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«Martino! Fermatevi! Va tutto bene. Fermatevi!»

L'uomo voltò il capo, guardò, e si fermò bruscamente, cercando di tornare indietro. Passò in mezzo a due auto in sosta, e attraversò la strada, dietro di loro.

Il conducente della loro automobile frenò bruscamente, e innestò subito la marcia indietro. La trasmissione cedette, ma l'automobile cominciò a indietreggiare ugualmente, su ruote rigide, lasciandosi dietro una scia di fumo provocata dai pneumatici che bruciavano. Rogers batté il capo contro lo schienale del sedile anteriore, Finchley spalancò la portiera, dalla sua parte, e balzò fuori dall'auto.

«Martino!»

L'uomo aveva raggiunto il marciapiedi opposto. Continuando a correre verso ovest, non si fermò e non si voltò indietro. Finchley cominciò a correre, in mezzo alla strada.

Quando Rogers riuscì ad aprire la portiera dalla sua parte, vide l'automobile che stava arrivando, all'incrocio più vicino, a non più di sessanta piedi di distanza.

«Finch! Sul marciapiedi! Subito!»

Il loro uomo aveva raggiunto l'angolo. Finchley vi era quasi arrivato, sempre in mezzo alla strada, non osando perdere tempo per aprirsi la strada in mezzo alle auto in sosta.

«Martino! Fermatevi! Non potete farcela… Martino… finirete per ammazzarvi!»

L'auto che stava sopraggiungendo li vide e compì una curva disperata, evitandoli. Ma dalla parte di MacDougal Street stava arrivando un'altra macchina, che girò l'angolo e prese in pieno Finchley con il suo aguzzo parafango. Gli fece compiere un balzo incredibile, gettandolo, con il petto squarciato, contro un'auto in sosta.

Per un istante, tutto si fermò. L'automobile investitrice si bloccò all'inizio della strada. Rogers appoggiò la mano contro il fianco dell'auto dell'F.B.I., mentre l'odore della gomma bruciata aleggiava intorno.

Poi Rogers udì in lontananza i passi del loro uomo, che stava ancora correndo, e si chiese se egli si fosse reso sia pur vagamente conto di quanto era accaduto dopo l'urlo della ragazza.

«Chiama i tuoi superiori» disse Rogers seccamente all'agente dell'F.B.I. che si trovava, gelato, dietro al volante. «Di' che si mettano in contatto con i miei uomini. Spiega quanto sta accadendo, e fa' in modo che mandino qualcuno a intercettare il nostro uomo.»

Poi attraversò di corsa la strada, dirigendosi verso Finchley, che era morto.

L'albergo di Bleecker Street aveva un minuscolo bureau al piano terreno e una rampa di scale che conduceva alle camere. L'ingresso era rappresentato da una porta incassata tra due negozi. C'era un uomo dietro alla scrivania (che in quell'albergo, appunto, era l'equivalente del bureau), e stava sonnecchiando. Era vecchio e malvestito, oltre che mal rasato, e stava aspettando soltanto che arrivasse il mattino per potersene tornare a casa.

La porta d'ingresso si aprì. Il vecchio non alzò gli occhi. Se volevano una camera, che venissero a chiederla. Quando udì i passi del nuovo venuto fermarsi davanti a lui, aprì gli occhi.

Il vecchio era abituato alla vista degli invalidi. Moralmente e fisicamente, l'albergo ne era pieno. E il vecchio era abituato anche alla vista delle più strampalate novità. Quando era stato più giovane, aveva seguito le notizie, sui giornali. Si era stupito di fronte ai nuovi ritrovati della tecnica. Ma ormai aveva raggiunto un'età nella quale il mondo si limitava a scivolare accanto a lui, senza che nulla di esso fosse in grado di colpirlo o di meravigliarlo. E così, non si stupiva mai di nulla. Se i medici avevano cominciato a mettere teste metalliche sui pazienti, be', non era molto diverso dagli arti metallici degli invalidi che spesso venivano nell'albergo.

L'uomo di fronte a lui stava tentando di parlare. Ma per un lungo periodo non fu capace di emettere parola, limitandosi a respirare pesantemente. Si appoggiò per un istante alla scrivania. Si portò una mano sul cuore. Finalmente disse, pronunciando una parola a fatica:

«Quanto costa una camera?»

