E poi, un giorno o l'altro prenderò una decisione… magari molto complessa… o farò qualcosa che crederò giusto. Sarò sicuro di avere agito bene… e invece avrò sbagliato. Comincerò a perdere il controllo dei miei nervi, e in seguito avrò i brividi, ogni volta che mi toccherà di prendere una decisione. Comincerò a cedere, a lasciarmi prendere dai nervi, vivrò di eccitanti, e se i capi lo scopriranno in tempo, mi daranno un bel lavoretto innocuo, in qualche angolo sperduto del mondo. Se invece non lo scopriranno, un giorno Azarin mi concerà per le feste, e tutti i nostri figli studieranno a scuola il cinese.
Rabbrividì. E si udì squillare il telefono, nel soggiorno.
Uscì dalla vasca da bagno, appoggiandosi pesantemente alla sponda, e si avvolse in un enorme asciugamano, dalle dimensioni di un lenzuolo, tipicamente europeo, che aveva deciso di portare con sé in America se gli fosse capitata qualche missione laggiù. Entrò scalzo nel soggiorno, e sollevò la cornetta.
«Sì?»
«Signor Rogers?» Riconobbe la voce di un centralinista del Ministero della Guerra.
«Sono io.»
«Il signor Deptford è in linea. Attendete, prego.»
«Grazie.» Attese, desiderando che il pacchetto di sigarette si trovasse nella camera da letto.
«Shawn? In ufficio mi hanno detto che eravate a casa.»
«Sì, signore. Dovevo cambiarmi e ripulirmi.»
«Sono al Ministero. Ho parlato adesso al sottosegretario della Sicurezza. Come va l'affare Martino? Avete raggiunto, fino a questo momento, delle conclusioni definitive?»
Rogers pensò accuratamente alla risposta.
«No, signore, mi dispiace. Siamo al lavoro da un solo giorno.»
«Sì, lo so. Avete per lo meno qualche idea sul tempo che vi sarà necessario per raggiungere dei risultati abbastanza concreti?»
Rogers aggrottò le sopracciglia. Calcolò quanto tempo sarebbe stato possibile risparmiare.
«Direi una settimana.» Per lo meno, lo sperava.
«Una settimana?»
«Temo di sì. Gli esperti stanno lavorando a buon ritmo, adesso, ma sarà molto difficile arrivare a qualcosa. È un problema complicatissimo.»
«Capisco.» Deptford sospirò profondamente. Il rumore giunse distintamente attraverso il microfono. «Shawn… Karl Schwenn mi ha chiesto se vi rendevate conto di quanto fosse importante per noi il progetto Martino.»
Rogers disse, piano:
«Potete rispondere al sottosegretario che io conosco il mio lavoro.»
«Ma certo, Shawn. Non voleva criticarvi. Voleva semplicemente esserne sicuro.»
«Sta facendo delle pressioni su di voi?»
Deptford esitò:
«C'è qualcuno che fa delle pressioni anche su di lui, si vede.»
«Posso ancora farcela, nel mio dipartimento, anche senza una strettissima disciplina teutonica.»
«Avete dormito, nelle ultime ore, Shawn?»
«No, signore. Invierò rapporti quotidiani, e quando troveremo qualcosa, telefonerò.»
«Benissimo, Shawn. Glielo dirò. Buonanotte.»
«Buonanotte, signore.»
Riappese, e la luce rossa che indicava la linea occupata si spense. Ritornò a immergersi nella vasca, e rimase immobile nell'acqua calda, a occhi chiusi, riesaminando mentalmente i pochi dati raccolti sull'affare Martino.
Erano davvero pochi. L'altezza era rimasta uguale, mentre il peso era lievemente aumentato. Ma il cranio metallico giustificava ampiamente delle differenze minime.
Ma non si poteva procedere sulla strada dell'identificazione, secondo i dati raccolti prima dell'incidente. Non c'erano riferimenti né per gli occhi, né per i capelli, né per i lineamenti. Nessun riferimento possibile per la data di nascita, anche se un fisiologo gli aveva attribuito il 1948, sempre con il consueto margine di errore. Impronte digitali? Segni particolari e cicatrici?
