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Lei sorrise, un po' nervosamente.

«Grazie. Io vengo dal Connecticut. E tu, Luke?»

Deve averlo sempre saputo, come la consideravo, pensò Lucas. Deve essere stato una specie di alone che si irradiava dalla mia persona. Ma mi ha permesso di andare avanti, perché… perché, poi? Perché io sono l'uomo dei suoi sogni?

«Dal New Jersey» disse. «Da una fattoria.»

«Il mio desiderio è sempre stato di vivere in una fattoria. Lavori qui in città?»

Perché, probabilmente, io sono il primo che le ha parlato, da quando si trova qui. Ecco il perché. Posso rappresentare poco, ma poco è meglio di niente.

«Per ora. Lavoro in un caffè, nel Village.»

Capì di cominciare a dirle delle cose che non aveva avuto la minima intenzione di dire. Ma ormai doveva parlare, e lui non aveva pensato di agire così… al contrario.

«Sono stata nel Village un paio di volte soltanto» stava dicendo la ragazza. «Un posto affascinante.»

«Penso che, in un certo senso, tu abbia ragione. Ma l'anno prossimo inizierò a studiare, e non potrò godermi molto il posto.»

«Oh… che studi hai intenzione di intraprendere, Luke?»

E così, pezzo dopo pezzo, sempre più rapidamente, il ragazzo parlò. Continuarono a parlare mangiando, e le parole sembravano insetti impazziti che uscivano dalle labbra di Lucas senza che lui potesse far niente per fermarle. Le parlò della fattoria, e della scuola superiore che aveva frequentato, e del caffè nel quale lavorava.

Finirono di mangiare e uscirono. Decisero di fare una passeggiata fino a Central Park, lo percorsero e continuarono, e lui parlava e parlava senza stancarsi. Lei camminava accanto a lui, silenziosamente.

Dopo qualche tempo, giunse il momento di riaccompagnarla a casa. Viveva al terzo piano di un grande casamento, vicino alla centrale del gas della zona. Lui la accompagnò su per le scale, fino alla porta dell'appartamento, continuando a parlare. Una volta arrivato, smise improvvisamente di parlare.

Si interruppe, bruscamente come aveva iniziato, e rimase a guardarla, chiedendosi che diavolo gli fosse successo. Vide che i capelli della ragazza erano molto scuri, alla radice.

«Io ti ho annoiata» disse, a disagio.

Lei scosse il capo.

«No. No, sei molto interessante, invece. Ne sono stata felice. È…» Sollevò lo sguardo, e lasciò cadere ogni parvenza di difesa. «È bello che qualcuno mi parli.»

E lui non aveva niente da rispondere. Rimasero fermi, davanti alla porta, e tacquero.

«È stato un pomeriggio bellissimo» disse lei, finalmente.

No, non è vero, pensò lui. È stato un pomeriggio orribile, per te. La cosa peggiore che ti sia mai capitata è stata la mia decisione di parlarti, davanti alla gabbia dei leoni. E ora io sto per scendere queste scale e non ti verrò mai più a trovare e non ti vedrò mai più, e questo sarà anche peggio, temo. Ho rovinato tutto, veramente.

«Senti… hai il telefono?» Si accorse di avere pronunciato queste parole con un sussulto.

Annuì subito.

«Sì, ce l'ho. Vuoi il numero?»

«Lo scrivo subito.» Trovò un pezzo di carta nel portafogli, e una matita nella tasca interna della giacca. Scrisse il numero, rimise al loro posto portafogli e matita, e il silenzio cadde nuovamente tra loro.

«Lunedì è il mio giorno di libertà» disse dopo un po'. «Ti telefonerò.»

«D'accordo, Luke.»

La fissò, pensando: No, no, perdio, non ho intenzione di darle la buonanotte con un bacio, non voglio provare. Non è così. È un affare pazzesco. Lei non è così.

«Buonanotte, Edith.»

Allungò la mano e le toccò la spalla, e sentì di essere ridicolo. Lei alzò la mano e carezzò quella di Lucas. Poi il ragazzo si voltò e discese in fretta le scale, sentendosi un idiota e un selvaggio, e uno stupido, e quasi ogni cosa, all'infuori di un ragazzo di diciott'anni.

