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Era una situazione che, sotto alcuni aspetti, aveva del comico.

Azarin aspirò l'ultima boccata di fumo e spense la sigaretta nel portacenere. La situazione non era disperata. Aveva già abbozzato rozzamente un piano, e agiva di conseguenza. Avrebbe ottenuto dei risultati.

Ma Azarin sapeva che Rogers era di una intelligenza quasi inumana. Sapeva che Rogers si rendeva perfettamente conto della situazione di Azarin. E ad Azarin non piaceva l'idea secondo la quale in quel momento Rogers avrebbe potuto ridete di lui.

Un'infermiera si affacciò nella camera di Martino. Lentamente, egli abbassò la mano. L'infermiera scomparve, e dopo un istante un uomo in camice bianco entrò dalla porta.

Era un ometto magro e olivastro, dai denti larghi e dalla mascella pronunciata, che sorrise allegramente nel misurare le pulsazioni di Martino.

«Sono felice di vedervi già sveglio. Mi chiamo Kothu, sono un medico, come vi sentite?»

Martino mosse lentamente il capo da parte a parte.

«Capisco. Non c'era nient'altro da fare, purtroppo. Il cranio era quasi completamente sfracellato, gli organi sensori erano inutilizzabili. Fortunatamente, l'incidente ha provocato delle gravi ustioni epidermiche non esponendo però il cervello a un calore prolungato, e una successiva scossa d'urto ha sfondato il cranio, senza però ledere il cervello. Non è piacevole, certo, ma in un certo senso è andata bene. Il braccio, purtroppo, è stato sfracellato da una scheggia metallica. Prego, cercate di parlare.»

Martino lo fissò. Si vergognava ancora del grido che aveva fatto accorrere l'infermiera. Cercò di immaginare il suo aspetto… di visualizzare i meccanismi che, evidentemente, sostituivano gran parte dei suoi organi… e non riuscì a ricordare esattamente come aveva fatto a emettere il grido. Cercò di inspirare, per poi emettere qualche parola, ma sotto alle costole gli sembrò di sentire una sensazione assurda, come se una turbina stesse agendo al posto dei polmoni.

«Non è necessario alcuno sforzo» disse il dottor Kothu. «Parlate, ecco tutto.»

«Io…» Non avvertì alcuna diversità in gola. Aveva pensato di udire le parole tremare attraverso il vibratore di una laringe artificiale. Invece, si trattava della sua vecchia voce. Ma i polmoni non si muovevano, il diaframma non funzionava. Non esisteva alcuno sforzo, come nei sogni, e immaginò di poter parlare senza fine, per giorni, mesi, anni, all'infinito. «Io… Uno, due, tre, quattro. Uno, due, tre, quattro. Do, re, mi, fa, sol, la, si, do.»

«Grazie, così mi aiutate moltissimo. Dite, mi sentite chiaramente? Se faccio qualche passo indietro, e se mi muovo, i vostri occhi mi seguono e mi vedono chiaramente?»

«Sì.» Ma si udiva il ronzìo dei servomeccanismi all'interno del cranio, e Martino provò il desiderio di grattarsi il naso.

«Bene, sapete che siete rimasto qui per più di un mese?»

Martino scosse il capo. Nessuno cercava di farlo tornare indietro? O pensavano che fosse morto?

«È stato necessario mantenervi sotto l'effetto di sedativi. Vi rendete conto, spero, del lavoro che abbiamo dovuto sostenere?»

Martino mosse il torace e le spalle. Si sentì goffo e privo di equilibrio, e internamente… confuso, anche se non era quello il termine più esatto. Gli sembrava che nella cassa toracica fossero state immagazzinate delle pietre.

«È stato fatto molto.» Il dottor Kothu sembrò giustamente orgoglioso del fatto. «Direi che il dottor Versotff ha compiuto un eccellente lavoro di sostituzione del cranio protetico. E, naturalmente, il dottor Ho e il dottor Jansky hanno realizzato la connessione degli organi sensori protetici con i corrispondenti centri cerebrali, come hanno fatto i dottori Debrett, Fonten e Wassil per gli apparati renale e respiratorio. In quanto a me, che ho diretto le operazioni, ho l'onore di avere elaborato il metodo di rigenerazione del tessuto nervoso.» La sua voce si abbassò. «Ci farete la cortesia, se potrete, di menzionare i nostri nomi, quando tornerete nel mondo occidentale? Non conosco il vostro nome» aggiunse rapidamente. «Né dovrei conoscere la vostra origine, ma un medico può intuire diverse cose. Dalla nostra parte, noi… Be', in ogni modo…» Kothu sembrò definitivamente imbarazzato. «Ciò che abbiamo realizzato qui è del tutto nuovo, ed eccezionale. E dalla nostra parte, ai nostri tempi, cose del genere non vengono pubblicate.»

