Ma pur sapendo che si trattava solo di immagini, Norton provò spesso l'irresistibile impulso di aprirsi un varco in qualche colonna col laser, per estrarne un esemplare da portare sulla Terra. Contemporaneamente, si rendeva conto che era lo stesso impulso che spinge una scimmia ad afferrare l'immagine di una banana riflessa in uno specchio.
Stava fotografando uno strano congegno, forse un apparecchio ottico, quando il grido di Calvert lo fece accorrere presso il tenente.
— Comandante… Karl… Will… guardate un po' qua!
Calvert era un tipo facile all'entusiasmo, ma quello che aveva trovato lo giustificava.
Dentro ad una delle colonne di due metri di diametro, c'era una complicata imbracatura, una specie di uniforme, indubbiamente fatta per un essere dal portamento eretto, e molto più alto di un uomo normale. Una fascia centrale di metallo, molto stretta, doveva servire presumibilmente da cintura; da essa si dipartivano tre colonnine circolari divergenti che terminavano in un'altra fascia di un metro di diametro. Fra una colonnina e l'altra pendevano dalla cintura dei cappi, fatti per infilarci arti superiori, braccia o altro che fossero. Erano tre, posti a uguale distanza.
E poi c'erano tasche, borse, bandoliere da cui sporgevano utensili (o armi?), tubi, conduttori elettrici e anche piccole scatole nere che avrebbero potuto benissimo trovare posto in qualsiasi laboratorio elettronico della Terra. L'insieme era complesso come una tuta spaziale, anche se forniva solo una copertura parziale dell'essere che l'avrebbe indossata.
E quell'essere era un ramano? si chiese Norton. Non lo sapremo mai, ma deve senz'altro essere stato intelligente perché nessun animale saprebbe creare un equipaggiamento così perfetto e complicato.
— Dovevano essere alti almeno due metri e mezzo, senza contare la testa — osservò Mercer. — Chissà com'erano fatti.
— Di certo avevano tre braccia e presumibilmente tre gambe. Come i ragni, ma molto più grandi. Credete che si tratti di una coincidenza?
— Non credo. Noi creiamo i robot a nostra immagine, ed è probabile che i ramani facessero lo stesso.
Myron, di solito sempre sicuro di sé, fissava quella specie di armatura con aria intimorita. — Credete che sappiano che siamo qui? — sussurrò.
— Non credo — rispose Mercer. — Non abbiamo oltrepassato la soglia della loro coscienza, sebbene gli hermiani ci abbiano tentato.
Stavano lì, incapaci di muoversi, quando Rousseau li chiamò dal mozzo con voce tesa e preoccupata: — Comandante, sarà meglio che usciate.
— Cosa c'è… stanno arrivando i biot?
— No. Si tratta di una cosa più seria. Le luci si stanno spegnendo.
43
Quando uscì dall'apertura praticata col laser, Norton provò la sensazione che i sei soli di Rama continuassero a splendere come prima. Rousseau doveva essersi sbagliato, pensò, per quanto strano potesse sembrare. Ma Rousseau aveva previsto quella reazione.
— Avviene molto lentamente — spiegò il giovane come se volesse scusarsi, — e ci vuole parecchio prima di accorgersi della differenza. Ma è proprio vero… ho fatto delle misurazioni. L'intensità luminosa è calata del quaranta per cento.
Adesso che la sua vista si era riadattata, dopo la penombra del tempio di vetro, Norton poté constatare che Rousseau aveva ragione. La lunga giornata di Rama stava avviandosi al tramonto.
Faceva caldo come prima, tuttavia Norton rabbrividì. Era la stessa sensazione che aveva provato una volta sulla Terra al finire di una bella giornata d'estate, quando si era verificato un inspiegabile affievolimento della luce, come se il Sole avesse perduto parte della sua forza o stessero calando le tenebre, sebbene il cielo fosse terso. Poi si era ricordato che era cominciata un'eclisse parziale.
— È vero — ammise con dispiacere. — Torniamo a casa. Lasciamo qui gli utensili. Non ci serviranno più.
Si congratulò con se stesso per aver scelto di esplorare Londra, che era la più vicina a una delle gradinate. Distava infatti solo quattro chilometri da Beta.
Si avviarono al piccolo trotto, andatura che meglio si adattava alla forza di gravità di Rama, e Norton calcolò che, di quel passo, sarebbero arrivati ai piedi della scala in breve tempo e senza stancarsi. Poi dovevano salire per otto chilometri, e quella era la parte più estenuante del percorso, ma si sarebbe sentito molto più tranquillo appena arrivati ai piedi della gradinata.
