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«D'accordo» rispose lei, e Lucas si sentì più in trappola che mai.

«Volevo andare a vedere La Regina d'Egitto» dichiarò lui, scegliendo il film che più si allontanava dai gusti di qualsiasi persona intelligente.

«Non l'ho visto» rispose lei. «Va bene. E poi, possiamo darci del tu.» Ripose colori e pennelli, mise la tela nella custodia, e piegò lo sgabello portatile. «Questa roba possiamo lasciarla al Circolo» disse. «Ti dispiace portare lo sgabello? Dobbiamo percorrere solo un paio d'isolati.»

Lui prese l'oggetto senza dire una parola, e i due ragazzi uscirono dai giardini pubblici insieme. Nell'attraversare lo spazio che conduceva all'uscita sulla Quinta Avenue, Lucas si voltò indietro, per guardare i tavolini del bar, in alto; ma la donna elegantemente vestita, che si era seduta al tavolino accanto al suo, era scomparsa.

Rimase di fronte al grande edificio del Circolo, fumando una sigaretta, in attesa del ritorno della ragazza. E ancora non sapeva cosa fare.

Gli era venuta l'idea di voltare l'angolo e prendere un autobus. Aveva perfino trovato la moneta per il biglietto, frugando nella tasca. Ma ormai aveva capito di avere scelto una ragazza alla quale, verosimilmente, ben pochi ragazzi avrebbero fatto la corte, e che se avesse deciso di andarsene, a questo punto, le avrebbe provocato un immenso dolore. Tutto quel che era accaduto non era colpa di lei… e Lucas avrebbe desiderato il contrario… e lui doveva assolutamente continuare. E così rimase ad attenderla, giocherellando nervosamente con il nichelino, e ben presto la ragazza uscì.

Lucas provò vergogna di se stesso. La ragazza uscì dall'edificio frettolosamente, e appena vide Lucas, sorrise per la prima volta da quando lui l'aveva conosciuta… un sorriso che per un istante trasformò il suo volto, prima che lei ricordasse che era poco opportuno dimostrare apertamente il sollievo che provava nell'avere visto che il ragazzo la stava ancora aspettando. Allora Edith abbassò lo sguardo.

«Sono pronta.»

«Benissimo.» Fu travolto nuovamente dalla noia. Quella ragazza era troppo facile da capire. Poteva leggere sul suo volto come in un libro aperto. E lui voleva una ragazza profonda… da scoprire a poco a poco, sempre interessante, mai del tutto prevedibile. E invece, ecco Edith Chester.

Eppure, non era colpa di lei. Era colpa sua, e doveva sopportare le conseguenze.

«Senti…» disse «non vorrai vedere quell'accozzaglia di colori e di cattivo gusto.» Fece cenno in direzione di un cinema che si trovava dall'altra parte della strada, un locale elegante e costoso, in cui si proiettava un film europeo. «Che ne diresti di andare a vedere quello?»

«Se vuoi, sono d'accordo.»

Ed era così dannatamente facile comandarla a bacchetta! Fu sul punto di provare a vedere le sue reazioni, cambiando per la terza volta idea, ma si trattenne, e disse: «Andiamo, allora» e fece per attraversare la strada. La ragazza lo seguì immediatamente, come se fosse stata sicura che lui non si sarebbe fermato ad aspettarla.

Davanti alla cassa, la ragazza si fermò, aspettando che lui avesse acquistato i biglietti, e poi rimase seduta in silenzio accanto a Lucas durante la proiezione del film. Lui non si mosse, non cercò di prenderle la mano né di posare il braccio sullo schienale della poltrona, e a metà del film Lucas si rese conto improvvisamente che non avrebbe saputo cosa fare, una volta uscito dal cinema. Sarebbe stato troppo presto per accompagnarla a casa e ringraziarla del “magnifico pomeriggio”, e troppo tardi per riuscire a piantarla in asso, anche se fosse riuscito a trovare una scusa valida. Ebbe la tentazione di agire in maniera molto semplice, alzandosi e scusandosi uscendo dal locale. Forse, per la sua rapidità e anche per la sua crudeltà, quella sarebbe stata la sola cosa da fare. Ma dopo qualche istante, comprese che non avrebbe mai potuto agire così.

Perché no? Si chiese. Sono un individuo tanto meraviglioso da sconvolgere per sempre la sua vita?

