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Il terreno era coperto di erbacce, percorso da rigagnoli greveolenti e da fosse e avallamenti.

Per prima cosa, l'uomo fece installare il telefono. Cominciò a ordinare provviste da Bridgetown: cibo, indumenti… scarpe pesanti, pantaloni da lavoro e tuta… e quindi attrezzi. Nessuno mise in dubbio la legalità del suo operato… solo Rogers avrebbe potuto sollevare delle obiezioni in merito.

Gli agenti incaricati della sorveglianza lo videro lavorare. Videro che si alzava ogni mattina prima dell'alba, preparava la colazione nella cucina improvvisata, e usciva con martello, sega e chiodi, mentre era ancora troppo buio perché qualcuno potesse vederci. L'uomo piantava paletti, tendeva un reticolato metallico, riparava la stalla, e lavorava da solo, dapprima lentamente, e poi con vigore sempre maggiore, fino a quando il rumore del martello sembrò confondersi in un unico battito prolungato, che durava tutto il giorno.

L'uomo bruciò i vecchi mobili della casa. Ordinò un letto, un tavolo da cucina, e una poltrona, mise il tutto nella casa, e lasciò perdere il miglioramento dell'edificio, limitandosi a sostituire i vetri delle finestre quando il lavoro di riedificazione della stalla gli lasciava un po' di tempo libero. Quando tutto fu compiuto, acquistò un trattore e un aratro. Cominciò a dissodare la terra.

Non abbandonò mai la fattoria. Non parlò a nessuno dei vicini che cercavano di soddisfare la loro curiosità. Non fece acquisti all'emporio, direttamente. Quando gli autocarri provenienti da Bridgetown portavano le provviste richieste, impartiva telefonicamente anche gli ordini relativi allo scarico, e non usciva mai dalla casa quando gli autocarri si trovavano nel cortile.

CAPITOLO XII

Lucas Martino era immobile, in piedi, e guardava in alto, verso i condotti che alimentavano il K-88. In fondo al pozzo, sotto di lui, sentiva i suoi tecnici al lavoro, intorno al grosso serbatoio sferico. Uno di loro imprecò, mentre lavorava. Aveva lasciato cadere qualcosa sul serbatoio, che risuonò pesantemente. I modelli definitivi avrebbero sicuramente avuto una forma aerodinamica e una superficie levigata e lucida, ma nella fase sperimentale i rifinimenti puramente estetici erano stati considerati del tutto superflui. Tranne, forse, che dal tecnico che si era imbattuto in un'asperità della superficie.

Mentre Martino era intento a osservare il procedere del lavoro, i tecnici risalirono, uno dopo l'altro. Il telefono squillò, accanto a lui, e quando lui rispose, il capo tecnico gli comunicò che la zona del serbatoio era stata sgomberata del tutto.

«Benissimo. Grazie, Will. Sto per fare entrare in funzione l'impianto di refrigerazione.»

L'esterno del serbatoio cominciò a coprirsi di brina. Martino chiamò il supervisore della centrale che forniva l'energia.

«Pronti all'esperimento, Allan.»

«D'accordo» rispose il supervisore. «Vi potremo fornire piena energia quando vorrete, trenta secondi dopo… ora. Buona fortuna, dottor Martino.»

«Grazie, Allan.»

Posò il ricevitore e guardò il vecchio muro di mattoni, dall'altra parte dell'immenso salone. C'era spazio a volontà, pensò. Non come succedeva negli Stati Uniti, quando lavoravo in locali minuscoli solo perché le equazioni di Kroenn dimostrano che potevo farcela egualmente. Sapevo che lui aveva torto, in qualche modo, ma non potevo provarlo… accidenti, avrei dovuto essere più ferrato in matematica. Lo sono abbastanza, ma chi può tenere testa a Kroenn? Ricordo che, quando ha scoperto il suo errore, si è infuriato con se stesso ed è risultato intrattabile per settimane e settimane.

Succede. Anche i migliori possono sbagliare, a volte. Be', per scoprire l'errore di Kroenn è stato necessario Kroenn stesso… Be', ci siamo, adesso…

Prese in mano il microfono collegato con l'impianto di chiamata generale, e schiacciò il pulsante.

