«È piuttosto dura per voi, vero, Shawn?»
«Piuttosto.»
«Voi avete sempre lavorato per me. Avete sempre svolto il mio lavoro.» La voce di Deptford era quasi un sussurro, e Rogers udì un suono caratteristico, e capì che il suo interlocutore aveva stretto le labbra e poi se le era umettate con la lingua. «Benissimo. Spiegherò la situazione in alto loco, e voi cercherete di fare il possibile.»
«Sì, signore. Grazie.»
«Buonanotte, Shawn. Dormite, se vi riesce.»
«Buonanotte, signore.» Rogers riappese. Per qualche tempo, osservò le tenebre che lo circondavano. È strano, pensò. Desideravo un'istruzione, e la mia famiglia viveva a mezzo isolato di distanza dai docks, a Brooklyn. Desideravo essere capace di comprendere che cosa fosse un imperativo categorico, e di riconoscere una citazione di Byron, se ne avessi sentita una. Desideravo indossare una giacca elegante e fumare la pipa, seduto sotto un albero. E mentre frequentavo le scuole superiori, assunsi quel lavoro anonimo nel reparto investigativo di una compagnia di assicurazioni. E così, quando mi fu offerta la possibilità di entrare nella scuola del governo Alleato, la presi al volo. E quando loro scoprirono che avevo una certa pratica nel campo investigativo, mi affidarono ai loro istruttori della Sicurezza. Ed eccomi qui, senza che mi sia mai fermato a riflettere, in un modo o nell'altro. Ho una carriera eccellente alle mie spalle. Dannatamente buona, proprio così. Ma adesso mi domando se non avrei potuto comportarmi ugualmente bene in qualche altro lavoro.
Poi, lentamente, Rogers si infilò le scarpe, si avvicinò alla scrivania, e accese la luce.
La settimana era quasi terminata. Iniziavano a scoprire dei nuovi dati, ma nessuno era importante.
Barrister posò il primo diagramma sulla scrivania di Rogers.
«Ecco come funziona la testa di Martino… per lo meno, come crediamo che funzioni. È difficile, senza potere ottenere delle immagini radiografiche chiare.»
Rogers diede un'occhiata al diagramma, e grugnì. Barrister cominciò a enumerare i particolari del diagramma, usando il cannello della pipa per indicare le diverse parti.
«Questo è il suo apparato visivo. Visione binoculare, con messa a fuoco e selettività delle immagini automatiche. Dipendenti cioè da motori alimentati da questa micropila, che si trova qui, nella cavità toracica. Così pure per gli altri componenti artificiali del suo corpo. È interessante notare come il suo apparato visivo sia fornito di una serie completa di filtri. Lo hanno fatto anche meglio di prima. A dire il vero, può anche sfruttare gli infrarossi, se vuole.»
Rogers si tolse dal labbro il tabacco lasciato dalla sigaretta.
«Interessante.»
Barrister riprese:
«Adesso… qui, su entrambi i lati degli occhi, ci sono due selettori acustici. Sono le sue orecchie. Devono avere pensato che sarebbe stato meglio concentrare entrambe queste funzioni basilari in una sola parte della testa artificiale. L'impianto acustico è direzionale, ma non è efficiente come quello fornito dal buon Dio. Un'altra cosa: la “pellicola” che chiude questa apertura è notevolmente solida… capace di proteggere questi delicati meccanismi. Il risultato è questo: quando chiude gli occhi, è anche sordo. Immagino che questo renda più riposante il suo sonno.»
«Quando non simula degli incubi, certo.»
«O quando non li ha.» Barrister si strinse nelle spalle. «Non tocca a me scoprirlo.»
«Vorrei che non toccasse neppure a me. Bene, e che cosa mi dite, adesso, a proposito dell'altra apertura?»
«La bocca? Be', c'è una protezione anche sull'apparato orale effettivamente funzionante. Le mandibole, le glandole salivari e i denti sono artificiali. La lingua no. L'interno della bocca è rivestito di plastica. Non sappiamo ancora di quale natura. I miei uomini hanno faticato a prendere dei campioni per l'analisi, anche se il soggetto si è dimostrato dispostissimo a collaborare.»
Rogers si umettò le labbra.