La prima scossa si verificò quando ormai erano quasi arrivati alla scala. Era molto leggera, e Norton si voltò istintivamente verso sud, aspettandosi di assistere a un altro spettacolo pirotecnico. Ma Rama non si ripeteva mai. Se sulle punte aguzze degli Horns si producevano scariche, erano troppo deboli per essere visibili.
— Plancia — chiamò. — Avete avvertito la scossa?
— Sì, Comandante. Era molto leggera. Può darsi che si tratti di un'altra variazione dell'assetto. Teniamo d'occhio i giroscopi. Ancora niente… no, aspettate… sì, c'è una variazione di meno di un microraggio al secondo, ma continua.
Dunque, Rama cominciava a muoversi, anche se con lentezza impercettibile. Le scosse che avevano avvertito alcuni giorni prima potevano essere state un falso allarme, ma questa volta non c'era da sbagliarsi.
— Aumenta… Cinque micron… ehi, avete sentito questa?
— Direi! Che tutto sia pronto per la partenza. È probabile che ce ne dobbiamo andare subito.
— Pensate che stia già cambiando orbita? Siamo ancora lontani dal perielio.
— Non credo che Rama segua le norme dei libri di testo. Siamo ai piedi di Beta. Ci riposiamo per cinque minuti.
Cinque minuti erano pochi, eppure sembrarono un'eternità perché ormai era evidente che la luce diminuiva, e anche in fretta.
Sebbene fossero dotati di lampade portatili, il pensiero del buio era insopportabile. Si erano così psicologicamente adattati a quel giorno senza fine, che non riuscivano a ricordare com'era Rama quando l'avevano esplorato le prime volte. Provavano un irresistibile bisogno di scappare, di uscire alla luce del sole.
— Controllo Mozzo — chiamò Norton, — il riflettore funziona? Può darsi che fra poco ce ne sia bisogno.
— Sì, Comandante. Ecco fatto.
Un fascio di luce si accese otto chilometri sopra di loro. Ma anche se la luce di Rama si era notevolmente affievolita, il riflettore sembrava molto debole; ma si era già reso utile in precedenza e li avrebbe guidati anche adesso.
Norton sapeva che quell'ultima ascensione sarebbe stata la più ardua e snervante che mai avesse fatto. Qualsiasi cosa succedesse, non potevano affrettarsi, se si stancavano troppo si sarebbero accasciati esausti su quelle rampe interminabili, costretti ad aspettare che i muscoli troppo affaticati permettessero loro di continuare. Ormai erano allenati a quelle scalate, ma c'erano limiti che la carne e il sangue non potevano oltrepassare.
Arrivarono alla quarta rampa dopo un'ora di cammino senza soste, circa tre chilometri dalla pianura. D'allora in avanti sarebbe stato più facile, perché la forza di gravità era già ridotta a un terzo di quella terrestre. Sebbene si verificassero a tratti alcune leggere scosse non si erano prodotti altri fenomeni allarmanti, e c'era ancora abbastanza luce. Cominciavano a essere un po' più ottimisti, e perfino a chiedersi se non erano partiti troppo presto. Di una cosa però erano sicuri: che non sarebbero mai più tornati indietro. Quella era stata l'ultima volta che avevano camminato sulla pianura di Rama.
Mentre stavano riposandosi per dieci minuti sulla quarta piattaforma, Calvert esclamò: — Cos'è questo rumore, Comandante?
— Quale rumore? Io non l'ho sentito.
— Un fischio molto acuto, che adesso sta morendo. È impossibile che non lo sentiate.
— Sarà perché invecchio… Ma sì, adesso lo sento anch'io.
Sembrava che il fischio venisse da tutte le direzioni. Dopo essersi abbassato, riprese a salire di tono fino a diventare acuto e penetrante. Poi cessò di colpo. Ma dopo pochi secondi ricominciò, ripetendo la stessa sequenza. Era lugubre come la sirena di un faro in una notte di nebbia. Quel fischio celava un messaggio urgente. Non era fatto per essere percepito da orecchie umane, però era facile capirne il senso. Poi, per accentuarne l'urgenza, intervennero le luci, che, ormai quasi spente, ripresero a brillare improvvisamente vivide. In ciascuna delle sei strette valli luminose si accese una vampa che le percorse più volte, partendo dai poli per fermarsi al mare, con un ritmo incalzante, quasi ipnotico. Al mare! Al mare! pareva invitasse quella luce mobile. Ed era difficile resistere a quel richiamo. I quattro esploratori dovettero fare uno sforzo per resistere all'impulso di tornare indietro e cercare l'oblio nel mare di Rama.