«Il ragno è indubbiamente organico, sebbene la sua chimica differisca sotto molti aspetti dalla nostra. Contiene notevoli quantità di metallo leggero… con tutto questo, esito a definirlo animale, per diversi motivi fondamentali.
«In primo luogo, risulta apparentemente privo di bocca, di stomaco e di intestino. Insomma, non ha un apparato digerente. E neppure un apparato respiratorio o riproduttore…
«Vi chiederete cos'ha allora. Ebbene, è costituito da un insieme di muscoli molto semplici che controllano le zampe e i tre tentacoli, o sensori. Esiste anche un cervello, alquanto complesso e interessato soprattutto alla visione trioculare della creatura. Ma l'ottanta per cento del corpo è composto da un alveare di grosse cellule, che sono state la causa della sgradevole sorpresa della dottoressa Ernst, allorché ha iniziato la dissezione. Con un briciolo di fortuna avrebbe potuto riconoscerle subito, in quanto sono l'unica struttura ramana che esiste anche sulla Terra, sebbene solo in pochi animali marini.
«Il ragno è costituito, nella sua quasi totalità, da una batteria, come si riscontra nei gimnoti elettrici e nelle razze. Ma nel caso specifico pare che non serva come arma di difesa. È la fonte di energia della creatura. Ed è per questo che non dispone di organi atti all'alimentazione e alla respirazione. Non ne ha bisogno. Incidentalmente, questo significa che potrebbe sopravvivere benissimo anche nel vuoto.
«Abbiamo dunque una creatura che virtualmente non è altro che un occhio mobile. Non ha organi manipolatori, i tentacoli sono troppo deboli. Se dovessi azzardare un'ipotesi, direi che sono organi di riconoscimento.
«Il comportamento della creatura giustifica la mia ipotesi: tutto quello che fa è correre in tondo e guardare tutto. Si comporta così perché non può fare altro.
«Invece le altre creature sono diverse: il granchio, la stella marina, le aragoste (definiamoli così per comodità) sono in grado di manipolare l'ambiente, e pare che siano specializzati per determinate funzioni. Penso che anche loro siano alimentati dall'energia elettrica, dal momento che, come il ragno, non hanno bocca.
«Sono certo che vi renderete conto dei problemi biologici che queste scoperte comportano. Queste creature sono in grado di evolversi naturalmente? Non credo. Sembra che siano progettate, come macchine, per determinati servizi. Se dovessi definirli direi che sono robot biologici, una categoria che non trova riscontro sulla Terra.
«Se Rama è un'astronave, forse essi fanno parte dell'equipaggio. Ma ignoro come siano nati, o siano stati creati. Secondo me, hanno origine nell'isola di New York. Se il Comandante Norton e il suo equipaggio avessero più tempo a disposizione forse incontrerebbero altre creature più complesse, dal comportamento imprevedibile. E, chissà, potrebbero incontrare anche i ramani, i veri costruttori di quel mondo.
«E qualora questo incontro si verificasse, signori, potete star certi che non ci sarebbero dubbi sulla loro identità.»
35
Il Comandante Norton dormiva sodo quando il comunicatore privato lo strappò bruscamente a un bel sogno in cui passava una spensierata vacanza su Marte, ai piedi di Nix Olympica, il vulcano più alto, coperto di neve. Ma invece della voce di sua figlia Billie, che stava per chiedergli qualcosa, sentì quella del Comandante in seconda che lo chiamava dall'astronave.
— Mi dispiace dovervi svegliare, Comandante — disse Kirchoff. — Messaggio urgentissimo dal comando generale.
— Passatemelo — disse Norton ancora assonnato.
— Non posso, è in codice. Personale per il Comandante.
Norton si svegliò completamente. Aveva ricevuto messaggi come quello solo tre volte nel corso della sua carriera, ed erano sempre state rogne.
— Accidenti! — esclamò. — E adesso cosa si fa?
