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«Suo zio? Martino lavorava nel suo caffè, proprio da quelle parti. Adesso il caffè non c'è più; al suo posto si trova un negozio di barbiere. Lo zio ha sposato una vedova, a sessantatré anni, si è trasferito con lei in California, ed è morto dieci anni or sono. E così, tutto è sistemato. Martino non aveva amici, e non ha più parenti. Niente relazioni, e lui non teneva un diario. Se doveva esistere un individuo ideale, per una faccenda del genere, be', Martino non teme concorrenti.» Rogers sì grattò il capo.

«Eppure» disse Finchley «è venuto subito a New York, e si è tuffato immediatamente nel Village. Il motivo deve esistere. Ma, qualunque fosse, adesso lui si limita a camminare. Sempre nella stessa zona, in circoli. Non capisco. Non ha senso. Non per un uomo del suo valore.» La voce di Finchley era angustiata, e Rogers, ricordando l'episodio che era avvenuto prima, in quello stesso ufficio, e vergognandosi profondamente del suo comportamento, preferì lasciar perdere.

Sollevò il ricevitore.

«Ordiniamo la cena.»

La drogheria che si trovava all'angolo della Sesta Avenue con la Settima Strada Ovest era piccola, e c'era uno spazio minimo tra gli scaffali carichi fino all'inverosimile. Il proprietario era stato costretto a stipare così i suoi prodotti, come accadeva in tutti i negozietti del genere, ma anche in questo modo era impossibile sostenere la concorrenza dei grandi magazzini che sorgevano nelle vicinanze.

I commessi viaggiatori avevano ammucchiato i loro prodotti e le loro réclame in tutti gli angoli; l'illuminazione era difettosa, e lo spazio ristretto che si trovava dietro al banco di vendita era sempre immerso nell'oscurità. C'era una sola breccia nella trincea di scatole, scatolette e tubetti ammucchiati alla rinfusa: e attraverso a essa si poteva vedere il droghiere, seduto dietro al registratore di cassa, intento a leggere il giornale.

Sollevò lo sguardo, quando udì la porta aprirsi e richiudersi. I suoi occhi andarono automaticamente alla superficie metallica levigata del registratore di cassa, che usava come specchio. Il metallo era sporco e opaco, così il droghiere riuscì a distinguere soltanto una figura umana, piuttosto grossa e pesante. Ma lo scricchiolìo del pavimento avrebbe potuto dirgli la stessa cosa. Allora si voltò e osservò il nuovo venuto, e immediatamente sollevò la mano per sistemare le stanghette dei suoi occhiali. Si alzò dalla sedia, stringendo sempre il giornale in mano, ed emerse dalla trincea di scatole e scatolette per affrontare il nuovo venuto.

«Posso fare qualcosa per…»

L'uomo che era entrato girò il volto metallico nella sua direzione.

«Potrei dare un'occhiata all'elenco telefonico?» domandò piano.

Il droghiere non era sicuro di poter resistere più a lungo. Ma la domanda assolutamente normale gli fornì una via d'uscita.

«Là dietro, guardate» disse, indicando un punto immerso nell'oscurità.

«Grazie.»

L'uomo si diresse verso il punto indicato, e il droghiere udì il suono delle pagine sfogliate. Si udì il rumore di un foglio strappato dal blocco d'appunti fornito dalla compagnia dei telefoni, e lo scatto di una penna a sfera. Poi l'elenco telefonico ricadde pesantemente sul punto in cui era rimasto appoggiato, e l'uomo uscì, piegando il foglietto e infilandoselo nella tasca esterna della giacca.

«Grazie infinite» disse. «Buonasera.»

«Buonasera» rispose il droghiere.

L'uomo uscì dalla drogheria. Il droghiere rimase seduto al suo posto, con il giornale piegato sulle ginocchia.

Era una cosa molto strana, pensò il droghiere, attonito. Ma l'uomo era sembrato assolutamente sicuro di se stesso, come se in lui non vi fosse stato alcunché di anormale. Non aveva dato spiegazioni di alcun genere; aveva semplicemente posto una domanda perfettamente ragionevole. Entravano almeno venti persone al giorno a chiedere la stessa cosa.

E così, non doveva trattarsi di una cosa sensazionale. Be'… sì, certo, era strano, ma l'uomo dal capo di metallo non sembrava pensarla così. E dopotutto, era affar suo, no?