«Cinque dollari» disse il vecchio, allungando una mano per prendere una chiave. «Pagamento anticipato.»

L'uomo si frugò in tasca, tirò fuori il portafogli, ne estrasse una banconota, e la lasciò cadere sulla scrivania. Non guardò direttamente il vecchio, anzi, sembrò che volesse nascondere il volto.

«Il numero della camera è sulla chiave» disse il vecchio, infilando la banconota nella fessura di una scatola metallica assicurata al pavimento.

L'uomo annuì in fretta.

«Benissimo.» Fece un gesto vago, indicando il suo volto. «Un incidente» disse. «Un incidente industriale. Un'esplosione.»

«Fratello» disse il vecchio «non me ne importa un accidente. Non si beve in camera, e bisogna andarsene alle otto: altrimenti, altri cinque dollari.»

Erano quasi le nove del mattino. Rogers sedeva nel suo ufficio freddo e spoglio, e sentiva lo squillo insistente del telefono. Finalmente, decise di sollevare il ricevitore.

«Rogers.»

«Sono Avery, signore. L'uomo è ancora in albergo, in Bleecker Street. È disceso qualche minuto prima delle otto, ha pagato altri cinque dollari, ed è risalito in camera.»

«Grazie. Rimani sul posto.»

Riappese, e posò il capo sul piano della scrivania. Incrociò le mani sulla nuca.

Si udì un ronzio. Premette un pulsante.

«Sì?»

«C'è la signorina Di Filippo, signore.»

«Falla entrare, per favore.»

Attese che la ragazza fosse entrata, e poi staccò la mano dal pulsante.

«Entrate, prego. Bene… accomodatevi… su quella sedia.»

Angela Di Filippo era una brunetta attraente e giovane; Rogers non le diede più di diciott'anni. Entrò con sicurezza, e sedette senza alcuna traccia di nervosismo. Rogers immaginò che, normalmente, doveva trattarsi di una ragazza calma e sicura di sé, priva di quel minimo senso di colpa che faceva sentire insicure le persone più normali e oneste, all'interno di quell'edificio.

«Mi chiamo Shawn Rogers» disse, con un sorriso, e tese la mano.

La stretta della ragazza fu ferma, quasi maschile, e restituì il sorriso. Un sorriso completamente innocente.

«Salve.»

«So che dovete andare al lavoro, così non vi tratterrò più del necessario.» Mise in moto il registratore. «Vorrei farvi qualche domanda, a proposito di quanto è accaduto la notte scorsa.»

«Sarò felice di rispondere.»

«Grazie. Dunque… vi chiamate Angela Di Filippo, e abitate al numero 33 di MacDougal Street, qui a New York, esatto?»

«Sì.»

«Ieri notte… verso le dieci e mezzo, vi trovavate all'angolo di MacDougal Street con un viale laterale, tra Bleecker Street e Houston Street. Esatto?»

«Sì.»

«Volete dirmi come mai vi trovavate là, e che cosa è accaduto?»

«Be', ero appena uscita di casa per andare a prendere del latte, giù alla tavola calda. Il viale comincia proprio accanto a casa mia. Non ho notato nessuno in particolare, ma ho sentito che qualcuno stava avvicinandosi, da MacDougal Street, perché ho sentito i passi.»

«Andava verso Bleecker Street? Sulla sinistra della strada?»

«Sì.»

«Continuate, signorina Di Filippo. Potrò interrompervi nuovamente, per chiarire alcuni punti per la registrazione, ma voi vi spiegate molto bene.» E il nastro gira, pensò. Per quello che sarebbe servito…

«Be', sapevo che qualcuno si stava avvicinando, ma non vi ho badato particolarmente, certo. Ho notato che quel passo era molto rapido. Poi ha cambiato direzione, come se avesse intenzione di svoltare nel viale. Allora ho guardato chi era, perché volevo evitare di trovarmelo davanti. Dietro di lui c'era un lampione, così ho potuto vedere solo il suo profilo… non ho potuto vederlo in viso. Era un uomo, un uomo robusto. Dalla sua andatura, avrei potuto dire che non mi aveva neppure vista, però stava venendo dritto su di me, e quindi mi sono un po' allarmata.»