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Cinque settimane… delle quali Martino non seppe nulla, e durante le quali Azarin fu incapace di pensare ad altro.

Azarin teneva l'apparecchio telefonico sollevato con una mano, mentre con l'altra apriva la scatola di legno di sandalo incorporata nella scrivania. Ne estrasse una sigaretta col filtro, e se la infilò in un angolo della bocca. Sulla scrivania c'era una scatola di fiammiferi perpetua. Azarin diede uno strattone al fiammifero che ne sporgeva, ma lo fece in modo troppo rapido, e così il fiammifero uscì ma non si accese. Infilò nuovamente il fiammifero nella scatola, riprovò, con il medesimo risultato. Gettò la scatola nel cestino della carta straccia, aprì il cassetto della scrivania, trovò una scatola di fiammiferi autentici, e accese la sigaretta. Le sue labbra si piegarono, in modo che la sigaretta rimanesse ferma nell'angolo della bocca, mentre lui parlava.

«Sì, signore. Mi rendo conto del fatto che gli Alleati esercitano su di noi grandi pressioni per il ritorno di questo uomo.» La linea che lo collegava a Novoya Moskva era disturbata, ma Azarin non alzò la voce. Le diede però una forza maggiore, facendola diventare metallica e dura, come se egli volesse esercitare la sua forza di volontà sull'apparecchio. Imprecò mentalmente, pensando alla velocità con la quale Rogers aveva localizzato Martino. Negoziare con gli Alleati, dichiarando di essere completamente all'oscuro dell'esistenza di quell'uomo, era una cosa. Ma quando loro potevano rispondere citando il nome di un determinato ospedale, la faccenda cambiava totalmente. Voleva dire perdere del tempo che altrimenti avrebbero potuto ottenere, e il tempo era prezioso per loro. Ma era sempre stato impossibile nascondere qualcosa di veramente importante, per molto tempo, a quel diabolico Rogers.

Benissimo, allora le cose stavano così. Nel frattempo, comunque, c'erano quelle chiamate telefoniche.

«I chirurghi non potranno terminare l'ultima operazione prima di domani, se tutto va bene. E dopo, non potrò interrogare l'uomo per almeno due giorni. Sì, signore. Tutto sotto la responsabilità dei medici. Dichiarano che è una fortuna averlo vivo, e che tutto ciò che fanno è assolutamente necessario. Le condizioni di Martino erano disperate. Ciascuna operazione è stata estremamente delicata, e mi è stato riferito che il tessuto nervoso si rigenera molto lentamente, anche con l'aiuto delle più moderne terapie. Sì, signore. Secondo me, il dottor Kothu è altamente qualificato. Il suo incartamento, che mi è stato fornito dal suo ufficio, rafforza questa mia convinzione.»

Azarin stava un po' giocando d'azzardo. La Direzione Centrale avrebbe potuto decidere di intervenire direttamente da un momento all'altro, con qualsiasi motivo. Ma lui pensava che avrebbero aspettato ancora. Erano stati loro a esaminare accuratamente Kothu e i suoi collaboratori, perché si trattava di interni di un ospedale militare. Avrebbero esitato, prima di smentire loro stessi. E sapevano che Azarin era uno dei loro uomini migliori. Alla Direzione Centrale non ridevano di lui. Sapevano quanto valeva.

No, poteva rischiare un piccolo giuoco d'azzardo con i suoi superiori. Era una cosa utile, tra l'altro, visto che un giorno lui si sarebbe trovato tra di loro, e avrebbe giuocato al loro stesso giuoco.

«Sì, signore. Altre due settimane.» Mordicchiò il filtro della sigaretta, che si ruppe. Continuò a mordicchiarlo piano, aspirando ugualmente il fumo. «Sì, signore. Mi rendo conto del fatto che il ritardo è già notevole. Ricorderò l'attuale situazione internazionale.»

Bene. Lo avrebbero lasciato continuare. Per un istante, Azarin si sentì felice.

Poi una parte della sua mente gli ricordò che non aveva ancora la minima idea sul come iniziare l'interrogatorio… che non era ancora stato fatto assolutamente nulla.

Azarin aggrottò la fronte. Preoccupato, disse: «Arrivederci, signore» posò il ricevitore, e appoggiò i gomiti sulla scrivania, tenendo la sigaretta in mano.