Il droghiere decise che si trattava di un fatto da raccontare alla moglie, non appena di ritorno a casa. Ma non c'era nulla di cui preoccuparsi.

Dopo pochi minuti, cominciò a leggere il giornale. Quando l'agente di Rogers entrò, dopo un minuto, lo trovò intento a leggere.

L'agente di Rogers lavorava in coppia con un suo collega. L'altro aveva continuato a seguire il loro uomo per la strada.

Si guardò intorno.

«C'è nessuno, qui?»

La testa e le spalle del droghiere emersero.

«Sì, signore?»

L'agente della Sicurezza si frugò in tasca.

«Avete un pacchetto di Chesterfield?»

Il droghiere annuì, e tirò fuori il pacchetto di sigarette raccogliendo nel contempo il mezzo dollaro che l'agente gli aveva dato.

«Sentite» disse con aria perplessa l'agente. «Ho visto bene? Cioè, mi è sembrato di vedere un tipo in maschera che usciva da questo negozio.»

Il droghiere annuì.

«Esatto. Però non sembrava una maschera.»

«Che io sia dannato, mi è sembrato di averlo visto, ma è una cosa difficile a credersi!»

«È stato proprio così.»

L'agente scosse il capo.

«Be', immagino che da queste parti, si vedano i tipi più strani. Pensate che fosse conciato così per pubblicità, o qualcosa del genere?»

«Non chiedetemelo. Non aveva cartelli, né distintivi, niente di niente.»

«Cos'ha fatto… ha comperato un barattolo di lucido per metalli?» sogghignò l'agente.

«Ha semplicemente dato un'occhiata all'elenco telefonico, ecco tutto. Non ha nemmeno telefonato.» Il droghiere si grattò il capo. «Penso che stesse semplicemente cercando un indirizzo.»

«Amico, vorrei proprio sapere a chi possa far visita un tipo del genere! Be'…» Si strinse nelle spalle. «Voi qua dentro vedrete i tipi più strani.»

«Oh, non so» disse il droghiere. «Ho visto i tipi più strani anche in altre parti della città, a dire il vero.»

«Sì, certo. Penso di sì. Sentite… A proposito di telefoni, direi che la ragazza potrei chiamarla da qui. Dov'è l'apparecchio?»

«Là dietro» disse il droghiere.

«Bene, grazie.» L'agente della Sicurezza arrivò nel punto indicato. Osservò per un istante l'elenco telefonico, poi diede un'occhiata al primo foglio del blocco d'appunti, sul quale c'erano dei segni indecifrabili a occhio nudo. Con precauzione, strappò il foglietto e se lo infilò in tasca, osservò l'elenco telefonico… erano sei fascicoli, compreso quello di Manhattan… e scosse il capo. Poi entrò nella cabina, infilò la moneta nella fessura, e formò il numero dell'ufficio di Rogers.

L'orologio che si trovava sulla scrivania di Rogers indicava che erano appena passate le nove. Rogers era sempre seduto dietro alla scrivania, e Finchley aspettava, seduto sulla sedia vicina.

Rogers si sentiva stanco. Era sveglio da ventidue ore, e non lo consolava affatto il pensiero che la stessa cosa accadeva a Finchley e ai suoi uomini.

Si sta accumulando, tutto quanto, giorno dopo giorno, ed è un crescendo di tensione, di stanchezza, di veglia. Avrei dovuto andare a letto, prima.

Ma Finchley aveva fatto come lui. E il loro uomo doveva sentirsi infinitamente peggio. E che cos'era un po' di sonno perduto, in confronto a quanto aveva perduto il loro uomo? Malgrado queste considerazioni, Rogers si stentiva stanco e nauseato. Gli occhi gli bruciavano. Aveva la testa confusa, e la bocca amara. Aveva cominciato a trattare amichevolmente Finchley, e si chiedeva se la sua veglia fosse dovuta a una reazione, al fatto che l'agente dell'F.B.I. era più giovane e avrebbe potuto sostituirlo, o al fatto che l'uomo dal volto metallico stava inseguendo la sua ombra per le strade della città. Doveva trattarsi della seconda ipotesi.

«Mi dispiace domandarti di restare qui fino a notte, Finch» disse Rogers.