo esattamente quale era la posizione originaria dei vari pezzi, e conoscessimo le reazioni del resto dell'universo a ogni cambiamento, potremmo lavorare con maggiore sicurezza. È per questo che esiste la fisica… per studiare la struttura dell'universo e insegnarci a manipolarlo per i nostri scopi. È la cosa più basilare che esista. Tutto il resto dipende da essa.»
«Per te è una fede, vero?»
«È così. La fede non c'entra affatto.» La risposta giunse immediatamente. Non pensò neppure al significato della domanda di Starke. Era troppo preso dalla scoperta che aveva fatto. Finalmente sapeva per quale motivo si trovava al mondo.
Starke aveva fatto dei discorsi molto simili altre volte. In media, uno all'anno, con qualche ragazzo sveglio e promettente, che in ultima analisi si era rivelato così entusiasta perché aveva visto un film sull'infanzia e la vita di Thomas Edison. Starke sapeva che Martino non era un ragazzo del genere, ma aveva già incontrato diverse delusioni, e perciò rimaneva diffidente. Così, prima di parlare, osservò a lungo il ragazzo.
Vide lo sguardo che Martino gli restituiva, lo sguardo di tutti i sedicenni che prendono le loro “irrevocabili decisioni”.
Fu un'esperienza sconcertante. Mise a disagio Starke, e gli fece desiderare di tornare indietro, per la prima volta in vita sua.
«Bene. Così, tu consideri la fisica in questo modo. Naturalmente, hai intenzione di frequentare l'università del Massachusetts.»
«Se riesco a mettere insieme il danaro. E poi, i miei voti non sono molto alti, vero?»
«Ai voti ci si può sempre pensare; con un po' di studio, si rimedia a tutto. Non siamo alla fine dell'anno scolastico. E il danaro non costituisce un problema grave. C'è un'infinità di borse di studio, per le materie scientifiche. E, se non riuscissi a ottenere questo, senza dubbio una delle grandi compagnie, come la General Electrics, ti farebbe sottoscrivere un contratto, pagandoti le spese universitarie.»
Martino scosse il capo.
«Ci sono tre fattori, in questo problema. Qualsiasi cosa faccia nei prossimi due anni, la media del mio diploma non sarà altissima. E io non voglio legarmi a nessuna compagnia. Infine, le borse di studio non coprono tutte le spese. Bisogna avere dei vestiti decenti, per non fare brutta figura, e qualche soldo in tasca, perché ogni tanto si ha il diritto di divertirsi. Ho sentito parlare dell'università del Massachusetts: è la più difficile che esista al mondo. Non si può studiare e lavorare, bisogna soltanto studiare. E io voglio laurearmi. Questo richiede, come minimo, sette anni. No, quando avrò il diploma andrò a New York e lavorerò da mio zio Luke, fino a quando non avrò messo da parte del danaro. Starò a New York, economizzerò, e cercherò di ottenere in seguito una borsa di studio. Allora potrò raggiungere l'università del Massachusetts.»
Il piano si sviluppava rapidamente e chiaramente. Starke non avrebbe potuto immaginare che il ragazzo lo aveva inventato in quel momento. Martino aveva riunito i fatti di cui era in possesso, aveva osservato la struttura da essi creata, e l'azione che gli indicavano.
«Ne hai già parlato con i tuoi genitori, vero?»
«Non ancora.» Per la prima volta, mostrò qualche segno di esitazione. «Sarà difficile. Prima che possa mandare del danaro, ci vorrà del tempo.»
Inoltre, ma questo non avrebbe mai potuto farlo capire a un estraneo, la vita della famiglia sarebbe stata sconvolta, e non avrebbe mai più potuto tornare come prima.
«Non capisco» disse sua madre, «perché, all'improvviso, vuoi andare in quella scuola di Boston? Boston è molto lontana da qui. Anche più di New York.»
Non era facile rispondere. Rimase seduto al suo posto, con gli occhi fissi sul piatto ancora pieno.
«Neanch'io capisco» disse suo padre. «Ma se vuole andare, significa che ha scelto così. D'altronde, non potrà andarsene subito. Quando lo farà, sarà già diventato un uomo. E un uomo ha il diritto di decidere il suo avvenire.»
Guardò prima sua madre e poi suo padre, e sui loro volti lesse qualcosa che non avrebbe mai saputo spiegare a parole. Per un istante, fu sul punto di dire che aveva cambiato idea.
Invece, disse:
«Grazie per avermi dato il permesso.» Cambia posto a una parte dell'universo, e tutte le altre ne risentiranno. Aggiungi qualcosa a una parte, e dovrai togliere qualcos'altro, altrove. Poteva veramente scegliere? No, se tutto era così strettamente unito, un gruppo di fatti contro un altro, e se c'era un solo sistema giusto di agire!
CAPITOLO V
L'ottavo giorno, dopo l'arrivo dell'uomo rilasciato dai sovietici, il citofono ronzò forte sulla scrivania di Rogers.
«Sì?»
«C'è il signor Deptford, signore. Vuole parlarvi.»
Rogers grugnì. Disse:
«Fatelo entrare, grazie.»
Rimase seduto, in attesa.
Deptford entrò nell'ufficio. Era magro, vestiva di scuro, aveva il viso piuttosto serio, e portava una valigetta.
«Come va, Shawn?» domandò, piano.
Rogers si alzò.
«Bene, grazie» rispose lentamente. «E voi?»
Deptford si strinse nelle spalle. Sedette sulla sedia vicina alla scrivania di Rogers, e sistemò la valigetta sulle gambe. «Ho pensato di portare con me le decisioni ufficiali sul caso Martino.» Aprì la valigetta, e porse a Rogers una busta voluminosa. «Qui c'è la solita copia degli ordini ufficiali e una lettera di Karl Schwenn per voi.»
Rogers prese la busta.
«Schwenn vi ha dato molti fastidi, signore?»
Deptford sorrise debolmente.
«Non sapevano cosa fare, quei ragazzi. Sembra che non sia stata colpa di nessuno. Ma avevano bisogno di una risposta, ne avevano terribilmente bisogno. Adesso che il progetto K-88 è stato sacrificato, il bisogno non è più così urgente, ma esiste, è naturale.»
Rogers annuì, lentamente. «Vi sostituirò nel vostro lavoro di capo settore. Hanno messo al mio posto uno dei nuovi. E la lettera di Schwenn vi destina a seguire Martino. Penso che Schwenn abbia trovato la soluzione migliore a questa situazione intricata.»
Rogers cercò di sorridere, ma ne risultò soltanto una smorfia di sorpresa e d'imbarazzo.
«Bene.»