Sapeva di svolgere il suo lavoro in modo eccellente. Ma non si era mai trovato in condizioni simili, prima di ora. Neppure Novoya Moskva, e questo era d'aiuto, ma non serviva a risolvere il problema immediato.

Quelle detenzioni temporanee erano abitualmente di brevissima durata. L'uomo veniva diplomaticamnte privato di tutte le nozioni utili, nel tempo più breve possibile. Di solito, si impiegava molto poco. A volte il periodo veniva prolungato, ma l'uomo era sempre restituito agli Alleati il più presto possibile. Tranne che nei casi in cui si volevano provocare gli Alleati per qualche motivo più importante, era sempre meglio cercare di non esasperarli. Gli Alleati, esasperati, avrebbero potuto rinunciare alla loro abituale prudenza diplomatica, e le loro contromosse sarebbero state imprevedibili e magari catastrofiche. Inoltre, esistevano certi metodi che era meglio non usare sui prigionieri Alleati. Restituire un uomo in cattive condizioni, provocava uno stato di tensione intollerabile per mesi e mesi.

E così, di solito, al massimo dopo due giorni, un prigioniero veniva restituito agli Alleati. Allora, Rogers avrebbe impiegato un giorno o due per scoprire quanto aveva scoperto Azarin. E così tutto finiva. Se, qualche volta, Azarin scopriva qualcosa di utile, Rogers riusciva immediatamente a neutralizzarlo. Secondo Azarin, l'intera faccenda era uno spreco di tempo e di energia.

Ma adesso, con quel Martino, cosa aveva in mano? Aveva in mano un uomo che aveva inventato una cosa chiamata K-88, e che aveva un'altissima reputazione, sulla quale però mancava qualsiasi dato. Ancora una volta, Azarin imprecò contro i tempi nei quali viveva. Ancora una volta si rese rabbiosamente conto del fatto che spettava al professionista… ad Anastas Azarin… di sbrogliare la matassa il cui capo veniva offerto dai dilettanti come Heywood.

Azarin abbassò lo sguardo sulla scrivania, in preda all'ira. E, naturalmente, Novoya Moskva rifiutava di agire come se la faccenda fosse fondamentalmente un suo errore d'impostazione. Si limitavano a fare pressioni su Azarin, per ottenere dei risultati. Dopotutto, lui non era un ufficiale del servizio segreto? Cosa c'era di tanto difficile? Come mai erano già passate cinque settimane?

Era sempre così, quando si parlava ai burocrati. Dopotutto, loro avevano dei regolamenti. E i regolamenti avevano insegnato loro come agire. E così agivano come nel 1914 e nel 1941, quando i regolamenti erano stati scritti.

Nessuno sapeva nulla di quell'uomo, soltanto il corso inferiore all'Università della Tecnica del Massachusetts, a Cambridge. Imprecando, Azarin desiderò che i membri del servizio segreto sovietico fossero stati uguali alle immagini che di loro forniva il cinema… diabolici e inafferrabili, superuomini capaci di passare attraverso i muri e decifrare facilmente migliaia é migliaia di segreti Alleati. Gli sarebbe piaciuto avere un paio di individui simili, ai suoi ordini, perché ogni loro informazione sarebbe stata esauriente e accurata, aggiornata e completa, interpretata in maniera corretta, e non avrebbe dovuto essere confermata da nessun altro agente, e, inoltre, sarebbe stata sconosciuta a Rogers. Certo, individui del genere esistevano, ma venivano immediatamente assorbiti dallo stato maggiore, perché erano pochi.

E così, Martino aveva vissuto nell'ombra, protetto dal servizio di sicurezza che esisteva in entrambi i settori. Azarin aveva progettato di aggiungere il K-88 alla massa d'informazioni forzosamente incomplete e inutili che già aveva ottenuto. Ma non aveva immaginato una cosa del genere.

Adesso, aveva l'uomo. Lo aveva già da cinque inutili settimane. Lo aveva nelle sue mani, ferito in maniera quasi mortale, costretto in un letto, pronto a causare una storica cause célèbre se non fosse stato prontamente restituito agli Alleati… un uomo che sembrava di un grandissimo valore, anche se avrebbe potuto scoprire il contrario… un uomo che, di conseguenza, doveva essere restituito il più presto possibile e trattenuto il più a lungo possibile, e con il quale, soprattutto, era impossibile agire immediatamente, in un modo o nell'altro.