«Esperimento» disse la sua voce, risuonando nell'intero edificio. Posò il microfono, e azionò il registratore.

«Prova Numero Uno, modello sperimentale K-88.» Fornì i dati relativi all'esatto momento dell'esperimento. «Immessa energia alle…». Diede un'occhiata all'orologio. «Ventuno e trentadue minuti.»

Premette il pulsante e si sporse dalla balaustra, per guardare in fondo al pozzo.

Il serbatoio esplose.

CAPITOLO XIII

E una nuova estate piovosa giunse a New York. Le giornate grigie si succedevano, e anche quando il sole splendeva nel cielo, le nuvole indugiavano minacciose ai margini dell'orizzonte. Il tempo sembrava essersi messo al brutto in tutto il mondo. Venti tempestosi soffiavano nelle grandi pianure continentali, a settentrione, e al di sotto dell'equatore c'era la neve, e il disgelo, e poi ancora la neve, e poi ancora il disgelo. Gli oceani non erano mai calmi, e da una costa all'altra le onde si susseguivano e si scontravano senza soluzione di continuità. Dalle calotte polari scendevano immensi iceberg, e gli uccelli migratori volavano vicino alla terraferma. In Asia si susseguivano le rivolte, e Londra era sconvolta da un'ondata di omicidi.

Shawn Rogers partì da New York in una giornata di pioggia, e i pneumatici della sua macchina slittavano sul fondo bagnato della strada, e malgrado il lavoro del tergicristallo, il mondo intero sembrava provvisorio, confuso e indistinto. La sua automobile incontrò pochissime altre vetture lungo la strada, e la pioggia continuò a cadere fino al New Jersey, accompagnandolo fedelmente per tutto il viaggio.

La strada secondaria che conduceva alla fattoria lo sorprese: era ampia, levigata e agevole. Poté guidare senza eccessive precauzioni.

Cinque anni, pensò, da quando l'ho visto per l'ultima volta. Quasi cinque dalla notte nella quale attraversò il confine. Vorrei conoscere i suoi pensieri, i suoi sentimenti.

Rogers aveva i fascicoli dei rapporti quotidiani, dato che gli agenti incaricati della sorveglianza seguivano continuamente il loro uomo. Degli agenti gli portavano il latte, degli agenti gli portavano le provviste, degli agenti sudavano nei campi vicini alla sua fattoria. E ogni mese il segretario di Rogers portava al suo superiore un riassunto dettagliato delle azioni del loro uomo. Ma sebbene Rogers leggesse attentamente tutti i rapporti, doveva convincersi sempre più che era quasi impossibile comprendere i sentimenti e le azioni di un uomo e trasferirli sulla carta, sotto forma di parole, con qualche possibilità di successo.

Rogers sorrise stancamente. Il suo viso mostrava i segni della stanchezza e dell'età. Ma c'erano soluzioni, a questo problema?

Chissà come prenderà la notizia che gli porto, pensò Rogers.

L'automobile compì l'ultima curva, e Rogers vide la fattoria della quale i suoi agenti gli avevano inviato tante fotografie.

In un angolo della tenuta, la casa era un edificio bianco e pulito, dalle imposte verdi. C'era un prato, curato e perfetto, e al di là del cortile si vedeva una stalla solidamente costruita, davanti alla quale era fermo un autocarro sulle cui portiere non era scritto nulla. Accanto alla casa c'era un piccolo orto, perfettamente arato; evidentemente l'uomo aveva appena compiuto la semina. Una fila di meli fiancheggiava la strada; ogni albero era potato alla perfezione, e le foglie erano irrorate di anticrittogamici. Il reticolato era nuovo, e i paletti erano piantati a distanze regolari, con simmetria ed esattezza. I campi erano verdeggianti, sotto la pioggia, erano percorsi da canali di scolo per eliminare l'acqua superflua, e al confine opposto della proprietà, le rive di un ruscello erano coperte di arbusti. Quando Rogers fermò la macchina nel cortile, un cane sbucò dal nulla e cominciò ad abbaiargli contro.