Quando il giorno dopo andò al lavoro, era ancora sconvolto. Anche se ci pensava continuamente, non riusciva a dare un senso a quanto gli era accaduto il giorno prima. Lavorò con aria assente, con la mente talmente occupata, che il volto sembrava quello di un sonnambulo. Evitò di guardare Barbara, e cercò di non parlarle.

Finalmente, a metà del pomeriggio, lei lo bloccò dietro al bancone. Lui rimase immobile, senza speranza incastrato tra la macchina del caffè espresso e il registratore di cassa, con una tazzina vuota in mano.

Barbara gli sorrise:

«Ehi, senti, Tedeschino, stai pensando ai tuoi affari?» La sua espressione era però ansiosa.

«Affari?»

«Be'… lo sai. Quando si vede qualcuno con la testa perduta tra le nuvole, gli si chiede sempre se gli affari lo preoccupano.»

«Oh! No… no, niente del genere.»

«Che hai fatto ieri? Ti sei innamorato?»

Il suo volto avvampò. La tazzina gli cadde quasi di mano, come se lui fosse stato una macchina automatica, e Barbara avesse schiacciato un bottone. E lui stesso si stupì della reazione che aveva avuto nell'udire quella parola. Rimase a bocca aperta, completamente sbalordito.

«Che io sia dannata» disse Barbara. «Ci ho preso.»

Lucas non ebbe un'idea chiara sulla risposta da dare. Innamorato? No!

«Senti… Barbara… non è… come pensi…»

«E come, allora?» Era arrossita anche lei.

«Non so. Stavo solo cercando di spiegare…»

«Senti, a me non importa di come sia. Se la cosa ti sta dando dei fastidi, spero che tu riesca a uscirne. Ma io devo badare a una persona, e mi basta.»

Ripensandoci, Barbara comprese di avere detto la verità; Tommy, certo, era un ragazzo interessante e simpatico. Era un peccato, per Lucas, perché lei aveva sempre pensato che sarebbe stato bello uscire con lui, ma il mondo andava a quel modo, ed era impossibile cambiarlo: la vita offriva delle ottime possibilità, ed era illogico sperare che tutto andasse sempre a meraviglia, secondo i propri desideri.

Ormai aveva capito, e decise di non pensare mai più a rapporti con Lucas che fossero diversi da qualche amichevole appuntamento. Era una ragazza con una buona dose di raziocinio, e aveva appreso per diretta esperienza che gli scopi reconditi non portavano nulla di buono.

«Be', l'ora di punta si sta avvicinando» disse a voce alta, e andò a riempire le zuccheriere che si trovavano sui tavolini. I tacchi alti ticchettarono sul pavimento lucido.

Per un lungo istante, Lucas cercò di rimettere ordine nei suoi pensieri. Era accaduto tutto troppo in fretta.

Guardò Barbara, che si affacendava intorno ai tavolini, e capì che, per quanto riguardava la ragazza, l'intera faccenda era ormai chiusa.

Ma non per lui. Era appena l'inizio. Adesso iniziava l'analisi di se stesso e di quanto era accaduto… un'analisi accurata, paziente, minuziosa, che avrebbe riguardato il modo, il perché, le possibilità passate e future, insomma, un esame scientifico e spassionato della situazione e delle sue reazioni e delle sue implicazioni. Il giorno prima, al mattino, Lucas era stato un uomo che aveva deciso di seguire una particolare linea di comportamento, basata su una situazione concreta e ovvia.

Adesso tutto era cambiato, in un periodo così breve, ed era inconcepibile una soluzione casuale.

Doveva sapere il perché e il come.

Doveva analizzare se stesso.

Eppure Barbara aveva accettato la situazione immediatamente… senza domande né ricerche.

Lucas aggrottò le sopracciglia, considerando il problema. Era interessante.

Era qualcosa di più, sebbene lui non se ne rendesse conto che parzialmente. Era il sistema migliore per non affrontare la parte più importante… i suoi veri sentimenti nei riguardi di Edith.

Rimase immobile, dietro al bancone, pensando che tutte le persone che lui aveva conosciuto… anche quelle più intelligenti, come Barbara… si limitavano ad accettare le cose come venivano. E si disse che, se tante persone agivano così, doveva esserci un motivo serio, doveva esserci un certo valore, in quel comportamento. In effetti, era un sistema di vita semplicissimo… si perdeva meno tempo, si impiegava con maggiore efficienza l'emotività personale, si agiva in maniera più diretta.