Norton stava godendosi la prima notte di sonno tranquillo, trenta ore dopo aver lasciato Rama, quando qualcuno lo svegliò bruscamente. Imprecando, aprì gli occhi assonnati, e quando vide Karl Mercer, come ogni bravo Comandante, fu subito sveglio.
— Ha smesso di girare?
— Sì. È fermo come un macigno.
— Saliamo in plancia.
Erano svegli tutti. Anche gli scim si rendevano conto che stava succedendo qualcosa d'importante perché erano agitati e ansiosi, e McAndrews ebbe un bel da fare a calmarli. Norton sedette al posto di comando, e mentre si affibbiava le cinghie intorno al petto si chiese se per caso non fosse un falso allarme.
Rama era ridotto a un cilindro tozzo intorno al quale straripava la luce del Sole. Norton riportò la Endeavour nel cono d'ombra dell'eclissi artificiale, e vide lo splendore perlaceo della corona solare riapparire su uno sfondo di stelle luminose. Una colossale flare, alta almeno cinquecentomila chilometri, si era talmente elevata sul Sole che le ramificazioni superiori parevano un albero di fuoco scarlatto.
Adesso non ci resta altro che aspettare, si disse Norton. L'importante era non distrarsi, tenersi pronti a reagire al momento opportuno… Strano, le stelle si spostavano come se avesse acceso i motori. Ma non aveva toccato nessun comando, e se la Endeavour si fosse mossa se ne sarebbe subito accorto.
— Comandante! — chiamò Calvert che era di vedetta — stiamo ruotando. Guardate le stelle. Ma gli strumenti non registrano nessun movimento.
— I giroscopi?
— Perfettamente normali. Ho sotto gli occhi i quadranti: segnano zero, e invece stiamo girando di parecchi gradi al secondo.
— Impossibile.
— Certo. Venite a vedere voi.
Quando non può fidarsi degli strumenti che ha a disposizione, l'uomo non può fare altro che guardare coi propri occhi. Non c'erano dubbi: le stelle stavano lentamente ruotando. Lungo l'orlo dell'oblò comparve e passò Sirio. O l'universo, tornando alla cosmologia pre-copernicana, si era improvvisamente deciso a ruotare intorno alla Endeavour, o le stelle erano immobili ed era la nave che ruotava.
La seconda ipotesi era ovviamente la più probabile, e tuttavia conteneva un paradosso apparentemente insolubile. Se la nave stava davvero ruotando a quella velocità, lui avrebbe dovuto accorgersene, e inoltre i giroscopi non potevano essersi guastati tutti contemporaneamente.
Non restava che una spiegazione: ogni atomo della Endeavour era in balia di una forza quale solo un potente campo gravitazionale poteva produrre. O, per lo meno, non si conoscevano altri campi in grado di farlo.
D'improvviso, le stelle scomparvero. L'abbacinante disco del Sole era emerso da dietro lo schermo di Rama, e il suo bagliore le aveva cancellate dal cielo.
— Il radar funziona? E il Doppler?
Norton temeva che anche questo strumento non funzionasse, ma sbagliava. Rama era finalmente partito, e stava accelerando alla modesta media di 0,015 g. Il dottor Perera sarà soddisfatto, pensò Norton. Lo scienziato aveva infatti predetto un'accelerazione di 0,02 g al massimo. E la Endeavour era stata travolta nella sua scia, come un pezzo di sughero che continua a girare nella scia di una nave.
L'accelerazione si mantenne sempre costante nelle ore successive. Rama si allontanava dalla Endeavour con una velocità in continuo, ma regolare aumento. Man mano che la distanza aumentava, il comportamento anomalo della nave diminuì, fino a cessare. Le leggi dell'inerzia avevano ripreso il sopravvento. Non avevano modo di calcolare la potenza del campo di energia in cui erano stati assorbiti per qualche tempo, ma Norton fu ben contento di essersi trovato a una notevole distanza da Rama quando questo si era messo in moto.
Quanto alla natura dell'apparato motore che era entrato in funzione, una cosa era certa, anche se tutto il resto rimaneva un mistero. Non c'erano scarichi di gas, emissione di ioni o di altre sostanze che spingessero Rama nella sua nuova orbita. Nessuno definì meglio il fenomeno del professor Myron, che, fissando incredulo Rama, esclamò: — Ecco che la terza legge di Newton va a farsi benedire!
