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Rogers abbottonò il suo impermeabile e sollevò il bavero. Balzò fuori dalla macchina, chiuse la portiera con un colpo secco, e corse sotto la pioggia verso il porticato della casa. Quando ebbe raggiunto il riparo, la porta che si trovava proprio davanti a lui si aprì, e l'agente si trovò a non più di un metro di distanza dall'uomo in tuta.

Sul suo volto c'erano dei mutamenti visibili. Il metallo aveva una patina indefinibile, fatta di microscopiche scalfitture, che attenuava lo splendore metallico dei primi tempi, e non rifletteva più così vividamente la luce. Gli occhi erano sempre gli stessi, ma la voce era diversa. Era più lenta, più secca, e sembrava uscire quasi a fatica.

«Signor Rogers.»

«Salve, signor Martino.»

«Entrate.» L'uomo si fece da parte.

«Grazie. Avrei dovuto telefonare, prima, ma volevo essere sicuro di poter parlare con voi, per un po'.» Rogers si fermò dopo aver varcato la soglia, a disagio. «Dobbiamo parlare di una cosa piuttosto importante, se vorrete dedicarmi un po' del vostro tempo…»

L'uomo annuì.

«D'accordo. Ho da fare, ma potrete seguirmi e parlare, se volete. Ho finito di preparare il pranzo. Ce n'è abbastanza anche per due.»

«Grazie.» Rogers si tolse l'impermeabile, e l'uomo lo appese a un gancio che si trovava accanto alla porta di cucina. «Io… come va?»

«Benissimo. La sedia è lì. Sedetevi, io penso al resto.» L'uomo si avvicinò a un armadio, e prese due piatti.

Rogers sedette al tavolo di cucina, guardandosi intorno imbarazzato, perché non sapeva che altro dire.

La cucina era nitida e pulita. L'acquaio era nascosto da una tenda, e il pavimento era coperto di linoleum. Era tutto in ordine perfetto, non si vedevano piatti sporchi in giro; Rogers cercò di immaginarsi l'uomo intento a lavare, a lucidare, a sistemare le tende… secondo un sistema elaborato logicamente, utilizzando al massimo ogni gesto, impiegando il tempo più ridotto possibile, con la stessa cura che Martino aveva posto nella realizzazione di un esperimento e nel controllo di una complicata serie di dati. Giorno dopo giorno, per cinque anni.

L'uomo posò un piatto sul tavolo, davanti a Rogers: patate lesse, rape e una grossa fetta di filetto di maiale.

«Caffè? L'ho appena fatto.»

«Grazie. Lo prendo nero, però.»

«Servitevi pure.» Si udì un lieve rumore metallico, quando l'uomo prese la caffettiera con la sua mano artificiale. Poi egli sedette davanti a Rogers, e cominciò a mangiare in silenzio, senza alzare il capo né fermarsi. Era evidente la sua impazienza di terminare il pasto per riprendere il lavoro. Rogers non poté far altro che mangiare il più velocemente possibile, senza neppure tentare di iniziare una conversazione. Il cibo, a onor del vero, era ottimo.

Quando ebbero terminato, l'uomo si alzò e senza parlare raccolse piatti e posate, li mise nell'acquaio e aprì il rubinetto dell'acqua. Porse a Rogers uno strofinaccio.

«Vi sarò grato se vorrete asciugare questa roba. Così finiremo prima.»

«Ma certo!» Si alzò e raggiunse l'uomo davanti all'acquaio. Quando il presunto Martino gli porgeva un piatto o una tazza, Rogers l'asciugava attentamente e lo riponeva nello scolapiatti. Quando ebbero terminato, l'uomo ripose i piatti nell'armadio, e Rogers cominciò a infilarsi l'impermeabile.

«Sarò pronto tra un attimo» disse l'uomo. Aprì un cassetto e ne estrasse un rotolo di garza. Stringendo un capo tra le dita della mano artificiale, avvolse il braccio accuratamente, sollevando via via la manica. Estrasse dalla tasca della tuta delle spille di sicurezza, e assicurò entrambi i capi della fasciatura. Poi tirò fuori dal cassetto una latta d'olio, e imbevette d'olio la fasciatura con estrema cura, prima di rimettere tutto a posto nel cassetto.

«Devo farlo» spiegò a Rogers «la polvere e i detriti a lungo andare provocano dei danni.»

«Naturalmente.»

«Be', andiamo.»

Rogers seguì l'uomo nel cortile, e i due si avviarono verso la stalla. Il cane sbucò fuori e cominciò a seguirlo, e l'uomo si chinò e gli carezzò il collo.

«A cuccia, via. Ti bagni, qui. Avanti, Principe. Avanti, su.» Il cane annusò con aria dubbiosa Rogers, li seguì ancora per qualche metro, e poi si voltò.