Rogers sorrise amaramente. Si asciugò, gettò in un angolo gli abiti sporchi, e ne indossò di nuovi. Prima di uscire di casa ritornò nel bagno, si infilò in tasca lo spazzolino da denti, ci pensò sopra un momento, e aggiunse il tubetto di Alka-Selzer, poi si diresse verso il suo ufficio.
Prime ore del mattino, secondo giorno. Rogers sedeva dietro la scrivania.
Osservò attentamente Willis, lo psicologo.
«Se avevano intenzione di lasciare andare Martino» disse Rogers «per quale motivo avrebbero dovuto darsi tanta pena per lui? Per farlo sopravvivere non c'era bisogno di tutta quella ferraglia. Perché ne hanno ricavato, con ogni premura, un fenomeno da baraccone?»
Willis si passò una mano sul volto, ispido a causa della barba di due giorni.
«Supponendo che sia Martino, potrebbe darsi che loro non avessero mai avuto la minima intenzione di lasciarlo andare. Sono d'accordo… se la loro intenzione primitiva fosse stata quella di restituircelo, probabilmente lo avrebbero rimesso insieme usando i sistemi più antichi. Invece, si sono presi tutti i fastidi possibili per ricostruirlo dandogli, per quanto possibile, le parvenze di un essere umano.
«Penso che sia andata così: loro erano sicuri di poterlo sfruttare convenientemente. Pensavano di ottenere molto da lui, e volevano che fosse in grado di dare loro quanto desideravano. È molto probabile che non avessero nemmeno preso in considerazione la possibilità di restituircelo. Oh, può darsi che non si siano limitati al funzionale… ma forse volevano impressionare lui. In ogni modo, probabilmente pensavano di ottenere la sua gratitudine e secondo loro questo sarebbe stato molto opportuno. E non dobbiamo sottovalutare un altro fattore: probabilmente speravano di destare in lui l'ammirazione professionale. In particolare, sapevano che era un fisico. La trasformazione avrebbe potuto costituire qualcosa di molto simile a un ponte tra Martino e la loro cultura. Se le cose sono andate così, potrei affermare a ragion veduta che i sovietici hanno applicato un'eccellente tattica psicologica.»
Rogers si accese un'altra sigaretta. Il fumo era amaro e quasi rivoltante, ma era sempre meglio che niente.
«Ne abbiamo già parlato mille volte. Possiamo trarre quasi tutte le conclusioni possibili, e le nostre teorie si applicheranno a quei pochi dati di cui disponiamo. Ma che cosa arriviamo a concludere?»
«Be', come ho detto, potrebbe darsi che essi non avessero mai voluto restituircelo. Se partiamo da questo presupposto, allora dobbiamo chiederci per quale motivo, alla fine, l'hanno lasciato andare. Oltre alle pressioni che abbiamo esercitato su di loro, diciamo che lui ha resistito. Diciamo che finalmente i sovietici scoprirono che Martino non sarebbe stato la miniera d'oro che avevano immaginato di possedere… diciamo che dopo una settimana, o dopo un mese, hanno deciso di agire in altro modo. E così, l'avercelo restituito potrebbe anche essere logico. Può anche darsi che abbiano deciso di farlo, pensando di farla franca la prossima volta, dato il precedente.»
«Qui si presume troppo. Che cosa ha dichiarato lui, a questo proposito?»
Willis si strinse nelle spalle.
«Ha detto che gli hanno fatto delle offerte. Lui ha deciso che si trattava di semplici lusinghe, e così le ha respinte. Ha detto che lo hanno interrogato, e che lui è riuscito a non cedere.»
«Pensate che sia possibile?»
«Tutto è possibile. E lui non è ancora impazzito. È già qualcosa. Martino è sempre stato un individuo perfettamente equilibrato.»
Rogers sbuffò.
«Sentite… sono riusciti a far parlare chiunque, i nostri amici sovietici, se lo hanno veramente voluto. Perché non sono riusciti, in questo caso?»
«Non ho detto questo. Ma esiste una possibilità che egli dica la verità. Forse non hanno avuto tempo a sufficienza. Forse lui ha avuto un vantaggio, rispetto alle loro vittime abituali… senza un volto capace di mostrare delle espressioni, e senza un ciclo respiratorio capace di diventare affannoso, può darsi che non abbia mai dimostrato di essere sul punto di cedere, lasciandoli completamente al buio… è un fattore, questo, da non trascurare.»