«Cercherò.»

«Grazie. Dalla nostra parte si fanno tante grandi cose, ci sono tanti uomini di valore. E voi non sapete nulla. Se lo sapeste, i nostri rapporti diventerebbero molto più amichevoli. La vostra gente passerebbe molto più rapidamente dalla nostra parte.»

Martino non disse nulla. Passò un momento di incertezza, e poi il dottor Kothu disse:

«Dobbiamo prepararvi. Rimane una cosa da fare, e poi potremo dire di avere fatto del nostro meglio. Si tratta del braccio.» Sorrise. «Chiamerò le infermiere, e loro vi prepareranno. Ci rivedremo in sala operatoria, e quando avremo finito, voi sarete perfettamente a posto. Come nuovo.»

«Grazie, dottore.»

Kothu uscì, ed entrarono le infermiere. Erano due donne, che indossavano pesanti uniformi bianche, con grandi cuffie aderenti che coprivano i capelli. I loro volti erano un po' duri, ma efficienti e privi di espressione. Stringevano le labbra e non usavano cosmetici. Siccome in esse non c'era traccia di elementi occidentali, era impossibile definire la loro età. Lo spogliarono e lo lavarono senza parlare tra loro né rivolgersi a lui. Tolsero la fasciatura dalla spalla sinistra, la cosparsero di una sostanza antisettica colorata, vi applicarono una nuova fasciatura, e lo sistemarono su un carrello operatorio che una di esse aveva portato rapidamente nella stanza.

Lavorarono con efficienza assoluta, senza sprecare un solo gesto e dividendo perfettamente il lavoro; erano perfette e avevano un accordo più unico che raro, e la loro esperienza era incredibile.

Martino rimase in silenzio, passivo, osservandole senza intralciare, ed esse lo trattarono come se fosse stato un manichino.

Azarin percorse il corridoio, verso la camera di Martino, insieme a Kothu, che non riusciva a tacere.

«Sì, colonnello, sebbene non sia ancora in perfette condizioni, adesso si tratta semplicemente di una questione di riposo. Tutte le operazioni sono riuscite a meraviglia.»

«Può parlare per un certo periodo?»

«Non oggi, forse. Dipende dall'argomento della discussione, naturalmente. Una tensione eccessiva potrebbe risultare dannosa.»

«Questo dipenderà da lui. È là dentro?» «Sì, colonnello.» Il piccolo dottore spalancò la porta, e Azarin entrò a passo di carica.

Si fermò, come se qualcuno gli avesse infilato una baionetta nello stomaco. Osservò l'orribile cosa che si trovava sul letto.

Martino lo stava guardando. Era coperto dalle lenzuola fino al petto. Azarin vide l'apertura oscura, là dove avrebbero dovuto trovarsi gli occhi, e il metallo del volto. Il braccio sano era sotto le coperte. Quello sinistro era in evidenza, e sembrava il tentacolo di un abitante della Luna. La creatura non disse nulla, non fece nulla. Rimase immobile sul letto e lo fissò.

Azarin diede un'occhiata a Kothu.

«Non mi avevate detto che avrebbe avuto un aspetto simile.»

Il dottore sembrò colpito.

«Ma vi ho spiegato tutto! Vi ho descritto le applicazioni protetiche, ho assicurato che erano perfettamente funzionali… veri miracoli della tecnica… anche se, malauguratamente, l'aspetto sarebbe risultato un po'… antiestetico. Avevate approvato!»

«Non mi avevate detto che avrebbe avuto un aspetto simile» borbottò Azarin. «Adesso presentatemi.»

«Ma certo» disse nervosamente il dottor Kothu. Si rivolse subito a Martino. «Signore, vi presento il colonnello Azarin. È venuto ad accertarsi delle vostre condizioni.»