«Principe? Si chiama così? Un bel cane. Di quale razza?»

«Bastardo. Dietro alla stalla gli ho costruito una cuccia, e sta là dentro.»

«Non lo tenete in casa, allora?»

«È un cane da guardia. Deve star fuori. Non sta bene in casa.» L'uomo fissò Rogers. «Un cane è un cane. Se un uomo ha come solo amico un cane, significa che non può andare d'accordo con i suoi simili, vero?»

«Non direi questo. Il cane vi piace, vero?»

«Sì.»

«Vi vergognate di questo?»

«Sempre in caccia, Rogers, vero?»

Rogers abbassò lo sguardo.

«Penso di sì.»

Entrarono nella stalla, e l'uomo accese la luce. Non c'erano animali, ma solo un trattore, con una latta di lubrificante vicino. L'uomo prese un fagotto di tela cerata, lo aprì e ne tirò fuori degli attrezzi. «Devo mettere a posto la trasmissione, oggi» disse. «Ho acquistato questo trattore di seconda mano, e il vecchio proprietario ha danneggiato gli ingranaggi, così devo ripararli io, perché domani devo lavorare nei campi.» Prese un cacciavite e si sdraiò sotto al trattore. Cominciò a svitare le viti rapidamente, senza prestare più alcuna attenzione a Rogers.

Rogers rimase in piedi, incerto, accanto al trattore, osservando l'uomo che lavorava. Finalmente, si guardò intorno, alla ricerca di qualcosa su cui sedersi. C'era una cassa appoggiata alla parete della stalla, e Rogers andò a prenderla e la sistemò accanto al trattore, sedendovisi sopra. Si piegò, fino a che riuscì a vedere il viso dell'uomo. Ma questo non gli servì molto. Sebbene il motore fosse stato vuotato, al mattino, da esso scendevano ancora grosse gocce di lubrificante. L'uomo lavorava alla cieca, con la sostanza scura e untuosa che gli scorreva sul volto.

Rogers rimase seduto, in attesa, per dieci minuti, seguendo i movimenti delle mani dell'uomo che lavoravano con destrezza sugli ingranaggi, prima la destra e poi la sinistra, la destra che compiva il lavoro più delicato, la sinistra che sistemava e rifiniva. Finalmente la piastra di protezione fu tolta, e l'uomo la posò a terra, assieme alle viti e infilò la mano nell'apertura. Finalmente i pezzi guasti uscirono, e l'uomo scivolò fuori e si alzò in piedi.

«Volevo chiedervi…» cominciò Rogers.

«Un momento.» L'uomo aprì gli occhi, prese i pezzi guasti e li posò su un bancone da lavoro vicino, dove li esaminò alla luce, imprecando. «Se non si trattano bene le macchine, non c'è senso ad acquistarle. Questa trasmissione è dannatamente buona, in teoria e in pratica. È assurdo danneggiarla.» La sua voce era quasi querula. «Una macchina non vi abbandonerà mai, se vi prendete il disturbo di trattarla nel modo giusto… secondo le sue funzioni, per il lavoro che essa deve svolgere. Ecco tutto. Bisogna soltanto comprenderla. E nessuna macchina è tanto complicata da non essere compresa da qualsiasi individuo normale. Ma nessuno si sforza. Nessuno pensa che una macchina sia degna di essere compresa. Cos'è una macchina, dopotutto? Solo un insieme di pezzi di metallo. Una è uguale all'altra, e se ne può sempre acquistare una nuova, uguale alla precedente.

«Ma voglio dirvi una cosa, signor Rogers…» Si voltò di scatto. La luce era alle sue spalle, e Rogers vide solo il suo profilo… il corpo nascosto dalla tuta pesante e informe, le spalle larghe, il capo rotondo e privo di lineamenti. «Anche così, le macchine non piacciono alla gente. Le macchine non parlano e non raccontano i loro guai. Le macchine fanno soltanto quello per cui sono state costruite. Stanno ferme e lavorano, e una è uguale all'altra… ma potrebbero prepararsi a fare qualsiasi cosa. A non arare il campo, a non pompare l'acqua, e perfino a piantare un pistone nello stomaco del loro padrone. Nessuno sa cosa pensano le macchine. Potrebbero fare qualsiasi cosa… e così la gente ha paura di loro, per lo meno, vagamente, e non si prende il disturbo di comprenderle, e così loro le trattano male. E così le macchine si rompono più facilmente, e la gente si fida sempre meno di loro, e le maltratta sempre di più. Così i fabbricanti si dicono, “A che serve costruire delle buone macchine? La gente le rompe in ogni modo”, e impiegano materiale di scarto, e così ci sono pochissime macchine veramente buone, ai nostri giorni, e questo è un peccato.»