Il secondo non rispose. Tutti e due sapevano perfettamente qual era la prassi. Ma si trattava di una circostanza che non aveva precedenti. Normalmente, un Comandante, se non è in plancia, è reperibile nel giro di pochi minuti, e tiene il codice nella cassaforte personale. Norton, se anche si fosse messo subito in cammino, non avrebbe potuto trovarsi a bordo prima di quattro o cinque ore. No, era impossibile attenersi al regolamento.
— Jerry — disse dopo averci pensato a lungo. — Chi è alle comunicazioni?
— Io. Ho fatto la chiamata personalmente.
— Il registratore è in funzione?
— Per uno strano caso è spento.
Norton sorrise. Jerry era il miglior secondo che avesse mai avuto.
— D'accordo. Sapete dov'è la chiave della cassaforte. Richiamatemi dopo.
Aspettò nei successivi dieci minuti cercando di pensare ad altro, ma senza successo. Quando Kirchoff richiamò, aveva la voce tesa e preoccupata.
— Non è proprio urgente — disse. — Un'ora più o una meno non avrebbe fatto differenza. Perciò ho preferito evitare di trasmetterlo per radio. Ve lo manderò per mezzo di un incaricato.
— Ma perché… oh, bene, mi fido del vostro giudizio. Chi è l'incaricato?
— Io. Vi chiamerò appena arrivato al mozzo.
— Così resta Laura al comando.
— Solo per un'ora o poco più.
Un ufficiale medico non ha ricevuto l'istruzione adatta per fungere da capitano, come non è previsto che un capitano esegua un intervento chirurgico. Ci sono stati, è vero, casi d'emergenza in cui un capitano ha sostituito un chirurgo e viceversa, ma in genere è meglio evitarlo.
Comunque, quella notte era già stato violato più di un regolamento.
— Mi raccomando, ufficialmente voi non avete mai abbandonato la nave. Avete già svegliato Laura?
— Sì, è felicissima.
— Meno male che i medici sono legati al segreto professionale. Ah, dimenticavo… avete confermato di aver ricevuto il messaggio?
— Sì, a vostro nome.
— Bene, allora aspetto.
Adesso era impossibile per Norton cercare di fingere di pensare ad altro. Mille dubbi lo tormentavano: Non è urgente, ma preferisco non trasmetterlo per radio… Di una cosa sola era certo: che quella notte non avrebbe più dormito.
36
Il sergente Peter Rousseau sapeva perché si era offerto volontario per quel lavoro: sotto molti punti di vista era la realizzazione di un suo sogno infantile. Aveva cominciato a interessarsi ai telescopi quando aveva sei o sette anni e aveva trascorso gran parte dell'adolescenza raccogliendo lenti di tutte le forme e dimensioni. Poi le montava su tubi di cartone fabbricando strumenti sempre più potenti, finché non conobbe a fondo la Luna e i pianeti, e le più vicine stazioni spaziali, oltre il territorio compreso in un raggio di trenta chilometri da casa sua.
Aveva avuto la fortuna di nascere fra le montagne del Colorado, e in qualunque direzione il panorama era vario e spettacolare. Peter aveva trascorso ore e ore esplorando, con perfetta sicurezza, i picchi delle alte montagne che lo circondavano. Sebbene avesse visto molte cose, ne immaginava ancora di più. Gli piaceva pensare che al di là delle creste, dove non arrivava la portata del suo telescopio, si estendessero regni meravigliosi abitati da creature fantastiche. E proprio per questo aveva evitato per lungo tempo di recarsi di persona nei posti che le sue lenti gli avvicinavano, perché sapeva che la realtà avrebbe infranto il sogno.
Adesso, stando sull'asse centrale di Rama, poteva osservare meraviglie quali nemmeno la fantasia più sfrenata dei suoi anni infantili era arrivata a immaginare. Un mondo intero si spiegava sotto i suoi occhi, piccolo, è vero, eppure ci sarebbe voluta tutta una vita per esplorarlo, anche nel caso fosse stato morto e immutabile.