Ma fu proprio la terza legge di Newton quella su cui la Endeavour dovette fare affidamento il giorno successivo quando adoperò le ultime riserve di carburante per modificare la propria orbita in modo da allontanarsi dal Sole. Il mutamento fu insignificante ma sarebbe bastato ad aumentare la sua distanza dal perielio di dieci milioni di chilometri. C'era una bella differenza fra il mantenere al novantacinque per cento l'efficienza del sistema di raffreddamento di bordo e una morte sicura per combustione.
Al termine della manovra, Rama era a duecentomila chilometri di distanza ed era difficile scorgerlo nel bagliore accecante del Sole. Però, grazie al radar, potevano continuare a misurare la sua orbita, e più lo osservavano, meno capivano.
Controllarono e ricontrollarono le cifre, finché furono costretti ad ammettere l'incredibile realtà: i timori degli hermiani, l'eroismo di Rodrigo, e la retorica dell'Assemblea Generale non erano serviti a niente.
Che amaro destino, pensò Norton mentre controllava per l'ultima volta i risultati dei calcoli, se dopo un milione di anni di guida sicura, gli elaboratori di Rama avessero commesso un piccolo errore, emettendo forse un più a posto del meno, o viceversa.
Tutti si erano aspettati che Rama rallentasse in modo da essere catturato dall'attrazione gravitazionale del Sole, diventando così un nuovo pianeta del sistema. Invece stava succedendo il contrario.
Rama accelerava, puntando nella direzione sbagliata: stava precipitando a velocità folle direttamente nel Sole.
45
Quando i particolari della nuova orbita cominciarono a diventare sempre più definiti, nessuno pensava che Rama sarebbe riuscito ad evitare la catastrofe. Solo qualche cometa era passata così vicina al Sole. Al perielio, sarebbe venuto a trovarsi a meno di mezzo milione di chilometri da quell'inferno di idrogeno fuso. Nessun materiale solido poteva resistere a quella temperatura. La lega di cui era composto l'involucro di Rama avrrebbe cominciato a fondersi almeno dieci minuti prima di arrivare a quella distanza.
La Endeavour aveva già superato il perielio della propria orbita, con gran sollievo di tutti, e la sua distanza dal Sole andava lentamente aumentando. Rama era lontanissimo, nella sua orbita angusta e veloce, e già pareva che lo lambissero le propaggini più esterne della corona. Dall'astronave si sarebbe potuto seguire come da un palco di prima fila il gran finale del dramma.
Poi, a cinque milioni di chilometri dal Sole, e continuando ancora ad accelerare, Rama cominciò a ruotare rapidamente. Finora era apparso come una minuscola sbarra luminosa al telescopio della Endeavour, adesso cominciò a brillare a intermittenza come una stella intravista su un orizzonte nebbioso. Pareva che stesse disintegrandosi. Quando notò quel cambiamento nell'immagine, Norton provò una stretta al cuore al pensiero che quella meraviglia andasse distrutta. Ma subito dopo si rese conto che Rama era ancora là, circondato da una nebbia scintillante.
Poi scomparve, e al suo posto rimase un oggetto luminoso, che sembrava una stella, come se Rama si fosse contratto trasformandosi in una piccola sfera.
Ci volle un po' di tempo prima che si rendessero conto di quello che era successo. Rama era proprio scomparso: era rinchiuso all'interno di una sfera riflettente del diametro di circa cento chilometri, tutto quello che si vedeva era il riflesso del Sole sulla parte della superficie curva più vicina a loro. E Rama, chiuso all'interno di quella bolla protettiva, era probabilmente al sicuro dall'inferno solare.
Col passare delle ore, la sfera cambiò forma, l'immagine del Sole risultava allungata, distorta. La sfera si stava trasformando in un ellissoide con l'asse maggiore puntato nella direzione che aveva tenuto Rama. Fu allora che cominciarono ad affluire i primi rapporti anomali dagli osservatori-robot che da quasi duecento anni erano stati posti a permanente guardia del Sole.