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Posò i pezzi guasti sul bancone, e prese in mano la scatola che conteneva i pezzi di ricambio. Ritornò al trattore con i pezzi di ricambio, dimostrandosi ancora palesemente irato.

«Signor Martino…» disse nuovamente Rogers.

«Sì?» domandò, posando a terra i pezzi di ricambio, in ordine.

Adesso che era giunto al punto, Rogers si trovò senza parole. Pensò all'uomo, prigioniero di se stesso per cinque anni, e non riuscì a trovare le parole.

«Signor Martino, sono qui in qualità di rappresentante ufficiale del governo delle Nazioni Alleate, con il potere di farvi un'offerta.»

L'uomo grugnì, prese in mano il primo pezzo di ricambio e si insinuò sotto al trattore per sistemarlo.

«Sinceramente» continuò Rogers «credo che i miei superiori non sapessero come dirvelo, e così hanno scelto me, pensando che io vi conosca meglio.» Si strinse nelle spalle. «Ma io non vi conosco.»

«Nessuno mi conosce» disse l'uomo. «Cosa vuole il governo Alleato?»

«Be', voglio farvi capire che io, probabilmente, non riuscirò a esporre la cosa nel modo giusto; vorrei che i miei errori non influenzassero la vostra decisione.»

L'uomo emise un suono impaziente.

«Avanti, amico.»

Poi, con cura infinita, sistemò il pezzo di ricambio e allungò la mano per prendere quello successivo.

«Be'… sapete che la tensione mondiale sta nuovamente aumentando.»

«Sì.» Scomparve nuovamente sotto al trattore. «Cosa c'entra, questo, con me?» Allungò la mano per prendere l'ultimo pezzo di ricambio, lo sistemò e rimise a posto il sostegno. Rimise a posto anche la piastra, con grande delicatezza, e cominciò ad avvitare la prima vite.

«Signor Martino… il governo Alleato ha ripreso il programma K-88. Sarebbero tutti lieti che voi accettaste di lavorare a esso.»

L'uomo, sotto al trattore, allungò la mano verso il cacciavite, e le sue dita scivolarono sul metallo untuoso. Si voltò e afferrò l'oggetto. Si udì un lieve scatto metallico, quando le dita della sua mano sinistra si chiusero intorno a esso. Poi l'uomo si voltò e riprese il lavoro.

Rogers attese, e dopo qualche tempo, l'uomo disse:

«E così Besser non c'è riuscito.»

«Non so nulla di questo, signor Martino.»

«Per forza. Mi dispiace per lui… credeva davvero di avere ragione. Gli scienziati sono tipi strani… dovrebbero essere obiettivi e distaccati, e dovrebbero formulare teorie in base alle prove sicure. Ma la propria creatura è sempre la propria creatura, e a volte quando un'idea si dimostra errata, colui che l'ha avuta prova una delusione immensa.» Avvitò anche l'ultima vite, e uscì dall'incomoda posizione. «Be', finalmente è fatto» disse. Prese in mano attrezzi e scatola, raccolse anche la vecchia latta di lubrificante, portò il tutto sul bancone da lavoro.

Prese un'altra latta piena, si avvicinò al trattore, svitò il tappo e versò il contenuto di essa all'interno.

«Domani potrò lavorare, finalmente. Bisogna dissodare il terreno, altrimenti si indurirà e non produrrà molto.»

«Non volete dirmi se accettate o meno l'offerta?»

Terminato quel lavoro, l'uomo si mise al posto di guida del trattore, e cominciò a saggiare il funzionamento della trasmissione, e non fissò Rogers fino a quando non si fu assicurato del perfetto funzionamento della macchina. Allora girò il capo.

«Hanno stabilito che io sono Martino?»

