«Sì, signore. Quanto tempo credete che ci occorrerà per scoprire la verità su quest'uomo?»
Rogers si limitò a fissarlo, senza rispondere.
Rogers sedeva solo nel suo ufficio, quando entrò Finchley. Fuori stava calando la notte, e malgrado la lampadina accesa sulla scrivania di Rogers, la stanza aveva un aspetto cupo. Finchley sedette, e aspettò fino a quando Rogers non ebbe riposto gli occhiali, che usava soltanto per leggere, nella tasca interna della giacca.
«Come è andata?» domandò Rogers.
«Credo di essermi occupato di tutto. Stampa, agenzia, radio e televisione. Non ci sarà pubblicità sul suo nome.»
Rogers annuì.
«Bene. Se gli avessimo permesso di diventare il re delle prime pagine, avremmo perduto la nostra ultima possibilità. Sarà già abbastanza dura così. Grazie per avere svolto tutto il lavoro, Finchley. Noi non lo abbiamo mai esaminato accuratamente, di persona.»
«Penso che lui non avrebbe gradito molto il pensiero» disse Finchley.
Rogers lasciò perdere.
«Allora, per quanto riguarda le fonti d'informazione, solo il Bureau si è occupato della cosa?»
«Esatto. Ho tenuto fuori del tutto il governo Alleato.»
«Bene. Grazie.»
«Questa è una delle cose per cui sono venuto. Cosa ha fatto Martino, dopo quanto è accaduto all'aeroporto?»
«Ha preso un tassì ed è sceso all'angolo della Dodicesima strada con la Settima Avenue. C'è una tavola calda. Ha preso un hamburger e un bicchiere di latte. Poi è andato a piedi fino a Greenwich Avenue, ed è arrivato alla Sesta Avenue. Ha percorso la Sesta Avenue fino all'incrocio con la Quarta Strada. In sostanza, ha continuato a percorrere, avanti e indietro, quella parte della città.»
«Allora ha affrontato la gente, subito. Solo per dimostrare di non avere perso il controllo dei propri nervi.»
«Sembra di sì. Ha provocato una certa eccitazione… gente che si è voltata a guardarlo, e qualcuno che lo ha segnato a dito. Ed ecco tutto. Niente che lui non potesse ignorare. Naturalmente, non ha ancora cercato un posto in cui fermarsi. Direi che, per il momento, si sente un po' perduto. Entro mezz'ora dovrà arrivare un nuovo rapporto… e se accade qualcosa d'importante, anche prima. Vedremo. Stiamo occupandoci di quella tavola calda.»
Finchley sollevò lo sguardo.
«Vi rendete conto che questa faccenda puzza, vero?»
«Sì.» Rogers aggrottò le sopracciglia. «E che c'entra?»
«Lo avete visto sull'aereo, no? Soffriva le pene dell'inferno, e non lo ha dimostrato neppure per un attimo. Si è messo davanti a più di sessanta persone, ha mostrato loro il suo aspetto, solo per dimostrare, a noi e a se stesso, che non si era infilato in un vicolo cieco. Ha ingannato loro e noi. Ha l'aspetto di un mostro, una cosa che non si è mai vista sulla Terra, e ha dimostrato di essere un uomo, come noi.»
«Lo sapevamo.»
«E poi, proprio quando ce l'aveva fatta, il mondo è scattato e ha colpito duramente, troppo duramente per lui. Ha immaginato il suo volto diffuso sulle copertine di tutti i giornali del mondo Alleato, a colori, su tutti gli schermi, durante i notiziari, ha immaginato di venire trasformato in una curiosità da baraccone. Be', chi altri avrebbe potuto sopportare questo colpo? Chi non ha incontrato, nel corso della sua vita, momenti troppo difficili, impossibili da superare? A me è capitato, e immagino sia capitato lo stesso anche a voi.»
«Sì, credo.»
«Ma lui è riuscito a risollevarsi. Si è esposto sui marciapiedi, perché tutti i newyorkesi avessero modo di guardarlo, e ha continuato. Ha conosciuto la durezza del colpo, ed è andato a cercarne altri. Quello è un uomo, Rogers… perdio, quello è un uomo!»
«Quale?»
«Accidenti, Rogers, date ai sovietici un po' di tempo e l'occasione, e loro vi falsificheranno qualsiasi documento d'identità! Se vogliono, possono sostituire qualsiasi nostro agente con un impostore. Se lo vogliono davvero, sono capaci d'ingannare chiunque. Nessuno… nessuno al mondo può dimostrare la sua identità, ma noi ci aspettiamo che lui, da solo, riesca a farlo!»