Ma non era questo. Non si trattava di lui, ma di lei. Avrebbe potuto essere il gobbo di Notre Dame, e la situazione sarebbe sempre stata la stessa. Lui aveva trascinato la ragazza in quella situazione, e lui doveva fare in modo che ne uscisse senza soffrire per colpa sua.

Ma che cosa doveva fare con lei? Fumò ininterrottamente, per il resto del film, muovendosi nervosamente.

Sullo schermo apparvero le immagini della scena durante la quale erano arrivati, e la ragazza si voltò dalla sua parte:

«Vuoi andare, adesso?»

La voce di Edith, dopo novanta minuti di silenzio, lo stupì. Era gentile, come lo era stata la prima volta, prima che la comprensione di quanto stava accadendo avesse fatto perdere il controllo di se stessa alla ragazza. Ora, con novanta minuti a disposizione, aveva avuto modo di calmarsi nuovamente.

«Benissimo.» Provò una certa riluttanza di fronte all'idea di andarsene. Una volta in istrada, sarebbe giunta l'inevitabile domanda, “Che facciamo, adesso?”, e lui non avrebbe saputo cosa rispondere. Ma Lucas si alzò egualmente, e uscì dal cinema.

Quando furono sul marciapiedi, la ragazza disse:

«È stato bello, vero?»

Lui si infilò una sigaretta tra le labbra, preoccupato.

«Devi andare a casa… o hai qualche impegno?» riuscì a borbottare.

Lei scosse il capo.

«No, vivo da sola. Ma probabilmente, tu hai già degli impegni per la serata. Prenderò l'autobus, qui all'angolo. Grazie per avermi portata al cinema.»

«No… no, è tutto a posto» disse in fretta. Accidenti, lei si era aspettata che lui tentasse di liberarsene. «Non fare niente del genere.» E adesso aveva qualcosa da proporre. «Hai fame?»

«Un po'.»

«Benissimo, allora, cerchiamo un posto in cui mangiare qualcosa.»

«C'è un localino bellissimo, subito dopo l'angolo.»

«Bene, allora.» Chissà per quale motivo le prese la mano. Era piccola, ma non fragile. Lei non sembrò né sorpresa né colpita. Chiedendosi perché diavolo lo aveva fatto, egli si lasciò guidare fino alla tavola calda.

Il locale era ancora quasi deserto; Lucas condusse Edith verso il fondo del locale, e si accomodò a sedere. La ragazza sedette davanti a lui. Arrivò un cameriere a prendere le loro ordinazioni. Quando se ne fu andato, Lucas comprese che avrebbe dovuto rendersi conto di quanto sarebbe accaduto in un posto del genere.

Erano isolati dagli altri. L'alto schienale dietro di lui lo separava dal resto del locale. Da una parte c'era una parete, e dall'altra il condizionatore d'aria lasciava appena lo spazio per entrare e uscire. Si erano infilati in un buco nel quale avrebbero potuto soltanto sedere e guardarsi negli occhi, in attesa di essere serviti.

Cosa c'era da dire, o da fare? Guardando l'acconciatura della ragazza e lo smalto rosato delle unghie, Lucas capì che Edith non avrebbe potuto parlare di cose per lui interessanti. Ne fu sicuro, per lo meno.

«Sei in città da molto?» domandò Lucas.

Lei scosse il capo.

«No.» E fu tutto.

Aveva gettato via la sigaretta, lungo la strada. Si frugò in tasca, alla ricerca del pacchetto, ne estrasse una e l'accese, desiderando che il cameriere si affrettasse, in modo che, almeno, avessero potuto mangiare qualcosa. Lanciò uno sguardo all'orologio. Erano soltanto le sei.

«Senti… potresti… potresti darmi una sigaretta, per piacere?» domandò la ragazza, con voce ed espressione incerte. Lucas sobbalzò.

«Che cosa?» Estrasse il pacchetto di tasca, con un gesto maldestro e frettoloso. «Oh… senti, Edith, mi dispiace! Certo… ecco. Io non…» Non… che cosa? Non le aveva neppure offerto una sigaretta. Non si era neppure preocupato di chiedere se fumava o no. L'aveva trattata come fosse stata un cagnolino.

Si sentì terribilmente imbarazzato, e colpevole. E adesso era peggio di prima.

Edith si infilò la sigaretta tra le labbra, e lui gliel'accese subito.