«Penso» disse Rogers, lentamente «che abbiano semplicemente un terribile bisogno di qualcuno. Pensano che anche se voi non foste Lucas Martino, dovreste essere stato istruito, per sostituirlo degnamente. Sembra… sembra che sia molto importante per loro rimettere in funzione il programma K-88, il più presto possibile. Ci sono moltissimi tecnici competenti a disposizione. Ma i geni non sono un fenomeno frequente, credete.»

L'uomo discese dal trattore, prese la latta di lubrificante vuota, e la posò sul bancone. La fasciatura del braccio era sporca di polvere. L'uomo prese una latta di carburante e l'aprì, cominciando a disfare la fasciatura. Il penetrante odore della benzina giunse pungente a Rogers.

«Mi chiedo come siano arrivati a prendere quella decisione. Non riesco a capirlo. Per me, non esiste una soluzione definitiva del mio problema.» Lasciò cadere la fasciatura nella benzina. Infilando entrambe le mani nella latta, pulì la garza, e poi la mise ad asciugare.

«Sarete sorvegliato molto strettamente, certo. E probabilmente, tenuto sotto guardia.»

«Di questo non me ne importerebbe. Non do importanza neppure agli agenti, che sono da queste parti continuamente.» Cominciò a pulirsi il braccio metallico con la benzina, con estrema attenzione. Poi prese uno straccio e lo asciugò con gesti rapidi ed esperti: evidentemente, era una vecchia abitudine. Rogers lo fissò, chiedendosi, ancora una volta, quale cervello si trovasse dietro a quella maschera, un cervello che non era né irato, né amareggiato, né trionfante a causa del fatto che gli altri avevano dovuto venire a cercarlo alla fine. «Ma non posso» disse l'uomo. Prese una latta di lubrificante, e cominciò a massaggiarsi il braccio.

«Perché no?» Rogers credette di vedere un cedimento, nella sicurezza dell'altro.

L'uomo si strinse nelle spalle. Era chiaramente a disagio.

«Non posso più fare quello che facevo.» La fasciatura era asciutta, e l'uomo l'avvolse nuovamente intorno al braccio. Non affrontò lo sguardo di Rogers.

«Di che cosa vi vergognate?» domandò Rogers.

L'uomo si avvicinò al trattore, come se pensasse di trovare un rifugio.

«Che succede, Martino?»

L'uomo si appoggiò al trattore, e rimase immobile, fissando qualcosa all'esterno, al di là della porta aperta della stalla.

«Qui vivo benissimo. Lavoro la terra, le do una forma; do una forma a tutto… penso che sappiate le condizioni della proprietà, al mio arrivo. Ho lavorato molto. Ho ricostruito. Altri dieci anni, e la proprietà sarà come io la desidero.»

«E sarete morto.»

«Lo so. Non me ne importa. Non ci penso. Il fatto è…» La sua mano quasi carezzò la superficie del trattore. «Il fatto è che io lavoro continuamente. Una fattoria… tutto ciò che fa parte di una fattoria… è vicinissima alla linea di confine tra sviluppo e decadenza, tra germoglio e decomposizione. Si lavora la terra, si coltivano i germogli, e facendo questo, si usa violenza alla terra. Si fertilizza, si irriga, e si ara, e si costruiscono canali di scolo, ma la terra, questo, non lo sa. Bisogna restituire ciò che le si prende. I paletti marciscono, le fondazioni della casa si sgretolano, la pioggia cade e rovina la vernice, i germogli muoiono… bisogna lavorare duramente, tutti i giorni, per tutto il giorno, solo per rimediare. Ci si sveglia al mattino, e bisogna rimediare ai danni della notte. Non si può fare altro. Non si pensa ad altro. Ora, voi volete che io torni a lavorare al K-88.» Improvvisamente, batté il pugno contro la superficie del trattore, e la stalla si riempì del rumore metallico. La sua voce era tormentata. «Non sono un fisico. Sono un contadino. Non posso più fare quello che facevo un tempo!»

Rogers sospirò profondamente.

«Va bene… tornerò a riferire.»