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Fece una breve pausa, e proseguì:

«Comunque, ho fatto un passo indietro, e lui mi è passato accanto, sfiorandomi. Allora ha sollevato lo sguardo, e ho visto che il suo viso aveva qualcosa di strano.»

«Cosa intendete con “strano”, signorina Di Filippo?»

«Strano, ecco tutto. In quel momento non ho capito di che si trattava. Ma ho pensato che c'era qualcosa di strano, in lui. E questo, immagino, mi ha fatto diventare ancor più nervosa.»

«Capisco.»

«Poi ho visto il suo volto. Lui si è fermato, e ha aperto la bocca… be', il viso era di metallo, come quello dei robot sui supplementi domenicali dei giornali, e quella cosa che ha aperto si trovava dove si trova la bocca… e mi è sembrato molto sorpreso. E ha detto, con voce molto strana, “Barbara… sono io… il Tedesco”.»

Rogers si protese avanti, sorpreso.

«Barbara… sono io… il Tedesco? Ne siete certa?»

«Sì, signore. Sembrava molto sorpreso, e…»

«Che cosa, signorina Di Filippo?»

«Ho capito in questo momento che cosa è stato a farmi gridare… voglio dire, ciò che mi ha fatto veramente gridare.»

«Sì?»

«Ha parlato in italiano.» Guardò sbalordita Rogers. «Me ne rendo conto adesso.»

Rogers aggrottò le sopracciglia.

«Ha parlato in italiano. E ha detto “Barbara… sono io… il Tedesco”. È privo di senso, vero? Ci capite qualcosa?»

La ragazza scosse il capo.

«Bene.» Rogers abbassò lo sguardo sulla scrivania. «Conoscete bene l'italiano, signorina Di Filippo?»

«Lo parlo sempre a casa.»

Rogers annuì. Poi gli venne in mente un'altra cosa.

«Dite… ho sentito che esistono diversi dialetti regionali, in Italia. Potreste dirmi quale era quello parlato dallo sconosciuto?»

«No, era assolutamente normale. Potremmo chiamarlo “italiano d'America”, ecco.»

«Come se avesse vissuto qui per molto tempo?»

«Direi di sì. Un accento assolutamente normale, ecco tutto. Ma io non sono un'esperta. Io parlo italiano, e basta.»

«Vedo. Non conoscete nessuna Barbara? Voglio dire… una Barbara che vi assomigli?»

«No… no, ne sono sicura.»

«Benissimo, signorina Di Filippo. Quando vi ha parlato, avete gridato. È accaduto nient'altro?»

«No. Si è voltato, e ha cominciato a correre nel viale. E poi un'automobile lo ha seguito. Dopo, uno dei vostri agenti è venuto a chiedermi se mi sentivo bene. Ho risposto di sì, e lui mi ha accompagnata a casa. Penso che questo lo sappiate.»

«Sì. E grazie, signorina Di Filippo. Ci siete stata di grande aiuto. Penso che non avremo più bisogno di voi ma in caso contrario, ve lo faremo sapere.»

«Sarò felice di esservi utile in qualsiasi momento, signor Rogers. Arrivederci.»

«Arrivederci, signorina Di Filippo.» Le strinse la mano, e la seguì con lo sguardo, fino a quando non fu uscita.

Maledizione, pensò, ecco una ragazza che potrebbe sposare un uomo con il mio lavoro.

Poi rimase seduto, meditabondo. “Barbara… sono io… il Tedesco”. Be', si trattava di un'altra cosa sulla quale compiere indagini.

Si domandò a che cosa stesse pensando Martino, chiuso nella sua camera d'albergo. E si chiese quanto tempo sarebbe stato necessario passare in ricerche inutili, prima di ottenere la prova, o l'elemento determinante.

Si udì nuovamente il ronzìo.

«Signor Rogers? Sono Read. Ho compiuto ricerche su alcune conoscenze di Martino.»

«Allora?»

«Questo individuo, Francis Heywood, che era compagno di camera di Martino, all'università…»

«Quello che poi è diventato un pezzo grosso nel Servizio Ripartizionale Personale Tecnico del governo alleato? È morto. In un incidente aereo. Perché?»