«Bene… grazie» disse bruscamente. «Ma come è stato sistemato, tutto questo, nel suo cervello? Come riesce a far funzionare le sue parti artificiali?»
Barrister scosse il capo.
«Non lo so. Le fa funzionare come se fosse nato così, perciò deve esserci una specie di connessione tra i suoi centri nervosi involontari e autonomi. Ma non sappiamo ancora esattamente come è stato eseguito il lavoro. È dispostissimo a collaborare, come ho detto, ma non voglio agire in modo da distaccare dei contatti, o roba del genere. Potrei non essere più capace di riparare i danni. So soltanto una cosa: da qualche parte, dietro a tutte quelle diavolerie meccaniche, c'è un cervello umano funzionante, all'interno di quel cranio. Come siano riusciti a sistemarlo là dentro, è un altro discorso. Dovete ricordare che in questo campo hanno un notevole vantaggio su di noi.» Posò un altro foglio di carta sulla scrivania, senza far caso al pallore di Rogers. «Ecco il suo centro motore. Il disegno è soltanto abbozzato, ma noi pensiamo che si tratti di una micropila abbastanza ordinaria. Si trova là dove c'erano i polmoni, vicino al dispositivo che fa funzionare le sue corde vocali e il più ingegnoso sistema di circolazione dell'ossigeno che abbia mai visto in vita mia. L'energia prodotta è elettrica, naturalmente, e fa agire il braccio, la bocca, l'apparato audiovisivo, e tutti gli altri dispositivi.»
«È schermata bene, la pila?»
La voce di Barrister lasciò trasparire l'ammirazione professionale.
«Direi di sì. Non riusciamo a prendere delle radiografie decifrabili. Però c'è sempre una piccola dispersione di energia. Martino morirà tra circa quindici anni.»
«Uhm.»
«Be', sentite amico, se a loro interessava la sua sopravvivenza, ci avrebbero fornito delle istruzioni particolareggiate.»
«A loro è importato, però. E quindici anni potrebbero essere sufficienti per loro, se quell'uomo non è Martino.»
«E se è Martino?»
«Be', se è Martino, e sono riusciti a persuaderlo con i loro metodi, quindici anni potrebbero essere sufficienti.»
«E se è Martino, e non sono riusciti a convincerlo? Se è lo stesso uomo di sempre, dietro alla sua armatura metallica? Se non fosse, dopotutto, il Mostro piovuto dallo Spazio? Se fosse semplicemente Lucas Martino, il fisico?»
Rogers scosse il capo, lentamente:
«Non lo so. E mi si stanno esaurendo le idee. Ma dobbiamo scoprirlo. Prima della fine, dobbiamo scoprire tutto su di lui, quello che ha fatto e quello che ha provato… dobbiamo conoscere tutti coloro ai quali ha parlato, tutti i pensieri che gli sono venuti in mente.»
CAPITOLO II
Lucas Martino era nato nell'ospedale della città più vicina alla fattoria di suo padre. Sua madre soffrì gravemente delle conseguenze del parto, e così lui fu il primo e unico figlio di Matteo e Serafina Martino, coltivatori diretti, di Milano, che si trovava vicino a Bridgetown, New Jersey. Fu battezzato con il nome dello zio che aveva pagato ai suoi genitori il viaggio negli Stati Uniti, e aveva prestato loro il danaro necessario all'acquisto della fattoria.
Milano, nel New Jersey, era una comunità agricola, fatta di campi di pomodori, di frutteti che producevano pesche, e di allevamenti di pollame, imperniata su un emporio che fungeva in una sola volta da rivendita di generi alimentari, da distributore di benzina per i trattori, e perfino da ufficio postale. A un miglio più a nord, le corsie di un'autostrada sopraelevata facevano scorrere la fiumana del traffico da Filadelfia ad Atlantic City. A ovest, passava una ferrovia che portava da Camden a Cape May. A sud, come base del triangolo di comunicazione, un'altra autostrada portava dalla costa dello Jersey al traghetto di Chester, attraverso il Delaware, collegandosi così a tutte le altre autostrade della Costa Orientale. Bridgetown si trovava nel punto d'incontro tra autostrada e ferrovia, ma Milano era all'interno del triangolo, a non più di cinque minuti di distanza dal mondo, o almeno, dal concetto che molti avevano del mondo, eppure molto lontana da esso.