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Rod Caquer si svegliò con un legger mal di testa e una chiara sensazione di doposbronza. Il sole, minuscolo, ma brillante, era già ben alto nel cielo.

L’orologio gli mostrò che era un po’ più in ritardo del solito, ma prese tempo per stare a letto ancora qualche minuto, ricordando il sogno senza capo né coda che aveva fatto. I sogni erano così; bisognava pensarci immediatamente appena svegli, altrimenti si dimenticavano totalmente.

Era stato un sogno ben stravagante. Un sogno folle e senza senso. Un ritorno di atavismo, forse? Un ritorno ai giorni in cui la gente passava metà del tempo a scannarsi, un ritorno ai giorni delle guerre, dell’odio e della lotta per la supremazia.

Tutto questo avveniva prima che il Consiglio Solare, che si era riunito prima su un pianeta disabitato, poi su un altro, avesse portato l’ordine con il suo arbitrato, e poi l’unione. Le parti abitate dal sistema solare, la Terra, Venere, Marte e le lune di Giove, erano tutte sotto un unico governo.

Ma in quei lontani giorni di sangue, la gente doveva aver provato quella sensazione che aveva provato anche lui nel suo sogno atavico. Quei lontani giorni in cui la Terra, unita dalla scoperta del volo spaziale, aveva soggiogato Marte, l’unico altro pianeta già abitato da una razza intelligente e poi aveva seminato colonie ovunque l’Uomo aveva potuto posare stabilmente il piede.

Alcune di quelle colonie avevano voluto l’indipendenza e, dopo, la supremazia. I secoli di sangue, ecco come venivano ora chiamati quei tempi.

Mentre scendeva dal letto per vestirsi, vide qualcosa che lo confuse e lo turbò. I suoi abiti non erano ben ripiegati sullo schienale della sedia accanto al letto come li aveva lasciati. Invece erano disseminati sul pavimento, come se si fosse svestito in fretta e sbadatamente al buio.

— Per la Terra! — pensò. — Ieri sera sono forse andato in sonnambulo? Mi sono veramente alzato e sono sceso in strada quando ho sognato di averlo fatto? Quando me l’hanno detto quei sussurri?

— No, — si disse, poi. — Io non ho mai camminato nel sonno prima d’ora e ieri non è stato diverso. Devo essere stato semplicemente distratto quando mi sono svestito. Infatti pensavo al caso Deem e non mi ricordo di avere effettivamente piegato gli abiti sulla sedia.

Così indossò rapidamente la sua uniforme e si affrettò a raggiungere l’ufficio. Alla luce del mattino fu facile riempire quei moduli. Alla voce — Causa della morte, — scrisse, — Il Medico Capo riferisce che la morte è stata provocata da shock, dovuto a scarica di disintegratore.

Questo lo tolse dall’impaccio; lui non aveva detto qual era la causa della morte, ma solo ciò che sosteneva il Medico Capo.

3. Indice nero

Chiamò un fattorino e gli consegnò i rapporti con l’istruzione di portarli di corsa all’astronave postale che sarebbe partita fra breve. Poi telefonò a Barr Maxon.

— Rapporto sull’affare Deem, Reggente, — disse. — Mi spiace, ma siamo ancora in alto mare. Non è stato visto nessuno allontanarsi dal negozio. Tutti i vicini sono stati interrogati. Oggi parlerò con tutti i suoi amici.

Il Reggente Mason scosse la testa.

— Usi tutti i jet, tenente, — gli rispose. — Questo caso deve essere risolto. Un delitto in questo momento e in questa epoca è già abbastanza brutto, ma un delitto irrisolto è impensabile. Sarebbe solo un incoraggiamento al crimine.

Il tenente Caquer annuì serio. Anche lui aveva pensato la stessa cosa. Bisogna preoccuparsi delle implicazioni sociali del delitto… E anche del suo posto di lavoro. Un tenente di polizia che lasciava impunito un delitto nel suo distretto poteva considerarsi finito per sempre.

Scomparsa l’immagine del Reggente dal visifono, Caquer prese del cassetto della scrivania la lista degli amici di Deem e cominciò a studiarla per decidere la sequenza delle visite da fare.

Accanto al nome di Perry Peters scrisse il numero “1”, questo per due ragioni. La prima, che Peters abitava solo a poche porte di distanza da lui, la seconda per il fatto che conosceva Perry meglio degli altri nomi riportati sulla lista, fatta forse eccezione per il professore Jan Gordon. Questa anzi sarebbe stata l’ultima visita, perché più tardi sarebbe stato più facile trovare il professore sofferente ormai sveglio… E sarebbe stato anche più facile trovare la figlia Jane in casa.