«Dobbiamo fare così. Non possiamo farci nulla. Questo uomo deve dimostrare la sua identità, proprio lui.»
«Avrebbe potuto essere isolato, magari, in un posto nel quale fosse stato innocuo.»
«Nessuno è innocuo, in qualsiasi parte del mondo. Può stare seduto senza far niente, e tutti gli altri si chiederanno chi lui sia e che cosa voglia e a che cosa stia pensando, perché fino a quando il problema non sarà stato risolto, l'uomo potrà costituire un pericolo.
«Il governo Alleato avrebbe potuto decidere di abbandonare quest'uomo in un'isola deserta, certo. E lui non avrebbe potuto fare nulla. Ma i sovietici possono essere in possesso del K-88. E il vero Martino potrebbe ancora essere dall'altra parte del confine. In questo caso, quell'uomo su un'isola deserta sarebbe l'uomo più pericoloso del mondo. E finché non abbiamo una prova, è proprio così, lui è l'uomo più pericoloso del mondo, ovunque si trovi. E se mai potremo scoprire la prova, la scopriremo qui. In caso contrario, gli saremo abbastanza vicini, e potremo fermarlo se scopriremo che non si tratta di Martino. È il nostro lavoro, Finchley, e né io né voi possiamo cambiarlo. Né possiamo abbandonarlo. E né io né voi diventeremo abbastanza vecchi da poterci ritirare, prima di morire.»
«Sentite, maledizione, Rogers, io so tutto questo! Non sto cercando di abbandonare il lavoro. Ma abbiamo sorvegliato quest'uomo da quando ha attraversato il confine. Lo abbiamo osservato, abbiamo visto le prove che lui ha dovuto sopportare… accidenti, questo non cambia nulla, nel mio lavoro, ma per quanto mi riguarda personalmente…»
«Credete che si tratti di Martino?»
Finchley interruppe il suo sfogo.
«Non ho nessuna prova.»
«Ma non potete fare a meno di pensare che si tratti di Martino. Perché soffre? Perché piangerebbe, se avesse delle lacrime? Perché ha paura, è disperato, e sa di non potere andare da nessuna parte?» Rogers strinse la mano, violentemente. «Non è così per tutti? Non siamo tutti esseri umani?»
CAPITOLO VIII
Il giovane Lucas Martino si allontanò dal tavolo che aveva appena ripulito, tenendo nella mano sinistra quattro tazzine con i relativi piattini, in equilibrio quasi miracoloso, come gli aveva insegnato Barbara. Nella mano destra stringeva lo straccio umido, pronto a pulire qualsiasi macchia avesse visto sui tavolini, prima di arrivare al bancone. Gli piaceva di lavorare a quel modo… era efficiente, non sprecava tempo, e il fatto che di tempo ce ne fosse a sufficienza, ora che l'ondata di clienti del tardo pomeriggio era passata, non aveva alcuna importanza per lui.
Mentre svolgeva il suo lavoro, si domandava quale fosse il motivo di quelle ondate irregolari di clienti. Non c'era alcuna ragione evidente per cui, certi giorni, l'Espresso di Lucas sr. dovesse improvvisamente riempirsi di avventori alle quattro del pomeriggio. Logicamente, a quell'ora, la gente avrebbe dovuto essere al lavoro, o a preparare la cena, o a passeggiare nel parco, in una giornata così bella. Ma no, erano venuti tutti là dentro… tutti, più o meno, alla stessa ora… e per mezz'ora, il locale era stato affollatissimo. E ora (mancava un quarto alle cinque) era di nuovo deserto, e le sedie erano di nuovo disposte in bell'ordine intorno ai tavolini puliti. Ma avevano passato un momento di punta notevole… troppo, con lui e Barbara in servizio, da soli, tanto che Carlo si era occupato personalmente del servizio, a sua volta.
Osservò le tazzine sporche che stava ammucchiando. Era molto probabile, pensò, che quasi tutti i clienti avessero ordinato la stessa cosa. Niente cappuccino, tanto per cambiare, ma espresso autentico, e anche questo era curioso, perché sembrava che, nello stesso istante, più o meno, tutti coloro che si erano trovati nelle vicinanze avessero avvertito il desiderio di uno stimolante, piuttosto che di qualcosa di dolce da bere.