«Il Bureau ci ha appena spedito un incartamento su di lui. Hanno scoperto una rete di spionaggio sovietico a Washington. Sono coinvolti dei pezzi grossi. La cosa è andata avanti per anni. Quando Heywood ha lavorato a Washington per il governo americano, ha fatto parte del gruppo.»

«Lo stesso Francis Heywood?»

«Impronte digitali e fotografie coincidono, signore.»

Rogers fischiò piano.

«Benissimo. Porta qui tutto, e diamo un'occhiata insieme.»

Quando arrivò il rapporto dell'F.B.I., l'ipotesi da esso creata si dimostrò solidissima, priva di discrepanze e di lacune.

Francis Heywood aveva frequentato l'università del Massachusetts con Martino, ed era stato suo compagno di camera. Era impossibile stabilire se fosse stato anche allora un agente sovietico. Ma non era affatto importante. Quando era stato trasferito dal governo americano a quello delle Nazioni Alleate, lo era senza ombra di dubbio. Al servizio degli Alleati, si era occupato della sistemazione e delle agevolazioni riservate al personale tecnico impegnato in lavori di ricerca. Era considerato il più grande esperto in quel campo. In quel periodo, si era probabilmente messo in azione. Aveva manovrato, secondo le conclusioni più logiche, per fare in modo che i sovietici potessero impadronirsi di Martino. Heywood era stato, in effetti, un vero e proprio scopritore di talenti.

Forse aveva saputo la natura del K-88, e forse no. Secondo le direttrici generali delle alte sfere, avrebbe dovuto avere una vaga idea del progetto, ma senza dubbio sarebbe stato più facile, per lui, scoprire la sua vera natura, che per altre persone. Oppure, se il rischio fosse stato giudicato minimo nei confronti dell'obiettivo, avrebbe potuto cercare di scoprire lui stesso la verità. In ogni modo, aveva conosciuto l'importanza dell'uomo e del progetto che avrebbe consegnato ai sovietici.

E anche questo era d'importanza secondaria. La cosa più importante era questa: un mese dopo la scomparsa di Lucas Martino, Francis Heywood aveva preso un aereo a Washington, dove si era recato in una missione di contatto che avrebbe potuto essere il paravento di qualsiasi cosa, per tornare in Europa. L'aereo aveva comunicato a terra che, in pieno oceano, un motore era esploso. Era seguita una disperata invocazione d'aiuto, poi l'aereo era precipitato in mare. I soccorsi aerei, immediatamente inviati, avevano trovato dei relitti galleggianti sull'oceano, e avevano ripescato alcuni cadaveri, tra i quali non aveva figurato Francis Heywood. L'aereo era davvero esploso… il sonar aveva trovato i suoi resti sul fondo. Ed era stato tutto, almeno per il momento. Un semplice incidente meccanico. Nessuno aveva avvistato aerei sovietici in missione di disturbo, e l'operatore radio dell'aereo aveva inviato dei rapporti efficienti e calmi fin quasi all'ultimo.

Ma ora Rogers fu costretto a pensare al vecchio trucco di far cadere in mare un uomo in un punto prestabilito, inviando poi un sottomarino a prelevarlo.

Se si voleva preparare la cosa in maniera più originale, allora si poteva distruggere un intero aereo civile… nessuno avrebbe trovato strana la mancanza di un cadavere… e il sottomarino avrebbe dovuto fare in modo che un solo uomo non fosse annegato. Era un po' rischioso, ma preparando bene l'incidente, e avvertendo il proprio agente, le probabilità di riuscita erano notevoli.

Osservò il dossier di Heywood. Altezza e peso fisico erano molto simili a quelli di Martino. Aveva più o meno la stessa età dello scienziato. In Europa aveva imparato l'italiano… presumibilmente, con accento americano.

Rogers si domandò quante cose gli avesse detto Lucas Martino, passando tre anni nella stessa camera. Quanto avesse parlato di se stesso il solitario ragazzo del New Jersey. Se per caso non ci fosse stata una fotografia della sua ragazza, Edith, sulla scrivania. O magari, la fotografia di una ragazza chiamata Barbara, che Heywood avrebbe visto ogni giorno, fino a imprimersela indelebilmente in mente. Forse Heywood avrebbe potuto spiegare le parole udite la notte prima da Angela Di Filippo in MacDougal Street.