Perry Peters fu contento di vedere Caquer e indovinò immediatamente lo scopo della visita.

— Salve, Shylock.

— Uh? — fece Rod.

— Shylock… il grande investigatore che si trova per la prima volta nella sua carriera di poliziotto di fronte a un mistero. O l’hai già risolto, Rod?

— Tu vuoi dire Sherlock, idiota. Sherlock Holmes. No, io non ho risolto ancora un bel niente, se proprio vuoi saperlo. Senti, Perry, dimmi tutto quello che sai su Deem. Tu lo conoscevi piuttosto bene, vero?

Perry Peters si strofinò il mento pensoso e si sedette sul tavolo di lavoro. Era così alto e magro che poteva semplicemente sedervicisi sopra invece di saltarci su.

— Willem era uno strano nanerottolo. — rispose. — Alla maggior parte della gente non piaceva, perché era un tipo sarcastico e aveva delle idee sballate sulla politica. Io a dire il vero non so se almeno metà delle volte avesse ragione, comunque giocava molto bene a scacchi.

— Era il suo unico hobby?

— No. Gli piaceva costruire delle cose, dei piccoli congegni. Alcuni erano ingegnosi, anche se li faceva per divertimento e non ha mai cercato di brevettarli, o comunque di guadagnarci sopra.

— Parli di invenzioni, Perry? Del tuo genere?

— Be’, non proprio invenzioni, congegni, piuttosto, direi, Rod. Robetta spicciola per la maggior parte, era più bravo con i lavori di fine artigianato che con le idee originali. E, come ho detto, per lui era solo un hobby.

— Non ti ha mai aiutato con qualcuna delle tue invenzioni? — chiese Caquer.

— Certo, di tanto in tanto. Ma anche in questo caso non era tanto l’idea che ci metteva, quanto l’abilità nel costruire le parti più difficili. — Perry Peters indicò il negozio con un gesto circolare della mano. — I miei attrezzi qui servono per dei lavori relativamente grezzi. Niente sotto i millesimi. Ma Willem ha… aveva un piccolo tornio che era un gioiellino. Taglia qualsiasi cosa e ha una precisione al cinquantamillesimo.

— Che nemici aveva, Perry?

— Che io sappia, nessuno. Davvero, Rod. A molte persone non era simpatico, ma nulla di più di una semplice antipatia. Sai cosa voglio dire, quel tipo di antipatie che li spinge a servirsi di un altro negozio di libri e bobine, ma non tale da indurre qualcuno a uccidere.

— E, da quanto sai tu, chi potrebbe beneficiare della sua morte?

— Um… nessuno, direi, — rispose Peters, pensieroso. — Credo che il suo erede sia un nipote di Venere. Una volta l’ho conosciuto ed era un tipo simpatico. Ma l’eredità non sarà niente di entusiasmante. Penso che arriverà al massimo a qualche migliaio di crediti.

— Ecco qui un elenco dei suoi amici, Perry. — Caquer passò a Peter un foglietto. — Guardalo bene, per favore, e vedi se puoi aggiungere qualcuno o se hai qualcosa da dire in merito.

L’inventore studiò la lista, poi gliela restituì.

— Sono tutti qui, direi, — rispose a Caquer. — Ce ne sono anche un paio che non sapevo conoscesse tanto bene da meritare di essere inclusi nella lista. E hai qui anche i suoi migliori clienti, quelli che si servivano spesso e abbondantemente da lui.

Il tenente Caquer si infilò l’elenco in tasca.

— A cosa stai lavorando adesso? — chiese a Peters.

— A qualcosa con cui mi sono impantanato, temo, — rispose l’inventore. — Io avevo bisogno dell’aiuto di Deem… o almeno avevo bisogno di utilizzare il suo tornio per andare avanti. — Dal banco prese un paio degli occhialoni più stravaganti che Rod Caquer avesse mai visto. Le lenti erano a forma di archi di cerchi invece che di cerchi completi ed erano affrancate in un nastro di plastica deformabile ovviamente studiata per aderire strettamente sul viso sopra e sotto le lenti. In alto al centro, dove l’apparecchio doveva poggiare sulla fronte di chi lo portava, c’era uno scatoline cilindrico dal diametro di quattro centimetri.